La crisi climatica, il movimento di Greta Thunberg, la debolezza della politica. Parla l’ex ministro francese Nicolas Hulot che ha detto no a Macron. E pensa all’Eliseo

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Nicolas Hulot ha segnato la storia della politica francese. Nominato Ministro della transizione ecologica e solidale del governo Macron, l’anno scorso, a sorpresa, si è dimesso: il tutto in diretta durante una trasmissione radiofonica di France Inter, la radio francese più popolare, qualche mese prima dell’inizio della contestazione dei gilet gialli. Il suo gesto ha fatto discutere: qualcuno l’ha considerato come un elettroshock positivo, necessario per risvegliare la coscienza collettiva sui temi dell’ecologia; altri l’hanno considerato un gesto di rassegnazione. Hulot è lo storico presentatore di un programma televisivo di documentari sull’ambiente molto noto in Francia, “Ushuaia”.

Nel 1990 ha creato la sua Fondazione grazie alla quale tenta di sensibilizzare l’opinione pubblica e suggerire al mondo politico delle soluzioni per la transizione ecologica. Corteggiato da diverse personalità politiche, da Chirac a Hollande, da alcuni anni compare nei sondaggi come potenziale candidato alla Presidenza, ma per ora, lui afferma, il 2022 è ancora lontano. Ci ha ricevuto nella sua casa a Saint-Lunaire, piccolo paese della Bretagna che si affaccia sulla Manica, dove vive con la famiglia.
 
Dopo aver lavorato per anni sulle questioni climatiche e ambientali, secondo lei come si deve affrontare la crisi ecologica?
Penso che oggi stiamo assistendo ad una crisi che non è semplicemente ecologica ed economica, ma è una crisi sociale, una crisi di senso. C’è una frase di Einstein che mi piace molto : la nostra epoca è caratterizzata dalla profusione dei mezzi e dalla confusione delle intenzioni. Penso che sia la reale caratteristica di questo periodo. Abbiamo raggiunto grandi conquiste economiche e scientifiche, ma non sappiamo a quale progetto collettivo destinarle. Viviamo un deficit di coscienza, la coscienza si è desincronizzata rispetto alla scienza. Ma la speranza è viva: abbiamo tutti gli strumenti per fare un salto qualitativo, quello che ci manca sono un impegno e un’intelligenza collettivi.
 
Crede davvero che esista qualcosa come l’intelligenza collettiva?
Può esistere se c’è una comunione di destino. A causa della crisi ecologica o perderemo tutti insieme o vinceremo insieme. Presto dovremo renderci conto che siamo insieme su una nave che affonda e nessuno ci salverà dal naufragio. Per me l’essenziale non è accumulare nuove invenzioni tecnologiche, ma condividere le nostre competenze. Penso che dovremmo essere più impegnati a costruire dei ponti, piuttosto che dei muri, ma se costruiamo dei ponti, ovvero se applichiamo la solidarietà, potremmo riuscire a salvarci. C’è un fondo di utopia in questo progetto.
 
Lei ha lavorato a lungo come giornalista e si è fatto conoscere dal grande pubblico come presentatore TV. Perché a un certo punto ha deciso di impegnarsi in politica?
Grazie alla mia professione precedente, mi sono reso conto rapidamente che il pianeta è piccolo, vulnerabile e che l’uomo è diventato una forza geologica distruttrice. Per questo ho voluto impegnarmi per la difesa del nostro futuro: l’ho fatto grazie alla mia Fondazione, attraverso la mobilitazione della società civile, l’interrogazione dei politici, creando dei ponti tra gli scienziati e i protagonisti del mondo economico, gli artisti e il grande pubblico. Mi sono impegnato per una decina d’anni a coinvolgere i cittadini su temi avvertiti come esotici: ho avuto qualche successo, ma anche tante frustrazioni. Non capivo perché servisse tanta energia per convincere le persone a salvare sé stesse. A un certo punto mi sono detto: tramite la Fondazione ho frequentato il mondo politico, ora bisogna sincronizzare la volontà dei cittadini e quella dei politici. Dopo trent’anni d’attivismo, ho iniziato a pensare alla politica. Mi è stato proposto più volte di essere Ministro, da parte di Jacques Chirac e François Hollande, ma ho rifiutato perché non faceva parte delle mie ambizioni. Mi sono sempre sentito un elettrone. Col tempo ho acquisito un po’ di esperienza, e quando Macron mi ha chiesto di diventare Ministro ho voluto accettare di impegnarmi fino in fondo per la mia causa.
 
