La business community considera l’ex sindaco di New York Bloomberg "uno di noi". Però le sue proposte elettorali non sono piaciute per niente

Donald Trump
Quando John J. Mack, l’ex Ceo di Morgan Stanley, contribuì nel maggio scorso (con 2800 dollari) alla campagna elettorale di Joe Biden, ancora non sapeva che un suo caro amico diversi mesi dopo sarebbe entrato in lizza. «I’m all in», io ci sono, ha subito fatto sapere quando Mike Bloomberg - ex popolarissimo sindaco di New York nonché proprietario miliardario della Bloomberg L.P. (la potente multinazionale che opera nei media) - ha deciso di scendere in campo per la nomination democratica. Mack, che è stato anche amministratore delegato di Credit Suisse ed oggi è consulente di KKR&Co.Inc. (private equity che amministra oltre 500 miliardi di dollari) è dichiaratamente repubblicano, ma come altri finanzieri e manager di Wall Street politicamente conservatori non è un fan di Donald Trump (nel 2016 si schierò a favore di Hillary Clinton).

Con economia e finanza (soprattutto la Borsa) che continua ad andare a gonfie vele anche in questi primi mesi dell’anno elettorale, il presidente Usa continua però a guadagnare consensi (interessati) nel mondo di Wall Street, dove si affaccia adesso lo spettro di un’alternativa “socialista“ alla Casa Bianca che porta il nome di Bernie Sanders. Gli effetti sul mercato di una possibile candidatura democratica di “zio Bernie” al momento non si vedono, nonostante i successi del senatore del Vermont in caucus e primarie. È probabile che sia ancora troppo presto, le elezioni sono ancora lontane (si vota il 3 novembre 2020) e anche nel caso dovesse diventare il rivale scelto per battersi con Trump a novembre, avrebbe in ogni caso bisogno del pieno controllo del Congresso per approvare i suoi controversi programmi (è estremamente difficile che i democratici possano conquistare la maggioranza di un Senato saldamente controllato dai repubblicani).

Nel caso di una sua consistente vittoria nel Super Tuesday di martedì prossimo (3 marzo) qualcosa potrebbe cambiare ed influenzare l’andamento, la fiducia e le convinzioni di Wall Street e dei suoi operatori. Finora gli ambienti finanziari degli Stati Uniti hanno reagito ai successi di Sanders con una alzata di spalle, perché pochi pensano che il senatore del Vermont abbia una reale possibilità di diventare presidente e quei pochi non lo vanno a raccontare in pubblico. Il mercato azionario è salito anche all’indomani dei risultati delle primarie, perché la grande maggioranza del mondo che ruota - direttamente o indirettamente - attorno a Wall Street è convinta che se Sanders riuscirà ad avere la meglio sui candidati moderati (Bloomberg, Buttigieg, Biden) a novembre verrà facilmente demolito dal presidente in carica.

Sull’argomento i media Usa raccolgono negli ambienti finanziari, con qualche rara eccezione, solo commenti anonimi: «Contro Trump Sanders è spacciato», «Un socialista alla Casa Bianca? fa ridere solo che se ne parli», «Se la Borsa va avanti così The Donald vincerà facile», «Solo Bloomberg avrebbe qualche chance, ma certo il suo ultimo programma da queste parti non è che sia piaciuto molto».

A Wall Street che l’ex sindaco di New York possa avere la meglio su Sanders non dispiace affatto. Bloomberg è considerato uno dei “loro”, per alcuni aspetti certamente più di quanto non lo fosse Trump nel 2016. Il suo piano per riformare Wall Street presentato una decina di giorni fa ha fatto storcere il naso anche a qualche suo sostenitore. Dalla tassazione sulle transazioni finanziarie all’aumento di imposta per i redditi più ricchi, fino al carcere per gli illeciti nella finanza, alcuni punti nodali dell’annunciato progetto di riforma hanno suscitato interesse (e condivisioni) nell’elettorato democratico e critiche non troppo velate negli ambienti finanziari.

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Avversario principale resta però Sanders. Tra i pochi che si sono espressi pubblicamente Steve Massocca (Wedbush Equity Management) i suoi successi alle primarie «sono una buona notizia, a Wall Street non c’è alcuna paura di Bernie, tutti sanno che con Trump perderebbe e che se i democratici vogliono davvero essere competitivi devono scegliere un candidato più moderato». Abituati ai numeri, i broker di New York (e non solo) liquidano senza soffermarsi troppo i risultati di caucus e primarie e guardano con maggiore interesse ad altri dati: come quelli del sito “Election Betting Odds”. «Se guardi ai mercati delle scommesse online, vedi che sono abbastanza a loro agio con l’idea che Sanders potrebbe essere il candidato. Ma sono estremamente scettici sul fatto che possa essere eletto», sostiene Steven Englander della Standard Chartered Bank.

Per il sito di scommesse (il più seguito dagli operatori di Wall Street) Sanders ha oggi (prima del Super Tuesday che può cambiare molte dinamiche) il 51,7 per cento di probabilità di vincere la nomination democratica. Nella sfida finale contro Trump ha però solo il 23 per cento di probabilità di successo contro uno schiacciante 58,4 di The Donald. Numeri molto diversi da quelli dei sondaggi Npr/Pbs/Marist (gli ultimi disponibili) che indicano Trump perdente sia contro Sanders che contro Bloomberg e Buttigieg. Sondaggi a livello nazionale, che non tengono però conto del meccanismo elettorale.

Wall Street pensa che lo slancio di Bernie sia positivo sia per Trump che per il mercato azionario. I prezzi nei mercati delle scommesse suggeriscono che mentre Bernie prende più slancio, gli investitori pensano che le possibilità di rielezione di Trump migliorino. Perché Sanders potrebbe dividere ancora di più i democratici e perché una vittoria di Trump andrebbe a beneficio di chi possiede azioni. E per ironia della sorte in queste settimane stanno aumentano soprattutto i titoli delle assicurazioni sanitarie, quelle che “zio Bernie” vorrebbe eliminare. Wall Street non è però l’America: nel 2016 Trump vinse facendo leva sull’ansia egli elettori su questioni come la crescita stagnante dei salari, la disuguaglianza di reddito e di ricchezza, l’aumento del costo della vita: problemi che The Donald non ha ancora risolto.

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