Il futuro del cristianesimo si gioca nel continente nero. Dove Bergoglio è sotto attacco e dilagano i metodisti ultra conservatori

Papa Francesco
Gli attacchi a papa Francesco provengono in particolare dagli Stati Uniti: una parte delle autorità cattoliche americane ritiene le posizioni del pontefice troppo aperturiste, in specie quando si tratta di altre religioni ma anche di migrazioni e in genere di giustizia sociale.

“Dubia”, critiche, blog e lettere di teologi per un papa considerato troppo globale e non sufficientemente attento ai problemi e ai modelli occidentali. Se per la Chiesa cattolica, abituata a mormorii sommessi e a disapprovazioni ovattate, tale metodo di dissenso aperto e pubblico può sorprendere, si deve d’altro canto osservare che in tutto il mondo cristiano è in agitazione l’ala conservatrice e nazionalista, poco disposta ad accettare il dialogo su ecologia, beni comuni, diseguaglianze e ancor meno su diritti civili e cambiamenti di morale.

Dovunque neo-cristiani ed evangelicali (cresciuti esponenzialmente nell’ultimo secolo) ne hanno fatto il loro marchio di fabbrica: teologia della prosperità, fede individualista, puritana e moralistica, anti-ecumenica e totalmente anti-interreligiosa. Ma ne sono vittime anche gli ortodossi, giunti a una rottura grave tra di loro a causa delle pessime relazioni tra Costantinopoli e Mosca, e i protestanti storici.

In questo contesto giocano un ruolo nuovo i fedeli non europei e non occidentali ed in particolare gli africani. Tutti i dati concordano: nel prossimo futuro l’Africa sarà il continente con la più alta percentuale di cristiani al mondo. Il più rapido incremento si registra tra i pentecostali ed evangelicali ma ciò vale anche per la Chiesa cattolica e le chiese protestanti.

Il futuro del cristianesimo appartiene dunque al continente nero? L’impatto ecclesiale e pastorale sulle Chiese storiche sarà notevole e già lo si vede nelle alleanze che i cristiani conservatori occidentali provano a tessere con i fedeli sub-sahariani, in nome di una comune visione della fede più tradizionalista e più conservatrice. La recente vicenda della Chiesa Metodista Unita degli Stati Uniti pare confermarlo, al punto da interessare media importanti come il Wall Street Journal o il noto Institute on Religion and Democracy.

I metodisti uniti sono da sempre considerati una vera “Chiesa americana”: per importanza si tratta della terza denominazione cristiana del Paese, con quasi 7 milioni di fedeli. Ma circa altrettanti sono quelli all’estero, particolarmente in Africa: nel tempo la missione metodista americana ha dato i suoi frutti. Per la prima volta nella sua storia, questa Chiesa terrà la sua prossima conferenza generale quadriennale fuori dagli Usa: l’appuntamento del 2024 è a Manila nelle Filippine. Nel 2028 sarà la volta di Harare, nello Zimbabwe, e solo nel 2032 si tornerà a celebrare le assise in America.

Secondo le regole dei metodisti americani, i membri non americani della Chiesa partecipano, delegano e votano alle conferenze con gli stessi diritti dei loro correligionari Usa. Alla recente conferenza di quest’anno tenutasi a St. Louis, sugli oltre 800 delegati il 42 per cento era non americano (soprattutto africano). Le conseguenze sono venute subito a galla: per ogni questione riguardante la morale sessuale o i cosiddetti valori non negoziabili si è formata una maggioranza tra africani e metodisti conservatori Usa che ha bloccato ogni possibile riforma. Di conseguenza i Metodisti Uniti americani restano l’unica denominazione protestante di quel paese che ancora mette al bando il matrimonio gay. Viene mantenuta anche la regola dell’obbligo del celibato per i pastori ordinati prima del matrimonio. Non era mai accaduto prima che i leader metodisti americani (in maggioranza progressisti e liberal in tali materie) perdessero ogni votazione. Al contrario di ciò che sta accadendo in altre Chiese (come gli episcopaliani ad esempio), non è la parte straniera o africana a pensare allo scisma ma il segmento americano.

La Chiesa Metodista Unita si sta “africanizzando”: nei suoi organi dirigenti stanno prevalendo responsabili dalla visione conservatrice o tradizionalista, tipica dell’Africa dove ad esempio la legislazione punisce con il carcere gli omosessuali. D’altra parte dagli anni Settanta ad oggi i metodisti hanno perso in America una media di 100 mila fedeli l’anno, riacquistandoli in Africa.

Le attuali élite metodiste americane sono sconcertate: di stampo culturale liberal, si trovano strette nella morsa creata dalla saldatura tra i loro affiliati africani e la minoranza interna conservatrice. Non potranno così seguire l’evoluzione in tema di morale delle altre Chiese protestanti storiche americane (presbiteriani, luterani o congregazionalisti) sul cammino della liberalizzazione in materia di sessualità e diritti.

Gli scontri sono già in atto. Due anni fa la giurisdizione occidentale dei metodisti del Nord America aveva eletto un vescovo donna sposata con un’altra donna. Seppur il collegio generale della Chiesa dichiarava illegale tale nomina, ammetteva anche di non aver poteri per rimuoverla. Su questo e altri fatti simili alla conferenza generale si sono affrontati i due schieramenti: da un lato i vescovi metodisti liberal americani che chiedevano la libertà per ogni Chiesa locale di scegliere le proprie regole in materia di morale sessuale; dall’altra i delegati conservatori e quelli africani favorevoli al mantenimento dei precetti in atto. I primi sono stati sconfitti per 45 per cento a 55. È passato così il piano tradizionalista che include la possibilità per chi non si sottomette di lasciare la Chiesa: in pratica un invito ai liberal ad andarsene.

La questione delle proprietà immobiliari della Chiesa rende lo scisma complicato: in buona sostanza i progressisti americani sarebbero costretti ad andarsene a mani vuote.

Nel 2024 a Manila i delegati africani saranno ancora più numerosi. La polemica su social media della Chiesa è furiosa ed in molti metodisti americani dichiarano di voler cambiare denominazione. È noto che si tratta di una pratica diffusa negli Usa: se non sei contento della tua Chiesa ne scegli un’altra e così via. Non è infrequente sentirsi dire da un cristiano americano: «non mi è piaciuta tale decisione della mia Chiesa, ora la cambio…».

Fino a oggi si trattava di un gioco a somma zero, tutto interno al cristianesimo degli Stati Uniti, anche se alla fine aveva prodotto numerosi cristiani senza denominazione, come Obama. Ma ora è diverso: la vicenda dei metodisti dimostra che l’Africa sta prendendo il controllo. E poi c’è da considerare che la maggioranza silenziosa dei circa 7 milioni dei metodisti americani non è più tutta dalla parte dei propri dirigenti liberal: la linea conservatrice riprende spazio dopo anni di controllo progressista delle cariche elettive. Un rapido sondaggio interno fa notare che oltre il 40 per cento degli americani praticanti si considera conservatore mentre è liberal solo il 20: quale sarà alla fine l’impatto sulle altre chiese, inclusa quella cattolica, la più grande d’America. Non si tratta di un problema solo americano e solo protestante: se i cristiani africani diverranno maggioranza in tutte le Chiese, cambierà il volto del cristianesimo globale. La terza Chiesa - come la chiama lo storico Philip Jenkins - è già arrivata.