Mondo
30 dicembre, 2019

Libia, il fallimento dell'Europa scavalcata anche da Turchia e Russia

12/05/2019 Tripoli, combattenti delle forze del governo libico appoggiato dall'ONU durante gli scontri con le truppe dell'Esercito Nazionale Libico, alle porte della città
12/05/2019 Tripoli, combattenti delle forze del governo libico appoggiato dall'ONU durante gli scontri con le truppe dell'Esercito Nazionale Libico, alle porte della città

La mediazione italiana fra le due fazioni del paese africano non può riuscire. Perché il vuoto è stato riempito da altre potenze (Foto di Alessio Romenzi per L’Espresso)

12/05/2019 Tripoli, combattenti delle forze del governo libico appoggiato dall'ONU durante gli scontri con le truppe dell'Esercito Nazionale Libico, alle porte della città
A metà dicembre, il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, nel tentativo di riconquistare terreno in Libia, si è recato prima a Tripoli, per incontrare Fayez al Sarraj, a capo del Gna - Governo di Unità Nazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite - e nella stessa giornata è volato in Cirenaica per un colloquio con il generale Khalifa Haftar che il 4 Aprile scorso ha lanciato un’offensiva militare sulla capitale, provocando in nove mesi 150 mila sfollati e più di mille vittime. Atterrato di nuovo in Italia, Di Maio ha ribadito che per la Libia non esista una soluzione militare e che sia necessario un percorso diplomatico, proponendo la nomina di un inviato speciale in tempi rapidi.

Peccato che la visita - anzi, le visite - italiane non solo arrivino fuori tempo massimo, in un paese in guerra permanente, ma che la scelta di incontrare nella stessa giornata il capo del governo di Tripoli e quello dell’autonominato Esercito Nazionale Libico, sia stata raccolta tiepidamente e con malcelato scetticismo da entrambi gli interlocutori.

Di Maio atterra in Libia quando il conflitto si è da tempo trasformato da guerra civile a guerra multipolare.
L’antica contesa Italia-Francia, con i governi italiani a sostegno di Tripoli (per ragioni note: migrazione e gas) e quelli francesi a sostegno di Haftar, è un ricordo ormai sbiadito. L’Europa, così come gli Stati Uniti, nel film della nuova stagione libica sono comparse, mentre gli attori protagonisti sono diventati la Russia, la Turchia e i potenti, e ricchissimi paesi del golfo (Emirati, Arabia Saudita e Qatar) che hanno aggiunto alla partita militare anche quella religiosa tutta interna al mondo sunnita.

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Mentre il governo di Tripoli (Gna) è supportato da Turchia e Qatar, l’uomo forte con base a est Khalifa Haftar ha il sostegno dell’Arabia Saudita, dell’Egitto e degli Emirati Arabi Uniti e della Russia.

Sarraj lamenta da mesi l’assenza diplomatica italiana ed europea, reclama una netta, chiara presa di posizione degli antichi alleati, soprattutto dopo l’escalation dei mesi scorsi, che ha visto mercenari russi del gruppo Wagner, un esercito privato legato al Cremlino e al presidente russo Vladimir Putin, arrivare a soccorso delle deboli truppe di Haftar e cambiare pericolosamente le sorti del combattimento.

Quando i mercenari, i cecchini russi sono arrivati sulla prima linea del fronte di Tripoli, ben addestrati e con armi altamente tecnologiche, infliggendo battaglie aspre alle truppe di Sarraj, il Gna è corso ai ripari, e il vuoto diplomatico lasciato da un’Europa sempre più divisa sulla partita libica e da governi animati da uno spirito protettivo degli interessi nazionali ma ciechi sulla visione complessiva dei rapporti di forza della regione, è stato riempito da Erdogan e Putin.

