Le sanzioni contro Ankara, appena approvate dal Congresso. E i punti critici sui qual Usa e Turchia sono schierati su campi opposti, a partire dalla questione curda. Ecco come mutano i rapporti tra i due Paesi ora che Trump lascia la Casa bianca

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Lo stretto rapporto personale di Donald Trump con Recep Tayyp Erdo?an era stato finora fondamentale per preservare i legami tra i due Paesi, nonostante le gravi tensioni esistenti, e per bloccare le sanzioni minacciate dal Congresso statunitense.

Ma, dopo una prima doccia fredda, col Congresso che ha approvato un pacchetto di sanzioni contro Ankara venerdì 11 dicembre, ne è arrivata un’altra da parte del Senato degli Stati Uniti che con una maggioranza schiacciante ha approvato il National Defense Authorization Act del 2021.
 
E ora quindi le tanto minacciate sanzioni giungono sul tavolo di Trump proprio mentre si sta preparando a lasciare la sua poltrona. Il presidente Usa dovrà scegliere entro trenta giorni tra 12 clausole sanzionatorie. Se non lo farà, sarà costretto a farlo il nuovo presidente Biden, entro le prime due settimane dalla sua presidenza.
 
Biden si era dichiarato più volte favorevole all’applicazione della legge statunitense del Countering America's Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA) che consente di sanzionare per l’acquisto degli S-400 Ankara  - già esclusa per questo dal programma di produzione dei caccia F-35 - e favorevole anche a sanzionare il maggior istituto di credito turco, Halk Bank, coinvolto nell’aggiramento delle sanzioni USA contro l’Iran.
 
I membri del Congresso e del Senato USA, sia repubblicani che democratici, hanno dunque deciso di punire la Turchia, e l'amministrazione si sta preparando a sanzionare l'agenzia di approvvigionamento della Difesa del governo turco e forse il suo capo, ?smail Demir. Finora Trump vi si era opposto, ma questa volta potrebbe non farlo, non foss’altro che per lasciare a Biden un dossier molto scomodo e impegnativo, che rischia di gettare le relazioni turco-statunitensi in una fase molto critica.

Le sanzioni più dure che potrebbero essere comminate sono quelle che limitano le relazioni commerciali USA-Turchia nel campo della difesa e in altri settori industriali, e che finirebbero col privare l'esercito turco di una tecnologia all'avanguardia. Poi vi sono quelle che limitano l’accesso alle risorse del Fondo monetario internazionale o a quelle della Banca mondiale: entrambe danneggerebbero gravemente l’economia del Paese e dunque metterebbero in grave pericolo la permanenza al potere dello stesso Erdo?an, dal momento che nel 2021 la Turchia potrebbe aver necessità di un pacchetto di salvataggio di oltre di 100 miliardi di dollari.
 
Il nuovo team di politica estera appena nominato dal neoeletto presidente USA, costituito dal segretario di stato Anthony Blinken e dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, è per una postura chiara e ferma nei confronti della Turchia, pur mostrando comprensione riguardo alle necessarie esigenze di sicurezza che presenta la politica interna ed estera turca.
E sembra essere fautore di un approccio che vede la Turchia come un importante alleato,  un Paese chiave sul fianco meridionale della Nato che gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere escludendolo dal blocco di difesa occidentale, cosa che finirebbe per consegnarlo tra le braccia della Russia.
Oltretutto un fermo atteggiamento americano, con la decisione di colpirla con dure sanzioni economiche, potrebbe rappresentare carburante per la retorica nazionalista adottata dal governo di Erdo?an e rafforzarne l’autoritarismo e il potere.

Alcuni circoli più strettamente vicini al presidente turco spingerebbero per questo approccio più filoccidentale con un ritorno alle riforme, costringendo il Paese a una revisione politica democratica che finirebbe anche per rafforzare l'opposizione interna, come è stato espresso recentemente dal think tank turco, filogovernativo, Seta.
 
Il 14 novembre, Burhanettin Duran, direttore generale della fondazione Seta, collegava i recenti annunci di Erdo?an dell’avvio di un processo di riforme in economia e nel sistema giudiziario all'avvento di «una nuova era in politica internazionale», sull’onda della vittoria di Biden.
Secondo i sostenitori turchi della riconciliazione con l’Occidente, Ankara potrebbe aiutare la nuova amministrazione statunitense negli sforzi per riparare i legami transatlantici e contenere la Russia in Libia, in Siria e nelle regioni del Mediterraneo orientale, del Mar Nero e del Caucaso.
I sostenitori della politica della riconciliazione sembrano avere il sopravvento nella squadra degli esteri di Biden.
Secondo diversi analisti turchi potremmo aspettarci, dunque, che la nuova amministrazione statunitense, nell’éra Biden, persegua un approccio cooperante durante i suoi primi mesi in carica per testare la risposta di Ankara e modellare di conseguenza la sua politica.
Se questo approccio dovesse fallire, si passerebbe alla diplomazia coercitiva con la "strategia del bastone" e con ogni probabilità partirebbe un pacchetto di sanzioni immediate e dure nei settori dell’economia, della sicurezza e della politica.
 
