Il modello svedese per contrastare il coronavirus è un incubo
Nessun lockdown per salvare l'economia, ma un numero di morti dieci volti superiore rispetto ai paesi confinanti, anziani non ammessi alle terapie intensive, e nessuna immunità di gregge sviluppata. Un disastro su tutta la linea
Un modello, o un incubo? Non passa settimana senza che la via svedese all’epidemia non venga presentata come risposta efficace ed efficiente al virus. Nessun lockdown, nessun allarme. Molti morti in più rispetto ai Paesi confinanti. Molti malati avviati velocemente alle cure palliative. Ma nessun lockdown.
A quale prezzo “funziona” il modello Svezia? L’equilibrio difficile fra salute, economia e vita sociale è sotto stress in tutti gli Stati europei, ciascuno dei quali adotta misure diverse. Fra queste, la costanza di Stoccolma nel rifiutare interventi drastici ha attirato l’attenzione globale. Anche in Italia, fino a pochi giorni fa, l’epidemiologo di Stato Anders Tegnell era ripreso ovunque: «Da noi nessuna seconda ondata», prometteva.
La sicurezza, in un’epoca di incertezze e nel dovere del dubbio che dovrebbe avere la scienza, è durata poco. Il 27 ottobre lo stesso Tegnell ha dovuto ammettere che l’aumento dei contagi sta portando anche gli ospedali svedesi «ad essere vicini al punto critico». Non è solo una questione di oggi, o di proiezione al domani. Le scelte svedesi sulla prima stagione del Covid (non indossare mascherine, non chiudere niente), hanno portato il Paese a registrare 94mila malati, 5.895 morti.
Con 590 morti per milione di abitanti, la Svezia è praticamente al pari degli Stati Uniti (591) e dell’Italia. Ma presenta una situazione molto più grave della sua vicina Norvegia (50), di Danimarca e Germania. I più colpiti sono stati i migranti: somali, siriani. Lasciati indietro.
Nonostante la libertà lasciata al virus, non ci sono nemmeno evidenze sull’ipotetica immunità di gregge: meno del 12 per cento degli abitanti di Stoccolma, e fra il 6 e l’8 dell’intera popolazione, sembravano aver sviluppato gli anticorpi, a giugno.
Ancora, a che prezzo? Una direttiva diffusa agli ospedali di Stoccolma il 17 marzo dichiarava che i pazienti con più di 80 anni e con un indice di massa corporea inferiore a 40 non avrebbero dovuto essere ammessi alle terapie intensive, perché avevano poche possibilità di riprendendersi, ricorda un recente articolo pubblicato su Science.
Giovani non accettati in pronto soccorso perché ritenuti troppo in forma per avere serie controindicazioni sono morti. È accettabile, come risposta pubblica? Anche senza misure prescrittive di lockdown, milioni di svedesi in questi mesi hanno ridotto i contatti. Ora l’inverno verificherà, un’altra volta, le scelte politiche e pubbliche. Di fronte alla dignità delle persone, all’indirizzo di governo, e alle possibilità dello Stato.