Come cambia l'Europa con Macron, il presidente che i francesi non amano più
È un mix di pragmatismo giovanile e liricità incravattata. Globale e nazionalista. Liberale e dirigista. Ingenuo e cinico. Ha vinto le elezioni per non essere né di destra né di sinistra. Dopo quattro mesi di gaffe e riforme, non piace più a nessuno
Era orgogliosa la Francia. Anche i francesi che non avevano votato per lui ritenevano che c’erano volute davvero le palle per eleggere capo dello Stato un uomo così giovane, tutto muscoli e tutto cervello. Si stava voltando pagina. Non sarebbe certo andata peggio, e poi… La Francia adesso non lo sa più. Aveva amato i frequenti “e al tempo stesso” con i quali Emmanuel Macron infarciva i suoi discorsi per ribadire il suo rifiuto del manicheismo e il suo rispetto per le ragioni altrui. Senza confessarlo apertamente, la Francia aveva adorato che egli si definisse “e di destra e di sinistra”, perché è da tanto tempo che sotto sotto i francesi sono stufi marci della guerra delle due France che continua ininterrotta dalla presa della Bastiglia. I francesi amavano quel presidente, sì, ma l’incantesimo si è rotto. Ormai lo fanno precipitare nei sondaggi e, come dicono in coro le redazioni parigine, le capitali europee dubitano sempre più che egli possa “trasformare la Francia” e “rifondare l’Europa”. Perché adesso ci sono motivi per dubitarne, ebbene sì.
Non è dimostrato, prima di tutto, che questo presidente abbia un cuore. Può tranquillamente dichiarare che in metropolitana si incontrano persone che «non sono nessuno», che è difficile riqualificare i salariati di un mattatoio (il cui fallimento era diventato una faccenda nazionale) perché sono «analfabeti» oppure, che non cederà nulla «né ai fannulloni, né ai cinici, né alle ali estreme».
Emmanuel Macron non sembra comprendere che, anche se alcuni dipendenti di quel mattatoio erano in effetti semi-analfabeti, non era proprio il caso di dirlo pubblicamente, essendo all’epoca il ministro che era. Non vede che cosa ci sia di fastidiosamente sprezzante nel considerare che alcune persone non sono “nessuno” perché non hanno fatto fortuna e non hanno lanciato nemmeno una startup. Non si accorge neppure che insinuando che la “fannullaggine” è una delle ragioni che spingono a contrastare la sua legge sul lavoro, di fatto si ricollega al linguaggio utilizzato dai ricconi del XIX secolo contro gli operai che lottavano per la conquista delle prime tutele sociali.
Allorché si ripetono, le gaffe di questo tipo tradiscono l’inconscio di un superdotato al quale nella vita tutto ha sorriso con velocità tale che egli ignora che cosa sia l’ingiustizia. Ciò è vero al punto che Macron non ha voluto denunciare le ingiustizie subite in campagna elettorale, sebbene molti suoi consiglieri lo esortassero a farlo. In Emmanuel Macron c’è una tale insensibilità sociale, una tale persuasione che la miseria colpisca, prima di chiunque altro, coloro che si rassegnano a essa, che i francesi adesso avvertono questa mancanza di compassione e gliene vogliono.
E questo è un primo problema. Il secondo problema di questo presidente è aver ottenuto soltanto un quarto dei voti al primo turno delle presidenziali e di averli ottenuti al secondo soltanto perché i francesi non volevano proprio saperne di Marine Le Pen. All’indomani della sua vittoria, Emmanuel Macron doveva ancora convincere i francesi della necessità di adottare il suo programma. Pur eletto trionfalmente, questo presidente faceva ancora il candidato, ma ha pensato che il mandato ricevuto valesse l’approvazione dei provvedimenti che aveva annunciato, e di conseguenza non si è dato la pena di spiegarli di nuovo.
Terzo problema è il crollo della sua popolarità. D’accordo o meno con quello che il loro presidente intendeva fare, i francesi si aspettavano che in ogni caso lo facesse, a rischio di protestare in seguito, perché volevano che le cose si muovessero. Avevano sì o no mandato all’Eliseo un uomo giovane, pieno di certezze e di energie? Ebbene, che si desse una mossa allora! E subito! Che facesse approvare dalla maggioranza parlamentare che il paese gli ha dato cinque o sei leggi progressiste prima dell’autunno!
Una “rivoluzione” aveva annunciato. E i francesi si aspettavano che passasse all’azione, mentre Emmanuel Macron ha temporeggiato. Ha negoziato con i sindacati perché non lo accusassero di calpestarli e di ignorare il dialogo sociale. Quindi è stato fedele alla socialdemocrazia di cui lui - questo uomo così complicato - sostiene di essere l’erede francese. Invece, la Francia ha visto in tutto ciò soltanto indecisione, titubanza e impreparazione. In verità, la Francia sbaglia, perché la liberalizzazione del mercato del lavoro, buona o cattiva che sia, entrerà in vigore entro la fine di questo mese. Questo presidente è molto più determinato di quanto i francesi lo ritenessero. Il problema, però, è che il suo mandato non è iniziato con il piede giusto. E quindi?
Emmanuel Macron forse ha già perso la sua partita. In Francia lo dicono in molti. Un politologo americano lo ha dichiarato dalle colonne del “New York Times”, ma il più giovane dirigente del G-20 ha polverizzato lo scacchiere francese e dispone di tutti i poteri.
