La Croazia, membro Ue, utilizza i fondi di Bruxelles per rimandare con la forza i rifugiati in Bosnia e Serbia. Una prassi del tutto illegale. Migliaia di persone portate via di nascosto e di notte attraverso i boschi, con i gps oscurati

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«Ho aiutato più volte i miei colleghi a respingere dei migranti illegali da Zagabria al confine della Croazia con la Bosnia-Erzegovina e con la Serbia. Li abbiamo condotti a una zona di frontiera istruendoli a tornare in Bosnia o in Serbia, senza registrarli e senza permettere loro di richiedere asilo. Questi erano gli ordini dei nostri superiori».

Sono le parole testuali di un agente di polizia di Zagabria. Ed è una conferma di quanto è stato rivelato da organizzazioni internazionali e locali come Amnesty International, Human Rights Watch e Are You Syrious: le forze di polizia croate stanno violando le leggi locali e internazionali effettuando sistematicamente e illegalmente respingimenti e espulsioni collettive di richiedenti asilo nella vicina Bosnia-Erzegovina e in Serbia.

Pur essendo uno Stato membro dell’Unione europea, la Croazia non è un paese dell’area Schengen, ma è desiderosa di dimostrare che è pronta a entrare nella zona senza frontiere nel 2020, chiudendo i confini dell’Ue alle migrazioni irregolari. Quando l’Ungheria ha eretto recinti impenetrabili lungo i suoi confini con la Serbia e la Croazia nel 2015, i profughi hanno inaugurato una nuova rotta verso l’Europa occidentale attraverso la Bosnia-Erzegovina (extra Ue) e la Croazia (che è nella Ue). I due paesi condividono un confine che si estende per 950 km, in gran parte lungo la cosiddetta “area verde” al di fuori dei valichi ufficiali.
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Nonostante le centinaia di testimonianze di rifugiati che sono stati rimandati illegalmente in Bosnia e in Serbia, nonostante le prove video raccolte dalle organizzazioni non governative e dai media, nonostante le dichiarazioni di cittadini della Bosnia-Erzegovina che hanno visto in azione le forze di polizia croate nel respingimento dei profughi, il ministero degli Interni croato nega tutte le accuse. Il suo titolare, Davor Božinovic, ha affermato che i migranti spesso «accusano falsamente» gli agenti di polizia e che la polizia croata ha agito entro i limiti del diritto nazionale e di quello comunitario europeo. E sostiene inoltre che non si tratta di respingimenti o di rimpatri collettivi, ma piuttosto di “rifiuti d’ingresso” legali al confine. Questa è però la prima volta che fonti interne alla polizia confermano i rimpatri collettivi di richiedenti asilo da Zagabria, molto lontano dal confine croato. L’agente che abbiamo intervistato è stato in servizio per molti anni e abbiamo concordato di mantenere segreto il suo nome e il suo distretto di provenienza per motivi di sicurezza.
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«Ho respinto il primo gruppo di migranti all’inizio del 2017. All’epoca non sapevo nemmeno dove portarli. Avevo ricevuto gli ordini dal dirigente di polizia di turno, al quale dobbiamo riferire tutto ciò che avviene sul campo. Lo chiamai per dirgli che avevamo fermato un gruppo di migranti. Spesso erano gli stessi cittadini che ci telefonavano per segnalare la presenza di questi gruppi, che a volte incontravamo anche per strada. Il dirigente mi disse allora che mi avrebbe ricontattato in pochi minuti. Poi mi chiamò al mio telefonino privato dove le chiamate non sono registrate per dirmi di riportarli al confine. Se ci avessero chiesto asilo, avremmo dovuto rispondere “No azil” e poi caricarli sul furgone della polizia, disattivando la connessione col Gps che di norma trasmetteva continuamente la sua posizione, così nessuno avrebbe saputo dove eravamo. Dovevamo ovviamente condurre un’indagine, senza un mandato, per stabilire da quale paese provenivano o verificare la nazionalità da loro stessi dichiarata. Poi li avremmo portati via senza alcuna procedura documentata. Era insomma come se non li avessimo mai trovati né portati al confine».
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All’inizio il poliziotto non sapeva che questo trattamento era illegale. «Quando è approdata la prima ondata di migranti nel 2015, gli arrivi erano organizzati e ci avevano fornito delle direttive su come procedere. Ma quando hanno cominciato ad arrivare illegalmente, nessuno ci ha più dato istruzioni. Solo dopo averle esaminate abbiamo iniziato a studiare le leggi online per vedere che cosa era necessario fare, perché non li abbiamo respinti tutti automaticamente al confine. Ci siamo autoeducati e abbiamo capito che quel che avevamo fatto e il modo in cui lo abbiamo fatto non era legale».

