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settembre, 2017

Angela Merkel unico bastione europeo contro i nazionalismi

Angela Merkel
Angela Merkel

"In questa Europa dei nazionalismi e populismi è essenziale che a Berlino vi sia, anche dopo il 24 settembre, un governo stabile per i prossimi quattro anni". Intervista al politologo tedesco Herfried Münkler

Angela Merkel
Uno spettro s’aggira per la Germania, quello della AfD, Alternative für Deutschland. È la destra populista di Frauke Petry che alle politiche del 24 settembre - dopo una serie di successi alle elezioni regionali - potrebbe destabilizzare il Paese della Merkel. A dar retta ai sondaggi, infatti, almeno il 10 per cento dei voti andranno all’estrema destra.

«Oggi la Germania è spaccata in due», spiega Herfried Münkler, «e di fronte alla sfida rappresentata dai migranti i tedeschi sono davanti a un bivio». Si fideranno ancora della cancelleria Merkel, o la Germania sbanderà a destra? In questa intervista uno dei più prestigiosi politologi tedeschi - Münkler insegna scienze politiche alla Humboldt Universität di Berlino - dipinge il quadro di una Germania col fiato sospeso. E con 82 milioni di tedeschi profondamente cambiati dal fenomeno migratorio. I tedeschi dunque affideranno ancora alla Merkel e sarà la Kanzlerin a salvare la democrazia in un’Europa allo sbaraglio?

«Non sappiamo ancora cosa accadrà nella Francia di Macron. Voi italiani siete presi nelle vostre crisi interne. Se oggi in Europa c’è un bastione contro il rigurgito di nazionalismi, isolazionismi à la Trump e puro caos politico questo è il governo di Berlino».

Il governo di Berlino, non Angela Merkel?
«La Kanzlerin è il simbolo di una politica ed economia tedesca di stampo liberale. Se Martin Schulz dovesse diventare il nuovo Kanzler socialdemocratico, la politica interna, europea ed internazionale del governo di Berlino sarebbe simile a quella esercitata negli ultimi 12 anni dalla Merkel».

Il significato del voto del 24 settembre è che il destino della Ue dipenderà sempre più da Berlino?
«In questa Europa dei nazionalismi e populismi è essenziale che a Berlino vi sia, anche dopo il 24 settembre, un governo stabile per i prossimi quattro anni. E che l’estrema destra di AfD resti sotto al 10 per cento».
Herfried Münkler

L’integrazione di oltre un milione di profughi è la vostra più grande sfida dopo l’unità nazionale del 1990?
«L’integrazione di un milione di rifugiati sarebbe un compito fattibile. Ma le paure che alcuni tedeschi sentono dei migranti rendono il tema cassa di risonanza per AfD, che qui in Germania cavalca le insicurezze dei cittadini».

Colpa della decisione della Merkel di aprire, il 4 settembre 2015, la Germania ai profughi se la nuova Destra è rinata?
«Merkel sapeva che con quella decisione avrebbe sconvolto l’ala più conservatrice del suo partito e dei tedeschi, e si è ritrovata nello stesso dilemma di Gerhard Schröder quando, contro gli interessi della Spd, realizzò le riforme al welfare con l’Agenda 2010. È con quelle riforme che la Germania è ridiventata la locomotiva d’Europa».

Ma la politica migratoria della Merkel in che modo avrebbe aiutato la Germania o l’Europa?
«Aprendo la Germania ai profughi, Merkel ha salvato i valori della solidarietà e la stabilità dell’Ue. Se Germania e Austria non avessero aperto i confini, in pochi mesi si sarebbero ritrovati nei Balcani dai 300 a 400mila profughi. A quel punto la Grecia sarebbe collassata, e chi può escludere che non sarebbe riesplosa in quell’area così fragile un’altra guerra dei Balcani?».

Il suo ultimo libro s’intitola “ I nuovi tedeschi”: nuovi in che senso?
«I nuovi tedeschi sono i profughi che riusciranno a integrarsi. Come i tedeschi che a Monaco o Berlino li hanno accolti rivelandosi “nuovi” per quegli europei che sulla Germania proiettano i cliché di un popolo avaro, conservatore e moralmente rigido».