Lo hanno appoggiato o lo appoggiano eletti ed elettori, una grande parte della sinistra, della destra e del centro. Disintegrato, il partito socialista non è più che l’ombra di sé stesso. I repubblicani, il grande partito della destra, non sono certo in condizioni migliori. Perfino il Front National abbandona la sua eurofobia, perché i francesi non vogliono uscire né dall’euro né dall’Unione. Il Front si avvicina alla destra, in una nuova orbita che resta ancora molto fragile. Quanto alla sinistra più estrema, la France Insoumise fa passi avanti, e di rilievo, ma in un panorama politico al centro del quale troneggia Emmanuel Macron, tra una dura destra nascente e una sinistra radicale che resterà a lungo esclusa dal potere.
Questo presidente può deludere ma, per i prossimi cinque anni, sarà l’unico in scena, con tutti i poteri conferitigli dalla Quinta Repubblica e un’ampia maggioranza parlamentare. Ci sono situazioni peggiori... Ciò legittima quelle gaffe nei confronti delle quali, per adesso, i francesi si mostrano pazienti, perché non vogliono rimettere in sella nessuna delle formazioni esistenti, avendo paura del vuoto che un eventuale fiasco di Emmanuel Macron lascerebbe, e perché sono dunque rassegnati a lasciare a questo giovane presidente e alla sua giovane maggioranza di governo un po’ di tempo per farsi le ossa sul campo.
A prescindere dalle sue mancanze, in Francia è “in marcia” una vera e propria rivoluzione e l’uomo che la guida sa quel che vuole. A rischio di aumentare il precariato, vuole concedere maggiori margini di manovra alle imprese, così che abbiano meno paura di assumere. Al tempo stesso, vuole permettere ai francesi di adattarsi all’evoluzione del lavoro e, a questo scopo, intende riformare la scuola e la formazione professionale, sviluppando i tirocini e garantendo l’indennità di disoccupazione, una volta ogni cinque anni, a quanti sarebbero disposti ad abbandonare il loro mestiere per apprenderne uno nuovo.
Vuole fare della Francia una nazione startup, con reti di protezione sociale, ma senza più posti di lavoro garantiti. Vuole, in parallelo, rifondare l’Unione europea, come ha spiegato nel discorso alla Sorbona, per fare della Francia la madre di una nuova potenza internazionale in grado di «pesare sull’andamento del mondo» e affermare la sua “sovranità” agli occhi di Stati Uniti e Cina. E, per ridare vigore imprenditoriale alla Francia, restituirle una credibilità politica nell’Unione e avere così la possibilità di federare la zona euro, intende rendere flessibile il mercato del lavoro, orientando i risparmi verso le imprese e rafforzando l’industria, sia la francese sia l’europea.
Questo europeo è un nazionalista coerente. Questo liberale è un dirigista agli occhi del quale la mano invisibile del mercato è una panzana, se non c’è uno Stato forte incarnato da una volontà politica responsabile a lungo termine. Né di destra né di sinistra, nei riguardi della trasformazione della Francia Emmanuel Macron si inserisce di fatto nel solco di Bonaparte e di De Gaulle. Ma ne ha la statura e i mezzi?
Non era necessario, risponde invariabilmente, «avere la mano tremante» per lanciarsi da solo, a 38 anni, nell’avventura presidenziale, creare un partito dal nulla e vincere contro ogni aspettativa fuorché la sua. Continuate a sentirvi scettici? Se l’impossibile non fosse stato possibile, aggiunge dal suo ufficio all’Eliseo, «adesso io non sarei qui, davanti a voi».
Quest’uomo crede nel suo destino. E ciò aiuta. Conferisce quella sicurezza che fa spalancare parecchie porte. E c’è dell’altro. In Europa la crescita riparte. In Francia come ovunque la fiducia ne uscirà rafforzata, e si creeranno nuovi posti di lavoro. Per Emmanuel Macron la congiuntura è un sostegno e, in termini più cinici, sulla sua culla si sono chinate tre fate buone. Donald Trump, il terrorismo islamista e Vladimir Putin: l’instabilità internazionale che questi tre elementi creano, l’angoscia che suscitano, aprono uno spazio considerevole all’uomo che la sera della sua vittoria ha voluto che si suonasse l’Inno alla gioia, l’inno europeo. Tenuto conto che vuole dare una Difesa all’Unione e serrarne i ranghi in un mondo diventato così confuso, Emmanuel Macron ha puntato i riflettori sulla Francia, si è dato immediatamente uno status internazionale e, all’improvviso, si è immunizzato parecchio nei confronti dei rischi e delle incertezze della popolarità.
Che vi deluda o meno, che lo amiate o no, è l’uomo che ci voleva, al posto giusto e nel momento giusto. In fondo, però, chi è davvero? È figlio della borghesia, un alto funzionario, diventato poi banchiere di una banca d’affari, che crede nella necessità di negoziare un consenso sociale per garantire la stabilità economica e politica. È un provinciale che in una dozzina d’anni è riuscito a conquistare Parigi. È un uomo tanto sorridente e cordialmente disposto all’ascolto del prossimo quanto freddo e riservato e portare a credere soltanto in sé stesso. È una roccia di certezze e, prima di ogni altra cosa, è un uomo che si è formato nel periodo post-comunista.
Aveva soltanto dodici anni quando è stato abbattuto il Muro. Il suo mondo è fatto di innovazioni tecnologiche e di ricerca di rinnovamento politico, di potenze emergenti, di marcia indietro degli Stati Uniti, e di affanni delle grandi formazioni di destra e di sinistra. Visto che oggi è presidente, il suo mondo è da ridisegnare in modo pragmatico e tecnocratico, lontano da ricette e partiti, senza le ideologie del passato che, per forza di cose, non saranno le soluzioni per il domani. Faccia da schiaffi e affascinante, gaffeur ed educato, politico tanto abile quanto digiuno di altri ambienti fuorché il suo, Emmanuel Macron è un mix di pragmatismo giovanile e di liricità incravattata. È un “pragma-lirico”, nuova specie comparsa con il nuovo secolo.