Questi atti non solo violano il diritto dei rifugiati a cercare una protezione internazionale, ma anche la Convenzione europea per i diritti dell’uomo, che vieta le espulsioni collettive. I respingimenti possono essere effettuate solo su base individuale e in collaborazione con le forze di polizia del paese in cui una persona viene portata. La nostra fonte invece non ha mai informato né la polizia bosniaca né quella serba, ha semplicemente portato le persone al confine dell’area verde e le ha fatte passare da lì. Non esiste un testo scritto che documenti queste procedure.
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Non tutti i profughi che erano stati individuati venivano respinti. Se c’erano donne e bambini, o se più cittadini riferivano di aver visto i migranti, oppure ancora se questi venivano rintracciati in pieno giorno, quando qualcuno avrebbe potuto fotografare i poliziotti mentre li portavano via, allora si seguivano le regole, portandoli alla stazione di polizia, dove sarebbe iniziato il processo di identificazione. E dopo averli fotografati e aver preso le loro impronte digitali venivano inviati all’Hotel Porin - il centro di accoglienza per richiedenti asilo a Zagabria - dove sarebbero rimasti fino a quando non veniva presa la decisione se concedere loro l’asilo o no. Non tutti i dirigenti di turno, inoltre, ordinavano respingimenti illegali, e non tutti gli agenti accettavano questi ordini: «Ce n’erano alcuni che rifiutavano di eseguirli e venivano puniti assegnandoli a servizi di protezione. Dovevano sorvegliare un edificio per sei mesi e percepivano uno stipendio molto inferiore. E dopo aver visto a quali conseguenze andavano incontro, nessuno si è più rifiutato di respingere i migranti verso la frontiera. Secondo i regolamenti, dobbiamo rifiutare un ordine illegale e contestare i superiori che ce lo impongono. Ma non c’era nessuno a cui fare rapporto perché tutti gli ordini provenivano dai superiori ai quali dovevi rivolgerti in caso di violazioni delle regole. Sapevamo tutti che i dirigenti di turno ricevevano ordini dai loro superiori in grado. Non era un segreto. Questa è la gerarchia vigente nel ministero degli Interni. Ogni stazione di polizia ha un commissario con tre vice e il dirigente di turno non agisce solo di sua iniziativa». Tutti gli ordini venivano impartiti a voce e la nostra fonte non ha mai visto un ordine scritto. Non ha mai ricevuto ordini di usare la forza o distruggere le proprietà dei migranti, come hanno riferito molti di loro. «Sono state raccontate storie diverse, ma io personalmente non ho mai ricevuto ordini del genere e non ho mai visto nessun agente che picchiava i migranti».
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Ha respinto due gruppi in Bosnia-Erzegovina e uno in Serbia. Ogni volta, i gruppi erano composti da uomini più giovani. Una volta ce n’erano nove nel furgone e altre due volte ce n’erano quattordici. Stando alla legge, solo sei persone alla volta possono viaggiare sul retro di un furgone della polizia. E anche se tre rimpatri non sono molti, il nostro confidente sottolinea che questo è quel che è successo durante i suoi turni e se si tiene conto di tutti i turni di tutti gli agenti in tutti i distretti di Zagabria, durante un periodo di 365 giorni l’anno, si ricaverebbe un numero molto elevato di respingimenti illegali dalla sola area di Zagabria.

Il nostro poliziotto ha deciso di rendere pubblica la sua testimonianza, anche se rischia il licenziamento e perfino il carcere in caso la sua identità fosse scoperta. Sì, il carcere perché in sostanza - attuando deportazioni illegali - ha commesso un reato. Di cui i suoi superiori negherebbero sicuramente di essere a conoscenza. «Nessuno dei capi se ne assumerebbe la responsabilità se questa cosa venisse scoperta. Tutti durebbero di non saperne nulla e incolperebbero gli ufficiali di rango inferiore, anche se in realtà questi hanno ricevuto gli ordini dal dirigente di turno, dal vice commissario, dal commissario distrettuale, dal capo della polizia... Gli ordini sono discesi da chi sta in alto. Ma nessuno risalirà a loro e la colpa ricadrà sui poliziotti, che hanno meno responsabilità di tutti gli altri».
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Abbiamo chiesto al difensore civico croato, Lora Vidovic, un commento: «Queste accuse, purtroppo, confermano solo ciò che dicevamo e pubblichiamo da anni. Ma il ministero degli Interni continua a negare ogni responsabilità senza argomenti. E continua inoltre a sottolineare che tutti i poliziotti sono stati istruiti su come trattare adeguatamente i migranti, anche se adesso vediamo chiaramente che così non è». Alla Vidovic è stato negato l’accesso alle informazioni relative ai migranti dal ministero degli Interni, il che è contro la legge.
Amnesty International, nella sua ampia ricerca pubblicata lo scorso marzo, ha scoperto inoltre che i respingimenti sistematici e deliberati e le espulsioni collettive - a volte accompagnate da violenze e intimidazioni - sono un evento normale al confine tra Croazia e Bosnia-Erzegovina.