Non vede un grumo di verità in quei cliché?
«Oggi qui in Germania si gioca la nostra “identità”, cosa voglia dire essere tedesco in un Paese in cui oltre il 20 per cento dei cittadini ha origini straniere. Trovarsi al centro d’Europa comporta per la Germania la continua “novità” di migrazioni, anche se non tutti i tedeschi ne vedono i lati positivi».

Non solo Frau Petry di AfD, anche altri Stati della Ue, specie il gruppo di Visegrad, hanno aspramente criticato la politica migratoria della Merkel...
«L’aggressivo neoimperialismo della Russia di Putin, la crisi dell’euro e delle economie al sud dell’Ue insieme alla Brexit stanno cambiando il ruolo della Germania. In questo contesto gravano su Berlino più responsabilità. Ma la crisi dei profughi ha indebolito la posizione della Merkel sia in Europa che in Germania. Anche se la politica di Trump suggerisce ai tedeschi di non voltare le spalle alla stabilità merkeliana e di non fidarsi dei pifferai d’estrema destra».

Specie nei cinque Länder all’est montano le proteste contro i migranti, e AfD vi ha raggiunto picchi del 25 per cento...
«La Germania dell’est è la parte più “tedesca” della Germania, e questo è il risultato delle menzogne ideologiche di 40 anni della ex-Rdt. Non solo nell’ex-Rdt, anche nei Paesi dell’ex blocco sovietico il mito dell’internazionalismo proletario si rovescia oggi nel più crudo nazionalismo e in accessi di xenofobia e antisemitismo. Oggi i tedeschi dell’est viaggiano liberamente, ma portandosi dietro le loro paure e frustrazioni e alla fine votano Afd».

Cosa è cambiato in questi 25 anni dal crollo del Muro nella politica tedesca?
«Quel che è cambiato in Germania ha un nome e una data precisi: la coscienza del bombardamento angloamericano di Dresda nel febbraio 1945. Rispetto a quell’evento i tedeschi hanno iniziato a sentirsi anche vittime, non solo seguaci e carnefici di Hitler. Non è un caso se i cortei del movimento islamofobo e xenofobo Pegida sono nati a Dresda. Oggi scontiamo il fatto che sino al 1990 la cultura democratica dei tedeschi dell’est non era evoluta, e anche in questo senso la Germania è un Paese diviso».

La disoccupazione ai minimi storici; il Pil in crescita, le esportazioni da record: cosa spinge i tedeschi a votare l’estrema destra?
«A differenza della fase finale di Weimar, oggi non sono più i rapporti economici a spingere la gente in braccio ai populisti di destra: nell’era del capitalismo globale è il risentimento il motore della destra. Chi vota AfD lo fa perché si sente declassato e abbandonato dai partiti che, secondo lui, accordano privilegi ai rifugiati e non ai tedeschi che dalla nascita hanno il passaporto».

Cosa accade se, il 24 settembre, AfD entra nel Bundestag di Berlino?
«Se alle elezioni Afd resta sotto il 10 per cento ciò non ha gravi conseguenze per la politica di Berlino. Ma al di sopra del 10 il successo di AfD sarebbe un terremoto per l’Ue».

Perché?
«Perché la stabilità d’Europa è l’asse franco-tedesco che si è incrinato dal momento in cui Parigi ha preso ogni decisione in riferimento al Front National di Marine Le Pen. Se anche a Berlino ogni decisione venisse presa in riferimento alla AfD, l’Ue entrerebbe in una fase di agonia».

Non esagera l’importanza della signora Petry e di AfD?
«La Repubblica federale ha avuto dal dopoguerra una funzione di mediazione al centro d’Europa. I governi di Berlino hanno esercitato nell’Ue la funzione di ricerca del compromesso e finanziamento dei progetti: due virtù repubblicane che han fatto da cornice alla prosperità tedesca. Non solo le esportazioni del made in Germany, anche la funzione moderatrice della Germania si incepperebbe con una AfD forte nel Bundestag».

Lo storico Ernst Nolte diceva che la Germania ridiventerebbe “normale” solo quando nel Bundestag entrerà una destra...
«Non condivido l’opinione di Nolte. Prima di tutto per motivi geopolitici e la funzione di “ancora” della Germania al centro d’Europa. Poi per motivi storici e l’orrore del passato nazista. E terzo perché i tedeschi, come diceva Heine, tutto quel che fanno lo fanno in modo sistematico. Per questo una destra forte non porterebbe più normalità in Germania, ma alla fine della Ue».

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