Perché questa volta ha accettato?
Perché al momento della sua elezione Macron ha favorito la diversità politica e civile, ha creato un governo con un buon mix di donne e uomini del mondo politico e della società civile, superando le distinzioni politiche. Ho quindi pensato che a 64 anni non avrei avuto ancora tante occasioni per diventare Ministro! Ero convinto che avrei potuto stimolare un approccio collettivo, e non solo verticale, della transizione ecologica. Avevo detto a Macron: “La transizione ecologica è una transizione sociale, e non è possibile delegarla a un solo uomo o a un Ministro. Bisogna che ciascuno faccia la sua parte”.
 
Cosa ha imparato dalla sua esperienza da Ministro della transizione ecologica e solidale?
Più che imparare, direi che ho confermato molte cose. La prima cosa è cruciale per la pratica della democrazia: appena ricevuta la nomina da Ministro, si viene travolti da un fiume in piena. C’è la pressione del presente: il tempo dedicato alla riflessione e alle previsioni è limitato. E’ come trovarsi in una lavatrice! L’esercizio del potere vi prosciuga e non c’è un momento per ricaricarsi, per ponderare le proprie decisioni. La seconda cosa è che ogni mattina un uomo politico si rende conto che ha pochissimo potere: ci sono tantissimi freni e resistenze. Un ministro si trova alla giunzione di forze contradditorie, è sempre sottoposto a pressioni multidirezionali. Ogni categoria socioprofessionale cerca di far valere i propri interessi con forza. Poi ci si confronta con l’inerzia dell’amministrazione, la pressione dei media e il peso delle lobby. L’insegnamento che traggo dall’esperienza da Ministro è che le nostre democrazie sono molto reattive su questioni a breve termine, ma non sono attrezzate per rispondere ai problemi del futuro. La questione essenziale è il tempo: l’attuale ritmo mediatico, il ritmo politico non sono propizi alla pianificazione e all’esercizio della ragione.
 
Cosa propone per combattere l’effetto centrifuga nell’esercizio del potere esecutivo?
Penso che in Francia, per esempio, si potrebbe creare una terza camera, la camera del Futuro! Un organo in cui scienziati, cittadini e corpi intermedi possano rappresentare le generazioni future, proporre decisioni e opporsi a quelle che potrebbero compromettere il loro futuro.
 
Il 28 agosto 2018 durante una trasmissione radio di France Inter lei, a sorpresa, dopo quindici mesi di governo, ha dato le dimissioni. Ha definito questo atto “la decisione più difficile e dolorosa della mia vita” e ha affermato “non voglio più mentire a me stesso”. E’ rarissimo che un uomo politico dichiari pubblicamente la propria crisi interiore. Per quale ragione ha dato le dimissioni?
Essere Ministro non era una mia ambizione, ma la mia missione per realizzare la sfida più importante, quella dell’ecologia: oggi non siamo più in una fase di urgenza, ma di crisi. L’accordo che avevo preso con il Presidente era quello di cambiare prospettiva nel trattamento della crisi ecologica, adottando un approccio sistemico. Ero al governo per essere utile, e data l’importanza e la complessità della crisi, volevo lanciare una transizione profonda e irreversibile in tutti i campi, energia, agricoltura, trasporto. Ho aspettato di avere la convinzione assoluta che non avrei avuto i mezzi di condurre la politica che auspicavo. Restando al governo avrei mentito, facendo credere che avrei potuto realizzare gli obiettivi che mi ero fissato. Penso sia stata un’occasione persa: il Presidente godeva di un’ampia fiducia che gli avrebbe permesso di fare molte cose.
 
Il 28 aprile su BFMTV la nuova portavoce del governo, Sibeth Ndiaye, ha commentato così le sue dimissioni: “Credo che bisogna interpretare la partenza di Nicolas Hulot come la partenza di un militante che fatica a confrontarsi con quel che significa quotidianamente l’esercizio del potere”. Cosa ne pensa?
Penso di essermi perfettamente confrontato alla realtà, ma ho rinunciato, a differenza di altri, alla rassegnazione, alla fuga dalla realtà. La tendenza nel mondo politico è dissimulare la realtà, e io non ho voluto farlo. Sono giunto al governo senza ingenuità, ma con volontà e determinazione. Ci sono dei temi sui quali bisogna adattarsi a procedere a piccoli passi, ma sulla crisi ambientale e climatica che minaccia l’umanità questo non è possibile, su questo saremo giudicati dalla storia.
 