La Libia di Sarraj ha firmato con la Turchia due accordi, uno sui confini marittimi e uno per la cooperazione militare, destinati ad alterare gli equilibri con i paesi vicini e aumentare la già alta tensione nel Mediterraneo proprio perché giocati intorno ai due grandi nodi della stabilità libica: le armi, e le risorse energetiche, gas e petrolio.

Erdogan sta capitalizzando la debolezza di Tripoli e l’assenza dell’Europa, con un trattato sui diritti di perforazione del gas nel Mediterraneo, attraverso cui la Turchia assorbirebbe una parte delle acque territoriali della Grecia.

L’accordo di frontiera marittima traccia una linea verticale attraverso il Mediterraneo, interrompendo i piani tra Grecia, Cipro, Egitto e Israele sui diritti di trivellazione di petrolio e gas, in tale modo la Turchia limita di fatto l’esplorazione di petrolio e gas nel Mediterraneo orientale al largo della costa di Cipro. Ankara non ha mai riconosciuto e firmato la convenzione Onu del 1982 sui confini marittimi, non riconosce la Repubblica di Cipro Sud e i suoi accordi per una zona economica esclusiva con Egitto, Libano e Israele, dunque ritiene di operare in acque di propria competenza o in aree in cui l’autoproclamata Repubblica turca di Cipro del Nord possa vantare dei diritti, di conseguenza il memorandum turco-libico ha provocato un’immediata preocupazione di Grecia, Egitto e Cipro e dei paesi Ue con interessi energetici nell’area.

Jalel Harchaoui, research fellow al Clingendael Institute de L’Aia, commentando gli sviluppi della situazione e la recente visita di Di Maio dice «l’attuale governo italiano non è stato serio nel contrastare Haftar e Eni non è preoccupata tanto della gestione degli affari energetici in Libia, quanto piuttosto dalle strategie turche nel Mediterraneo orientale. Su questo, Roma e Parigi non hanno atteggiamenti molto diversi, sembrano entrambi convinti che gli Emirati aiuteranno Haftar a conquistare Tripoli prima e tutta la Libia poi».

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Emad Badi, ricercatore presso il Middle East Institute in un commento dal titolo “Libya, war of the many” per il Carnegie Endowment for International peace aggiunge che la condanna al protocollo energetico arriva da un ampio fronte Cipro-Egitto-Israele e che «questa dinamica geopolitica è aggravata dal fatto che le compagnie petrolifere italiane e francesi - Eni e Total - stiano conducendo trivellazioni offshore al largo della costa sud-occidentale di Cipro». Interessi coincidenti, dunque. Ma mentre la Francia è sempre stata un fedele sostenitore di Haftar, l’Italia ha gradualmente sviluppato una politica di ambivalenza nei suoi confronti.

Haftar e i suoi sostenitori vorrebbero, in sostanza, minare le alleanze internazionali al governo di Tripoli anche approfittando del sentimento anti-turco in Europa, e aprendo nuove strada con la Lega Araba e l’Unione africana.

All’accordo energetico va ad aggiungersi poi quello militare, il patto di sicurezza che prevede che - previa richiesta del Gna - la Turchia invii truppe in Libia.

Il coinvolgimento massiccio di Ankara avviene nei giorni di pubblicazione di un report di quasi 400 pagine del panel di esperti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che denuncia ripetute e costanti violazioni dell’embargo sulle armi. Secondo gli esperti le armi arrivano in Libia via mare e via aerea, senza distinzione di schieramento e principalmente da Emirati Arabi Uniti, Giordania e Turchia. Il report conferma la presenza di mercenari, gruppi armati sudanesi, principalmente a supporto di Haftar, e ciadiani.

Secondo le Nazioni Unite, il generale Haftar ha dominato i cieli con droni Wing Loong di produzione cinese forniti dagli Emirati Arabi Uniti, la Turchia ha - a sua volta - inviato i droni Bayraktar per contrastare quelli di Haftar, ma meno sofisticati, e molti andati distrutti.

