A settembre il Paese andrà alle urne e a giocarsela, a differenza del resto d'Europa, saranno i tradizionali centrodestra e centrosinistra con l'uscente Merkel e il socialista Schulz. Il direttore di Die Zeit cerca di spiegare i motivi di questa eccezione

Perché in Germania il populismo non ha attecchito

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I sondaggi, si sa, ci provano a capire le tendenze degli elettori. La prima cosa che possiamo dire delle elezioni in Germania del 24 settembre è che non sono affatto scontate, ma le politiche forse più imprevedibili della storia tedesca. Un assaggio della imprevedibilità della politica tedesca lo abbiamo avuto alle recenti elezioni in Saarland. Sull’onda dell’entusiasmo seguita alla sua nomina a presidente della Spd, Martin Schulz ipotizzava di poter riconquistare al volo la piccola regione al sud del Paese. La Cdu invece, dopo una serie di batoste incassate nel 2016, è rimasta al potere in Saarland.

Nonostante, quindi, sui giornali si legga di un cosiddetto “Effetto-Schulz”, che effettivamente è servito sinora a rivitalizzare una Spd già crollata al 20 per cento dei consensi, la sfida tra la Kanzlerin e il suo rivale della Spd è più aperta che mai. Altri sondaggi rilevano che il 53 per cento delle tedesche sarebbero disposte a rieleggere la Merkel; e che, tra le donne, solo il 28 per cento voterebbe Schulz.

In realtà, quel che possiamo affermare è che in Germania nessuno può aspirare alla cancelleria senza il voto decisivo delle donne. E che, dopo 12 anni al potere, lo stile così pragmatico della Merkel ha ormai segnato in modo decisivo la politica tedesca. La Kanzlerin infatti ha mostrato ai tedeschi che in questo Paese si possono raggiungere obiettivi anche rilevanti senza quegli eclatanti, e rumorosi, “Basta!” lanciati dal suo più sanguigno predecessore Gerhard Schröder. Molti poi, sia in Germania sia all’estero, continuano a ritenerla una personalità fredda, raziocinante, e capace di seguire una tattica, non una strategia.
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La sua politica migratoria invece, la sua apertura ai profughi ci hanno permesso di conoscere anche il lato più emozionale della cancelliera. Certo, il suo carattere di sicuro non contempla l’entusiasmo né l’euforia. Tant’è vero che alla conferenza-stampa a Monaco, in cui si è presentata insieme a Horst Seehofer per dimostrare la conciliazione avvenuta col coriaceo premier bavarese, sembrava proprio che la Merkel stesse rassegnando le dimissioni. Entusiasmo o meno, non ci sono dubbi sul fatto che la politica migratoria della Kanzlerin non ha convinto la maggioranza dei tedeschi e ha causato anzi gravi crisi all’interno del suo partito, e forti tensioni con la Csu bavarese. L’esito delle elezioni americane però e soprattutto la politica ansiogena del presidente Trump stanno indubbiamente giocando a favore della Merkel. In un’epoca di ansie diffuse e paure globali infatti, i tedeschi sanno apprezzare sia la grande calma sia la comprovata serietà della loro Kanzlerin. Una cancelleria fra l’altro che, come tutti sanno, non accetterebbe in dono neanche un pacchetto di Tempo, tanto è incorruttibile la leader che venne dall’Est. Non è dunque un caso se, prima il New York Times poi il Financial Times hanno di recente celebrato in lei l’ultimo Garante della democrazia e dei valori liberali in un’Europa ormai travolta dal vortice dei nazionalismi e dai populisti di destra e sinistra.

E se nessuno in questo momento è in grado di prevedere l’esito di queste elezioni, quel che sinora possiamo certamente escludere è che dopo il 24 settembre si ritrovino al governo di Berlino dei populisti di destra o di sinistra. Sia che le rivinca Merkel o che le spunti Martin Schulz, di sicuro poi le coordinate di politica internazionale ed europea resteranno a Berlino grosso modo le stesse.

La Germania insomma è e resterà un Paese fondamentalmente stabile non solo dal punto di vista politico, ma soprattutto economico. Ed è qui che per lo sfidante Schulz iniziano i problemi seri. La situazione economica della Germania anno 2017 è infatti solida e positiva come non mai dai tempi dell’unità tedesca. I conti pubblici vanno a gonfie vele. E Wolfgang Schäuble, il ministro delle Finanze, registra gettiti fiscali da record.

La disoccupazione giovanile è praticamente inesistente. E il pilastro del “made in Germany”, quelle Quattroruote tedesche che sembrava avessero perso il trend del motore elettrico, stanno recuperando a tutta velocità. Se questi sono i dati reali della locomotiva tedesca, è chiaro che Schulz avrà non poche difficoltà a rendere credibile quel quadro così cupo di una Germania senza giustizia sociale e con poche opportunità per i lavoratori che continua a dipingere ai suoi comizi.

