È figlia dell'ultimo re. E ambasciatrice culturale del governo in Europa. Non condivide l'apertura incondizionata di Trump ai talebani. E avverte: «Almeno teneteli lontani dai ministeri che riguardano la condizione femminile». Intervista alla principessa India di Afghanistan

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Bibi Jan, ovvero “cara signora” in lingua dari, come preferisce farsi chiamare sua Altezza Reale la principessa India di Afghanistan, figlia del re tuttora più amato della storia afghana, Amanullah Khan (colui che appena salito al trono nel 1919 portò il paese all’indipendenza dalla Gran Bretagna e gli diede una Costituzione) quando tra poche settimane tornerà a Kabul non andrà più a controllare i pozzi e a distribuire medicine a dorso di cavallo. La principessa India di Afghanistan ?dal 2006 è ambasciatrice del governo afghano per la promozione in Europa ?della cultura e delle opere umanitarie.

La “figlia del Re”, come l’hanno sempre chiamata i suoi connazionali, dalla fine ufficiale del regime talebano vive per metà dell’anno a Roma e metà nella sua patria, dove presiede eventi culturali e partecipa al dibattito pubblico, comparendo spesso anche in tv. Ma ciò che più le interessa è seguire di persona l’andamento nelle aree rurali dei progetti umanitari da lei promossi a favore dei bambini, dei disabili e delle donne. «È importante che io vada a verificare se i pozzi d’acqua funzionano e se le altre opere procedono. Tengo molto alla scolarizzazione dei bambini, specialmente delle bambine, e all’alfabetizzazione delle donne. Per arrivare nei villaggi più remoti talvolta bisogna andare in motocicletta o a cavallo perché non ci sono strade, ma l’anno scorso è stata un po’ dura, e penso che quando a breve ritornerò dovrò trovare un altro modo per arrivarci. Del resto a giugno compio 90 anni e spero di rimanere in salute per poter assistere in agosto alle celebrazioni per il centenario dell’indipendenza».

Il 28 gennaio scorso gli Stati Uniti ?e i talebani hanno annunciato di aver delineato il quadro di un possibile accordo che metterebbe fine a 17 anni di guerra. Per sedersi al tavolo dei negoziati, i rappresentanti dei talebani però hanno preteso dalla controparte di non convocare le autorità di Kabul.

Bibi Jan, non le sembra un tradimento, soprattutto nei confronti della parte femminile della popolazione afghana, che la Casa Bianca abbia accettato le condizioni dei talebani?
«Prima di dare un giudizio, dobbiamo aspettare per vedere quali accordi i talebani accetteranno di sottoscrivere con il governo di Kabul, perché senza colloqui diretti con l’esecutivo quanto deciso a Doha rimarrà sulla carta. Il presidente Trump non è interessato alla sorte della popolazione. Ora Trump vuole lasciare il teatro afghano perché ha un’altra agenda. L’unica questione che ancora gli preme per quanto riguarda l’Afghanistan è evitare che Daesh si diffonda ulteriormente. Sapendo che l’esercito afghano non è in grado di contrastare da solo gli affiliati del Califfato islamico, è disposto a scendere a compromessi con i talebani. Per le donne afghane purtroppo non c’è grande differenza tra i talebani e i membri di Daesh. Entrambi ritengono la donna inferiore all’uomo e vogliono tenerla confinata nell’ignoranza e dentro le mura domestiche. L’unica speranza è che i talebani coinvolti nei negoziati odierni siano più moderati di quelli che stavano ?al governo prima dell’inizio del conflitto».

Suo padre e sua madre, la regina Soraya, furono definiti “i grandi modernizzatori” per avere imposto per legge, tra le tante riforme, anche l’uguaglianza tra uomo ?e donna e l’obbligo di istruzione per le bambine. Secondo lei la decisione del presidente Trump di ritirare le truppe dall’Afghanistan renderà inutili le enormi sofferenze patite dalle donne sotto il regime talebano?
«La società afghana, pur con tutti i problemi dovuti all’insicurezza, alla povertà, alla mancanza di infrastrutture, in questi ultimi 17 anni si è comunque sviluppata. Anche le donne hanno avuto più accesso all’istruzione e alla vita pubblica. Se i talebani dovessero in futuro fare parte del governo, la vita delle donne potrebbe tornare indietro, ma forse non del tutto, perché la società intanto si ?è evoluta».

Pur sapendo che i talebani sono stati coloro che hanno ribaltato le riforme ?a favore delle donne parteciperà comunque alle celebrazioni se ad agosto avessero già firmato la pace con ?il presidente Ghani?
«Sicuramente parteciperò alla annuale cerimonia per l’indipendenza al ministero della Difesa. Se ai talebani venissero dati ministeri sensibili, specialmente per le donne, come quello dell’educazione, dovrei valutare prima il loro comportamento».

Quando si parla di donne afghane e talebani si commette un errore ?di semplificazione?
«Sì è così. Le faccio un esempio, le contadine anche durante il regime talebano non hanno mai portato il chodari (burqa) perché avrebbe impedito loro di lavorare nei campi. La gran parte delle donne delle etnie turcofone che vivono nel nord del paese hanno continuato a vestire i loro abiti tradizionali e a praticare le loro usanze. Per quanto riguarda i talebani ci sono vari gruppi tra cui quelli formati da guerriglieri, alcuni mercenari, provenienti da altri Paesi. Io auspico che rimangano operativi solo i talebani ?di origine afghana».

Perché?
«Perché conoscono meglio le tradizioni ?e le usanze famigliari afghane».

Nella vita di tutti i giorni come vivono ?le afghane?
«Tra le classi più povere e senza cultura, purtroppo ancora oggi le bambine vengono confinate in casa a servire i loro fratelli. Oggi però, per fortuna, ci sono anche molte donne laureate. La gran parte dei migliori laureandi attuali è costituita da donne, un dato che fa ben sperare per il futuro della popolazione femminile del mio Paese».