Le due Americhe che si confrontano alle urne, il pericolo che Donald non accetti il risultato del voto, il peso del Black Lives Matter e del Covid. Parla Brian Klaas, editorialista del Washington Post e professore di Politica globale presso l’University College di Londra

«Ci sono due Americhe. La gente di Manhattan o di San Francisco e chi vive nell'Alabama o nel Montana rurale: Ma le elezioni sono decise da chi sta nel mezzo». Brian Klaas, professore associato di Politica globale presso l’University College di Londra ed editorialista per il Washington Post. Esperto di democrazia, autoritarismo, elezioni e politica estera statunitense, sarà ospite venerdì 23 ottobre all’XI edizione del Festival della Diplomazia 2020 con un panel dal titolo: “US Presidential Elections: who is likely to win and what effect on US foreign policy?”.

Cos’hanno di diverso queste elezioni rispetto a quelle del 2016?
«Nel 2016 Trump era in gran parte un'incognita. Oggi sappiamo tutti chi è. Ci sono due differenze principali. La prima è che l'elettorato è iper-polarizzato. A meno che non vivi in una caverna è probabile che tu abbia un’opinione ben precisa su Donald Trump. Questo significa che ci sono pochi elettori indecisi. Nel 2016, gli indecisi hanno ceduto per Trump all'ultimo minuto, consegnandogli la vittoria. Quest'anno la corsa è più stabile e ci sono state a stento variazioni nell'ultimo anno. La seconda è che Biden non è la Clinton. È più benvoluto (il che in parte è dovuto alla misoginia della politica americana), ma i principali attacchi di Trump ai democratici - genere, razza, e l'etichettamento come "socialisti" - semplicemente non funzionano quando si corre contro un centrista maschio, anziano e bianco».

Gli americani hanno votato per Obama nel 2008 e nel 2012, poi hanno votato per Trump nel 2016 e ora i sondaggi danno Biden in testa... Da un punto di vista esterno sembra che, in questi anni, gli americani abbiano cambiato idea in maniera repentina, è così?
Brian Klaas
«No, non particolarmente. Ci sono due Americhe. La gente di Manhattan o di San Francisco ha poco in comune culturalmente con chi vive nell'Alabama o nel Montana rurale. Queste due Americhe esistono da molto tempo, ma le elezioni sono decise da persone che si trovano nel mezzo: per lo più elettori di periferia che sono il ponte tra i due estremi. Un piccolo cambiamento in questi elettori è spesso decisivo nelle elezioni presidenziali. E si tenga presente che Obama nel 2008, Obama nel 2012 e Clinton nel 2016 hanno tutti ricevuto più voti del candidato repubblicano. Infatti, l'unico candidato repubblicano alle presidenziali a vincere il voto popolare negli ultimi 20 anni è stato George W. Bush nel 2004 (ma ha perso il voto popolare contro Al Gore nel 2000). In altre parole, i candidati democratici hanno ricevuto più voti nel 2000, 2008, 2012 e 2016, ma hanno vinto la presidenza solo due volte in quel periodo per via del sistema elettorale».

Quali sono i principali punti di forza e di debolezza di ciascuno dei due candidati?
«Ci vorrebbe un libro per descrivere nel dettaglio le debolezze di Trump (e in effetti l’ho scritto, s’intitola “The Despot's Apprentice”). Tuttavia, basta dire che è il candidato alla presidenza più inadeguato della storia d’America. È un demagogo sessista, razzista, e autoritario che si circonda di criminali. Ha conflitti d'interesse straordinariamente compromettenti, un passato di corruzione e frode fiscale, promuove false teorie cospirative, ha mentito letteralmente migliaia di volte in veste di presidente, assume amici e familiari per consigliarlo, e cerca di abusare della sua carica per un guadagno personale e politico. E mi fermo qui. Per quanto riguarda Biden i suoi principali punti di forza sono che è sano di mente, compassionevole e ha esperienza».

È davvero possibile che Trump possa rifiutarsi di accettare il risultato delle elezioni, come ha già ribadito in varie occasioni?
«Trump potrebbe respingere il risultato delle elezioni e rifiutarsi di accettarlo. Ciò crea due potenziali problemi. Il primo è che, nelle democrazie, la legittimità conta. Se Trump afferma, falsamente, che l’elezione è stata truccata a suo svantaggio (cosa di cui non c’è nessuna prova e le sue affermazioni sui brogli elettorali sono menzogne), avrà comunque un impatto. All’incirca 4 americani su 10 appoggiano Trump e gli danno ascolto. Di conseguenza, si potrebbe far credere al 40% del Paese che le elezioni non sono state corrette. Anche se non è vero, questa percezione è dannosa per la democrazia. Trump potrebbe anche mettere in piedi una lunga battaglia legale per contestare i risultati; prospettiva resa ancora più pericolosa dal fatto che ha nominato centinaia di giudici in grado di favorirlo e che è molto probabile che Amy Coney Barrett venga confermata come nuovo giudice alla Corte Suprema. Tuttavia, le procedure per il conteggio dei voti negli Stati Uniti sono ragionevolmente solide per cui è probabile che i voti vengano contati con precisione. E, se Trump perde, non può rimanere alla Casa Bianca. Una volta che il risultato sarà certificato, o se ne andrà o sarà rimosso. Se non viene rieletto, il suo mandato termina il 20 gennaio 2021. Ovviamente, tutto ciò è tanto più preoccupante quanto più il margine tra i due sfidanti sarà ristretto».

Che tipo di elettori ha bisogno di mobilizzare Biden per vincere queste elezioni?
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«Biden è in testa soprattutto grazie a tre grandi gruppi: gli elettori non bianchi, le donne dei sobborghi e gli over 65. Ha un vantaggio storico tra le donne - il divario tra i sessi è enorme - con gli uomini più equamente divisi tra Trump/Biden e le donne che favoriscono fortemente Biden. Nel 2016 Trump vinse grazie al supporto degli over 65; ora li sta perdendo, in parte perché agli elettori più anziani piaceva già Biden e in parte perché i tentativi sistematici di Trump di sminuire un virus che tende a uccidere le persone avanti con l’età gli ha fatto perdere il sostegno dei più anziani».

Quale sarà, secondo lei, l'impatto del movimento "Black Lives Matter"?
«È probabile che avrà un impatto contenuto. Le persone più infastidite dalle proteste BLM tendono già ad amare Trump. Quelli più entusiasti tendono invece ad amare già Biden. Dato il predominio di temi come la pandemia e l’economia, le proteste non avranno un ruolo decisivo in queste elezioni».

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«È un'abile politica che bilancia Biden non solo in termini di stile, ma anche in termini demografici. È stata una scelta intelligente, anche se è improbabile che quest'anno si dimostri un fattore decisivo. Questa elezione riguarda Trump».

Passando alla politica estera, alcuni analisti dicono che la presidenza Trump abbia minato il multilateralismo e la cooperazione in campo internazionale grazie alle sue posizioni isolazioniste. Come cambierebbe lo scenario con una presidenza Biden?
«Biden è sicuramente un internazionalista che crede che l'America sia più forte quando agisce con gli alleati. Mi aspetterei che rientrasse immediatamente negli Accordi sul clima di Parigi, viaggiando anche nei Paesi alleati per rassicurarli che l'America vuole tornare a essere un partner affidabile e un Paese che apprezza la democrazia».