Certo, anche qui in Germania è arrivata, nel 2008, la crisi finanziaria. Ed anche i tedeschi hanno capito che, in genere, non sono mai i veri responsabili dei disastri a pagare le crisi finanziarie. Pure in Germania c’è quindi una certa sete di giustizia sociale; anche se i tedeschi non se la prendono con i manager, come quelli di Bmw o Porsche, che a fine anno danno consistenti premi ai dipendenti, ma con quei Top manager che, pur avendo causato fallimenti, incassano poi liquidazioni e pensioni da sogno. Martin Schulz insomma tocca un nervo scoperto degli elettori insistendo sul classico tema di più giustizia sociale. Di recente ho lavorato con lui ad un progetto sulla cultura digitale. E posso dire di esser venuto a contatto con un uomo davvero affidabile; autentico, ottimo oratore peraltro, e per niente “consumato” dalla routine politica tedesca.

Tutti questi sono senza dubbio dei grandi vantaggi di Martin Schulz rispetto a una Kanzlerin sicuramente stimata dagli elettori, ma anche più chiusa rispetto a lui, e più lontana dal normale elettore. Il vero deficit di Schulz, invece, è quell’immagine di una Germania in crisi che non corrisponde affatto all’esperienza quotidiana che la maggioranza dei tedeschi fanno di un Paese economicamente saldo. A ben vedere, il tema della sua campagna elettorale non corrisponde neanche alla storia dei successi della Spd: un partito che, sia con Willy Brandt che poi con Helmut Schmidt e nel ’98 con Gerhard Schröder, ha espresso i suoi tre cancellieri quando è riuscito a parlare e coinvolgere anche il ceto medio della società.

Chiedendo più Giustizia, Schulz potrà coinvolgere gli emarginati, parlare agli elettori indecisi o delusi dalla sinistra, ma rischia di non farcela a spuntare la sua battaglia contro la Merkel. D’altronde, anche il premier bavarese Horst Seehofer - per fare un altro esempio della realtà sociale in Germania - ha proposto di lanciare in campagna elettorale il tema “Job! Jobs! Jobs!”. Ma la ricca Baviera gode già da tempo di una situazione che si avvicina alla piena occupazione. Ed è quindi più che probabile che la Cdu della Merkel e la Csu bavarese puntino tutto sul Leitmotiv della Sicurezza, presentandosi cioè agli elettori non solo come il partito che garantisce ai tedeschi di sentirsi più sicuri nel loro Paese, ma anche come il guardiano della loro identità nazionale e culturale.

L’adagio quindi su cui Cdu e Csu insisteranno da qui a settembre sarà più o meno: “Keine linke Experimente!”, niente esperimenti di sinistra. Se c’è qualcosa poi in questo Paese, a differenza che da voi in Italia, che disturba massimamente gli elettori, sono i conflitti interni e le baruffe tra politici. Per questo ora il bavarese Seehofer ha congelato ogni diatriba con la Merkel sulla questione dei migranti e di “un tetto” massimo oltre il quale non accoglierli più. Non si tratta di quisquilie: “Alternative für Deutschland”, il partito della nuova destra, è giunto l’anno scorso a incassare il 24 per cento dei voti in Sassonia-Anhalt, il 21 nel Meclemburgo e il 18 per cento persino a Berlino, la capitale della tolleranza e del “Multi-Kulti”. Ai tempi di Schröder, è stata la sinistra di “Die Linke” ad approfittare di quelle tanto controverse riforme del welfare. Oggi sono i populisti di “AfD” ad approfittare della politica migratoria della Merkel: nessun tema infatti ha diviso e allarmato tanto i tedeschi quanto, dal settembre 2015, l’arrivo dei profughi in Germania. Ed è per questo che in campagna elettorale la Cdu della Merkel spinge per una politica migratoria più restrittiva dell’anno passato, più dura in ogni caso di quella avanzata da Spd e Verdi.

Riassumendo: “l’Effetto-Schulz” è servito sinora come minimo a risvegliare dal coma la Spd; a riattivare l’elettorato deluso di sinistra e a ricacciare “AfD” (per ora) sotto il 10 per cento. Sì certo, in lui è molto forte l’ambizione a diventare il nuovo Kanzler. Per i Paesi al sud d’Europa, che solitamente criticano il rigore finanziario tedesco, un cancelliere Schulz sarebbe di sicuro un interlocutore più facile. Eppure, aveva ragione Willy Brandt quando diceva che in Germania c’è una maggioranza a sinistra della Cdu. Ma che poi i tedeschi si spaventano quando se l’immaginano al governo. Anche oggi in effetti si respirano nel Paese tanta simpatia e anche curiosità per Martin Schulz. Ma non quella “voglia di cambiare” il governo che lo stesso Kohl, nel ’98, percepiva nei tedeschi dopo i suoi 16 anni al potere.

Giovanni di Lorenzo è dal 2004 il direttore del prestigioso settimanale tedesco 'Die Zeit'

Testo raccolto da Stefano Vastano

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