Milena Zajovic Milka dell’Ong croata Are You Syrious sostiene che nel 2018 sono stati effettuati, secondo le loro stime, ben 10 mila respingimenti.

Le città bosniache nord-occidentali di Bihac e Velika Kladuša, situate proprio al confine con la Croazia, sono diventate un rifugio temporaneo per circa 5.500 profughi e migranti. Abbiamo sentito decine di racconti simili da parte dei rifugiati dopo aver parlato con loro lo scorso giugno: hanno attraversato il confine croato, la polizia li ha catturati, i loro telefoni cellulari sono stati distrutti in modo che non potessero provare dove erano stati individuati e cosa era stato fatto loro per rendere più difficile un successivo sconfinamento. Molti di essi erano stati respinti in Bosnia dopo esser stati picchiati dalla polizia croata. Ci hanno anche mostrato ferite fresche e cicatrici guarite.
Umar e Rizwan (18 anni) e Alì (19) sono originari del Pakistan e sono stati ripetutamente respinti in Bosnia dalla polizia croata. Li hanno percossi con i manganelli. Hanno preso i loro soldi e distrutto i documenti rilasciati in Bosnia. Gli effetti personali, compresi i sacchi a pelo, sono stati bruciati. Una volta sono riusciti a raggiungere la Slovenia, ma la polizia locale li ha consegnati a quella croata che li ha respinti in Bosnia. La polizia slovena però non li ha picchiati.
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«La polizia croata è molto cattiva», hanno ripetuto molte volte.

Jelena Sesar, autrice del rapporto di Amnesty International, ha dichiarato che la sua organizzazione ha documentato numerosi casi di persone che sono state rimpatriate forzatamente dalla Slovenia e persino dall’Italia in Bosnia-Erzegovina. «Questi cosiddetti respingimenti a catena si sono verificati in modo apparentemente ben organizzato e attraverso un’efficace cooperazione della polizia italiana, slovena e croata», sostiene la Sesar.

Anche il sindaco di Bihac, Šuhret Fazlic, ha qualcosa da dire sul modo di agire della polizia croata. E dice di aver personalmente incontrato dei poliziotti croati armati, mentre andava a caccia nei boschi fuori città: stavano riaccompagnando con la forza in Bosnia un gruppo di 30-40 migranti. «Erano a circa 500 metri dal confine croato, sul suolo bosniaco. Mi presentai agli agenti e dissi loro che erano sul territorio bosniaco e che quello che stavano facendo era illegale. Ma fecero spallucce e si giustificarono spiegandomi che avevano ricevuto degli ordini». Il ministro croato degli Interni, Davor Božicevic, ha definito le affermazioni del sindaco «insinuazioni» e «false accuse».

 A quanto pare, si sente abbastanza potente e sicuro da negare ogni prova delle attività illegali commesse dalle forze di polizia che comanda. Questo significa che è sostenuto dall’Ue per proteggere i suoi confini, senza fare domande e usare tutti i mezzi necessari? «La Commissione europea ha stanziato oltre 100 milioni di euro per la Croazia negli ultimi anni, una parte significativa dei quali è stata destinata alla sorveglianza dei confini e al pagamento degli stipendi degli agenti di polizia e delle guardie di frontiera. Concedendo questo finanziamento, senza contestate alla Croazia le probabili violazioni del diritto comunitario e non avendo pubblicamente e risolutamente censurato il trattamento da essa riservato ai rifugiati e ai migranti, l’Ue ha di fatto tollerato questo comportamento», conclude la Sesar. Il ministero degli Interni croato, da noi contattato per avere una versione , non ha voluto commentare la testimonianza rilasciata dall’ufficiale di polizia che abbiamo intervistato.