Nella sua ultima conferenza stampa il Presidente Macron ha annunciato la creazione di un consiglio cittadino per stabilire le priorità per la transizione ecologica...
Si, ma non basta. Oggi il governo ha sufficienti elementi sul tavolo per sapere quali dovrebbero essere le sue priorità. Il problema è: come si finanziano queste priorità? Per la transizione ecologica servono investimenti di miliardi di euro. Si possono lanciare tantissimi progetti, ma come si finanziano? Questa è la vera questione. Quali leve giuridiche possono applicarsi? E’ necessaria una pianificazione. Se, come ha annunciato il governo, si vuole realizzare un gran progetto di rinnovazione termica, bisogna stabilire strumenti economici e tappe precise di finanziamento. Il ruolo dello Stato è lanciare e accompagnare la transizione ecologica.
 
Non pensa che la questione dei finanziamenti per la transizione ecologica siano da pensare a livello europeo?
Sarebbe più coerente, efficace e giusta una fiscalità ecologica a 28 piuttosto che a livello nazionale. Siamo vicini ad un appuntamento essenziale per l’Europa: se vogliamo riconciliare gli europei con l’Europa servono una visione e delle regole comuni, soprattutto a livello fiscale. Gli investimenti attuali dell’Unione europea non sono abbastanza concentrati sulla transizione ecologica. Nel passaggio da un modello economico ad un altro bisogna investire, per esempio presto avremo la revisione della PAC (Politica agricola comune, ndr), per ora non vedo un progetto soddisfacente dei fondi della nuova PAC, mentre questa è veramente l’occasione per trasformare le nostre abitudini di consumo e di alimentazione. In Europa i cittadini hanno un’attesa profonda di prodotti locali e di qualità.
 
Oggi assistiamo alla mobilitazione di collettivi, associazioni, artisti e attori, ma sopratutto giovani, che organizzano manifestazioni, performance, scioperi, come i famosi Fridays for Future. Per non parlare delle petizioni per il clima, che abbondano sul web. Secondo lei queste azioni sono il segno di un impegno politico profondo o rischiano di essere una partecipazione a buon mercato e perciò di diventare effimere?
Non smetto di pormi la domanda. Fino a che punto le persone sono pronte ad impegnarsi? Mi piacerebbe sapere se le persone che firmano une petizione sono pronte a cambiare in profondità il loro comportamento. Da 20 anni assisto a diverse azioni, come le manifestazioni o gli editoriali, il rischio è che diventino routine. Nonostante tutto, è importante che questi movimenti emergano dalla società civile : le marce dei giovani contribuiscono a dare una scossa allo stato delle cose.
 
Come spiega il successo di Greta Thunberg ?
Penso che i giovani si stiano rendendo conto brutalmente che saranno le vittime di qualcosa che non hanno contribuito a provocare. Osservano che gli adulti non si attivano perché non si sentono coinvolti, le conseguenze a lungo termine non sembrano preoccuparli.
 
Cosa pensa del progetto della TAV, la linea ad alta velocità che dovrebbe connettere Torino e Lione?
Mi fa pensare al progetto dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes, sembrava indispensabile, ma poi si sono trovate delle alternative. A volte si può fare bene con quel che già esiste, per esempio so che esiste una linea che passa per Modane che potrebbe essere meglio sfruttata.
 
Il problema della sconnessione tra Parigi e il resto della Francia, al centro dei dibattiti politici attuali, è antico. Perché proprio ora la manifestazione dei gilet gialli?
L’aumento della tassa carbone è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. A questo si aggiunge la distanza tra Parigi e il resto della Francia, a Parigi nelle trasmissioni TV si ritrovano i commentatori che sanno tutto di tutto e parlano a nome della maggioranza, a Parigi si prendono decisioni spesso lontane dalla realtà. In questo scarto tra la capitale e il resto del paese è nata una profonda frustrazione, che comprendo, ma non giustifico gli atti di violenza.
 
Ma senza violenza pensa i gilet gialli avrebbero ottenuto gli stessi risultati dal governo?
No, ed è una lezione per il potere. Non bisogna aspettare che le marce diventino violente. Faccio riferimento alle marce per il clima: erano molto più frequentate, c’era un’atmosfera famigliare, conviviale, artistica ma non hanno provocato quasi nessuna reazione.
 
Per quale lista voterà alle elezioni europee?
Non lo so ancora.
 
Pensa di candidarsi nel 2022?
Il 2022 è lontano.

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