Sono passati sette mesi da quando ho documentato a Tijuana le speranze delle migliaia di migranti centroamericani infrangersi contro il muro di confine fra il Messico e gli Stati Uniti. Per L’Espresso ho raccontato, anche con le immagini, la storia di quattro donne onduregne, Dariella, Mirna, Sinia e Fabiola, scappate insieme ai loro figli da un quotidiano di violenze e dolore e che dopo migliaia di chilometri sono arrivate in Messico.
Ci siamo conosciuti durante un loro tentativo di attraversamento illegale, sorprese a intrufolarsi in un buco nel muro e rimandate indietro dalla polizia di frontiera americana (Usbp). Ci riproveranno ancora ma senza successo, prima di pagare un “coyote” (trafficante) e cominciare il loro sogno americano. Da allora siamo rimasti in contatto, ho seguito i loro spostamenti e le loro lotte quotidiane, ed ogni volta sono rimasto stupefatto dalla normalità con la quale mi raccontavano la loro vita e da come fosse difficile e tormentato l’iter legale per ottenere l’asilo.
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Lontane migliaia di chilometri dal loro paese d’origine, in Kentucky, uno stato dove nel 2016 i Repubblicani di Trump hanno stravinto le elezioni (quasi duplicando il voto democratico con più del 62%) Dariella e le sue compagne si sono trasferite per cominciare la loro avventura. I centri di detenzione sono al collasso e le condizioni di vita dei migranti allo stremo e le scelte individuali diventano il vero strumento di accoglienza.
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Maria, riccioli grigi e sguardo attento di chi prova empaticamente a comprendere il dolore, attivista e fedele cattolica, è rimasta così impressionata dall’esodo delle carovane migranti, che ha deciso di compiere un atto di resistenza, qualcosa di significativamente reale. Decide di avviare una campagna di raccolta fondi per ospitare delle donne migranti onduregne, con l’aiuto della chiesa Saint William di Louisville. All’interno della comunità, c’è chi si è reso disponibile ad aiutare finanziariamente i migranti e chi ad accoglierli ed accompagnarli nel lungo processo legale. Il destino ha fatto così incontrare Dariella, Fabiola, Mirna e Sinia, con la loro patrocinatrice Vonnette.
La casa di Vonnette è avvolta dai suoi frammenti di vita. I libri di strategia militare si alternano a quelli del Kentucky Derby - la competizione ippica più importante dell’intero paese - ed i poster sull’accoglienza dei migranti alle fotografie delle sue figlie in completo militare. Il cane, Rita, e tutti i gatti affollano disordinati il salotto in stile Vittoriano. Vonnette ha trascorso gli ultimi trenta anni di carriera nell’esercito americano, aiutando i suoi soldati, nei territori di guerra e di pace.
Repubblicana dalla nascita fino all’insediamento di Trump, precedentemente sposata con un alto funzionario del Governo impegnato nella protezione dei confini, ha scelto di cambiare la sua vita ed il destino di altre quattro famiglie. «Mi sembra la cosa giusta da fare, vai a scuola, lavori, paghi le tasse, cosi poi alla fine diventi un bravo americano, così come lo vogliamo noi».
Mirna con la sua famiglia è l’unica del gruppo che è rimasta a vivere con Vonnette; le altre ragazze, Dariella, Fabiola e Sinia, hanno affittato una casa nella periferia di Louisville.In Oak Street le case si susseguono una dietro l’altra, isolate nella loro uguaglianza. Dariella Sina e Fabiola ci abitano con i loro figli e i vari parenti che le hanno raggiunte dall’Honduras con la carovana di Febbraio. Ora sono in 13 in casa.
I giorni passati insieme a Tijuana sono rimasti impressi indelebilmente nella mia memoria: mi hanno fatto entrare nella loro vita condividendo con me le loro disavventure e la loro rivoluzione. L’ultima volta ci siamo visti in Messico, prima che attraversassero il muro e che cominciassero il lungo iter della frontiera dove sono state identificate ed è stato legato alla loro caviglia un braccialetto elettronico. Per monitorarle tutti i giorni, ventiquattro ore al giorno. Deve essere ricaricato due volte al giorno e ogni due settimane viene controllato se è stato manomesso o forzato: se così fosse, la loro richiesta d’asilo verrebbe rifiutata e verrebbero deportati. Negli Stati Uniti il braccialetto elettronico viene messo ai delinquenti, agli assassini ai sorvegliati speciali. E ai migranti. Diventa quindi una condanna con la quale bisogna sopravvivere.
«Rimarrò qui il più possibile. Se mi dovessero rimandare in Honduras saranno passati almeno due anni ed avrò guadagnato abbastanza per cominciare una nuova vita nel mio paese». Dariella non sa se resterà in America e non è sicura di volere imparare l’inglese: «Hablamos todos español aqui» mi risponde con un sorriso quando gli chiedo come fa ad interagire con il resto della popolazione.
Il lavoro illegale c’è ma è a rischio quotidiano. Nonostante il divieto di lavoro senza documenti, la maggioranza dei migranti appena arrivati negli Stati Uniti cerca un impiego: i piccoli imprenditori americani usano spesso e volentieri manodopera illegale a basso costo. Giardiniere, pittore, muratore, pulisci camere d’albergo, un qualsiasi lavoro che permetta loro di mandare qualche dollaro ai numerosi parenti rimasti a casa. «Si può a guadagnare fino a 15 dollari l’ora, ma quando mi hanno visto il braccialetto alla caviglia, mi hanno cacciata».
Dariella ora guarda i bambini delle sue compagne che non hanno ancora perso il lavoro e da loro viene pagata con una colletta comune. Il braccialetto la esclude anche dalla manodopera clandestina. Il giorno si confonde con la notte ad Oak Street, forse a causa delle le coperte appese davanti alle finestre per nascondersi dai vicini. La paura di essere sorvegliate è costante, diventano così interminabili le ore trascorse in casa davanti ai cellulari: i bambini parcheggiati davanti ai video giochi mentre i ragazzi e le ragazze scompaiono nei social media. Gli adulti ballano a ritmo forsennato urlanti canzoni messicane lanciate su YouTube: il suono della musica è costante, sembra una sala da ballo latino-americana.
La strada dell’integrazione attraversa necessariamente i meandri di un procedimento legale ad personam. Le donne hanno dovuto pagare a proprie spese un avvocato per intraprendere la via legale per la richiesta d’asilo, che varia dai 3.500 ai 5.000 dollari. In questo tempo le sorvegliate speciali non possono lavorare e devono comportarsi secondo l’iter previsto, presentarsi alle diversi appuntamenti legali ed ottenere i documenti. Se non dovessero rispettare solo uno di questi adempimenti, rischierebbero il rimpatrio. Dovranno raccontare poi la loro vita trascorsa in Honduras, la loro storia personale nella speranza che sia abbastanza tragica da regalare loro lalibertà.
Non tutti i richiedenti asilo centroamericani hanno però la stessa fortuna delle nostre donne. Solo nel Maggio del 2019 sono più di 132.000 i migranti arrestati dalla polizia di frontiera americana (USBP) sorpresi ad attraversare il confine.