Le relazioni tra i due alleati Nato sono state sempre molto turbolente già a partire dal 1964, da quando il primo ministro turco ?smet ?nönü premeva affinché l’allora presidente statunitense Lyndon Johnson aiutasse la Turchia ad intervenire a Cipro, per difendere la comunità turco-cipriota dalle mire irredentiste della Grecia e dei greco-ciprioti. Johnson, con una storica lettera, richiamò il governo turco a «non compiere alcun passo se non prima di essersi consultato con gli Stati Uniti, la Nato e l’Onu». Questo richiamo fu considerato da Ankara una umiliazione che suscitò una laconica quanto chiara risposta da parte di ?nönü:«Verrà creato un nuovo mondo e la Turchia si troverà un posto in questo nuovo mondo».
Quell'incidente fu la scintilla che innescò il processo di sviluppo dell'industria della Difesa della Turchia verso l’autosufficienza. Oggi questo paese produce il 65% del suo sistema bellico. Ankara impiegò un decennio per costruire una capacità militare necessaria per l’intervento e quando fu pronta, nel 1974, agì nonostante gli avvertimenti di Washington che rispose imponendo un embargo sulle armi al suo alleato della Nato; l’anno successivo il primo ministro turco Süleyman Demirel chiuse per tre anni, per rappresaglia, la base aerea strategica di ?ncirlik nella Turchia meridionale a tutti i voli degli Usa non Nato.
Da allora Ankara cambiò il suo modo di relazionarsi all’interno dell’Alleanza Atlantica, al punto che il 1° marzo 2003 vi fu il rifiuto del Parlamento turco all’utilizzo del proprio suolo come base per l'invasione dell'Iraq nella seconda guerra del Golfo. Ne seguì il noto incidente del "cappuccio" quando soldati turchi furono incappucciati e perquisiti dalle forze speciali statunitensi a Süleymaniyah nel nord dell'Iraq.
 
Ma ora siamo arrivati al punto che Turchia e Stati Uniti sono schierati in campi opposti in tutti i conflitti dal Mediterraneo al Medio Oriente e al Caucaso. Tra Washington e Ankara vi sono almeno altre cinque criticità che minacciano di compromettere i legami bilaterali.

La questione curda è in testa a questa lista con la prospettiva di una nuova operazione militare turca contro i gruppi curdi-siriani. Biden sostiene la necessità del dialogo con i curdi ed è noto per il suo sostegno al Partito di unione democratica, curdo-siriano, (Pyd) e alla sua ala armata, le Unità di protezione del popolo (Ypg), che Ankara vede come estensioni del Partito dei lavoratori del Kurdistan, designato da Usa e Ue come gruppo terroristico, contro il quale combatte da quasi quattro decenni.

Una nuova incursione militare turca nel nord della Siria sembra probabile nel prossimo anno perché Ankara non ha rinunciato a costituire un corridoio sunnita lungo tutto il suo confine sudorientale di 913 km in Siria e in Iraq, dal Mediterraneo fino all’Iran: un corridoio libero da ogni presenza curda.
Le crescenti rivalità energetiche nel Mediterraneo orientale e nel Mar Egeo rappresentano un'altra sfida per i legami bilaterali.
Mentre Ankara si riavvicinava a Mosca, gli Stati Uniti si sono mossi per aumentare la cooperazione militare con Grecia e Cipro, rivali storici dei governi turchi.
Anche la cooperazione energetica della Turchia con la Russia è destinata presto a trasformarsi in un altro dossier di crisi con gli Stati Uniti.
Inoltre il sostegno di Ankara all’Azerbaigian nel conflitto con l’Armenia per il Nagorno-Karabakh ha contribuito a generare attriti tra Washington e Ankara. Biden sostiene l’influente lobby armena negli USA che spinge per il riconoscimento dei massacri degli armeni sotto l'Impero Ottomano come genocidio. 
A tutto questo aggiungiamo che peserà nelle relazioni turco-statunitensi anche la maggiore sensibilità di Biden, rispetto a Trump, per il rispetto dello stato di diritto, per i diritti fondamentali e la libertà di espressione.

In sintesi, l'amministrazione Biden erediterà una serie di dossier critici aperti con la Turchia. Erdo?an è alle prese con la grave crisi economica che attraversa il suo Paese e con le sempre più evidenti turbolenze all’interno della sua alleanza di governo e del suo stesso partito ed è dunque costretto a porre riparo alle relazioni con l’Occidente in particolare con gli Stati Uniti e con l’Unione europea. Il rapporto Nato per il 2030 cita la Russia come la principale minaccia per l'alleanza nel prossimo decennio e raccomanda che i paesi dell’Alleanza adottino adeguate strategie per contrastarla. E a Washington e a Bruxelles hanno ben presente che isolare la Turchia, allontanarla dall'Occidente, facendola cadere nell’orbita di Mosca, potrebbe creare delle lacune molto gravi all'interno dell'architettura di sicurezza occidentale.