Ghassan Salame, l’inviato speciale Onu per la Libia, ha dichiarato proprio a Roma in occasione del Med, che l’embargo sulle armi è stato violato almeno 45 volte dal 4 aprile, data di inizio dell’offensiva e che le interferenze delle potenze straniere in Libia - sia diplomaticamente che militarmente - sia il più grande ostacolo alla pace e abbiano impedito un cessate il fuoco.

Il processo per una soluzione diplomatica, cioè la nuova conferenza a Berlino, iniziato a Settembre, avrebbe dovuto stabilire il perimetro della fine delle violazioni dell’embargo e il raggiungimento di un cessate il fuoco, eppure non solo l’invio di armi non si è mai interrotto, ma l’intensificarsi delle spedizioni di armamenti, attacchi aerei e abbattimento di droni (uno italiano e uno americano) non ha ricevuto l’eco attesa da Tripoli, aumentando dunque l’esigenza di Sarraj di un sostenitore forte, sfociata negli accordi con Erdogan.

Jalel Harchaoui - commentando l’opposizione Ankara-Mosca - sostiene che Erdogan non stia cercando lo scontro frontale con i mercenari russi, avendo più volte dichiarato l’intenzione di coordinarsi con il presidente russo Putin, che incontrerà il prossimo 8 gennaio: «Russia e Turchia non sono alleati ma certamente non sono nemici. Pertanto, è molto probabile che una forma di intesa tra Ankara e Mosca prenda forma nel teatro libico. Non sarà ordinato o perfetto, ma non è corretto supporre che Ankara e Mosca lo tireranno fuori direttamente in Libia. A differenza dei francesi e degli Emirati, i russi non credono che l’Lna possa mai vincere Tripoli. Di conseguenza, una qualche forma di accordo tra Putin ed Erdogan è una possibilità reale».

Quello che si gioca sul terreno libico è anche una opposizione interna al mondo sunnita e all’Islam politico. La Turchia e il Qatar in Egitto avevano appoggiato l’ex presidente Mohamed Morsi e i Fratelli Musulmani, nemici giurati di Al Sisi, attuale presidente egiziano, storico e solido sostenitore di Haftar.

L’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, insieme a Haftar, considerano la Fratellanza un gruppo terroristico, e quindi, per la proprietà transitiva, anche il governo di Tripoli che è supportato dalla Turchia e dal Qatar. Questa prossimità alimenta la retorica haftariana della guerra su Tripoli come campagna antiterrorismo, sebbene nelle fila del suo sedicente esercito ci siano milizie salafite.

In questo complesso scacchiere regionale, l’Europa cerca una mediazione tardiva che pare difficilissima: modellare gli interessi in Libia degli Stati Membri e creare una strategia europea comune che prema per una stabilità duratura.

L’alternativa, in assenza di strategie, è che altre potenze continuino a riempire i vuoti, a capitalizzare l’abbandono del paese nordafricano, soprattutto da parte delle diplomazie europee e di quella americana.
Haftar dovrebbe essere a Roma nelle prossime settimane, secondo quanto dichiarato dallo stesso di Maio di ritorno da Tripoli.

Per quanto sottovalutata, la crisi, però, resta urgente.

E nella confusione e disunione europea, al tavolo della trattativa ci sono ormai altri giocatori, sul piatto non ci sono solo le trivellazioni nel Mediterraneo orientale e la protezione delle risorse energetiche, ma orizzonti più ampi: la spartizioni di poteri che si diramano fino ad arrivare in Siria, l’altro grande teatro delle trattative tra Erdogan e Putin.

Un fallimento dunque delle diplomazie mordi e fuggi europee, dei memorandum a fini elettorali.

Fallimento che rende la Libia il tavolo verde di una scommessa su cui si gioca il futuro della sicurezza, e che vede l’Italia un marginale figurante che si atteggia a fare il divo.

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