
La carica di imam è un titolo ereditario, che conferisce uno status riconosciuto a livello internazionale: il capo di uno Stato senza territorio, paragonabile al Dalai Lama, ricevuto e ascoltato da ministri, banchieri, imprenditori, famiglie reali. L'attuale Aga Khan, occidentale per cultura e formazione, è famoso nel mondo anche come personaggio del jet set, amante del lusso e delle belle donne, proprietario di isole private, ville da sogno, resort esclusivi, jet, yacht, scuderie di cavalli da corsa. Gli viene accreditato un patrimonio miliardario, che nessuno però ha mai potuto misurare esattamente, per la riservatezza che da sempre circonda le sue attività. Ogni fedele è tenuto a versagli la decima, il 10 per cento dei guadagni: per un buon musulmano, la carità ai poveri è un obbligo religioso. Gli imam del passato ricevevano ogni anno donazioni in oro e preziosi pari al loro peso, misurato su una bilancia in una speciale cerimonia. Oggi a raccogliere le offerte di milioni di nizariti, che vivono in molte nazioni diverse, dall'Africa all'Asia, dove in genere rappresentano una minoranza istruita, benestante, moderata e tollerante, provvede una fondazione, Aga Khan Development Network, che opera attraverso una rete di centinaia di comunità in tutto il pianeta. E ha il suo quartier generale in un discreto ufficio di Ginevra, dove Karim è di casa.

L'imam ha saputo gestire le offerte dei fedeli con saggezza e generosità sconosciute ad altri leader religiosi: il suo network costruisce e finanzia ospedali, scuole, università e infrastrutture essenziali nei paesi più poveri della Terra. I giornalisti svizzeri di Tamedia hanno calcolato che l'organizzazione dell'Aga Khan investe, in totale, circa un miliardo di dollari all'anno. Ma il suo leader possiede anche un impero economico: banche, assicurazioni, imprese telefoniche, aziende editoriali, tenute agricole, fabbriche di cotone, soprattutto in Africa. E la sua passione per il lusso, unita alla scarsa trasparenza delle tante attività religiose nel mondo, hanno provocato anche qualche critica, per la possibile commistione tra donazioni dei fedeli e ricchezze personali.
Ora i Finces Files aprono per la prima volta uno squarcio nel muro di riservatezza che ha sempre coperto le finanze dell'Aga Khan. Il 25 novembre 2016 la sede di New York della banca Barclays trasmette al Fincen, l'agenzia americana anti-riciclaggio, una «segnalazione di operazioni sospette». Il rapporto riguarda un certo Janmohamed Mohamedali Rahemtulla, nato nel 1927 in Tanzania, domiciliato in un ufficio della città più popolosa, Dar Es Salaam, ma cliente della filiale di Ginevra. Dal 2013 al 2016, il suo conto svizzero ha incassato più di 175 milioni di dollari.
Alla banca si è presentato come «custode, guardiano» di una comunità religiosa. La banca di New York chiede precisazioni a Ginevra. E la filiale svizzera risponde che è il responsabile della gestione delle offerte dei fedeli, che invia regolarmente alla sede centrale della sua comunità musulmana a Ginevra. Rahemtulla, insomma, è il tesoriere che raccoglie le donazioni all'Aga Khan nella prima metropoli della Tanzania. Da notare che la filiale di Ginevra non fornisce altri nomi o dati neppure alla sede di New York, trincerandosi dietro il segreto bancario svizzero.
In effetti i bonifici, in tutto 535, con cifre da duemila a oltre 2 milioni di dollari, hanno causali coerenti: «donazione», «offerta religiosa», «contributo personale». Il problema è che il «custode» della Tanzania incassa soldi dalle Seychelles, Emirati Arabi, Mauritius, Congo, Madagascar, Angola, Kenya, Cina e dalla stessa Svizzera. «Rahemtulla riceve grossi versamenti da Paesi segnalati a livello internazionale per forti pericoli di riciclaggio e finanziamento del terrorismo», scrive al Fincen la banca di New York, aggiungendo che «il cliente appare coinvolto in attività di raccolta di donazioni per conto di terze parti, che appare ad alto rischio».
Un altro motivo di sospetto, che ha spinto Barclays a denunciare il caso all'agenzia anti-riciclaggio americana, è che «questi trasferimenti bancari si sono fermati improvvisamente dopo che al cliente è stato chiesto di giustificare le transazioni e il flusso dei fondi», cioè di spiegarne l'origine e la destinazione finale.
Il caso del misterioso tesoriere dell'Aga Khan è uno dei tanti capitoli dell'inchiesta Fincen Files, che ha impegnato oltre 400 giornalisti di 88 nazioni: un lavoro di squadra durato 16 mesi, che si fonda sui documenti riservati dell'agenzia americana anti-riciclaggio, ottenuti da BuzzFeed News e condivisi con il consorzio Icij, rappresentato in Italia dall'Espresso.
Un mese fa, un cronista del Centro di giornalismo investigativo della Tanzania (Tijc), che fa parte del consorzio Icij, è andato a cercare il signor Rahemtulla nel suo ufficio, all'indirizzo registrato dalla banca Barclays: Dar Es Salaam, 124 Uganda Avenue. Al ritorno, ha mandato ai giornalisti del consorzio una foto curiosa: «Non c'è nessun ufficio, c'è solo un centro commerciale, chiamato Shoppers Plaza: è stato aperto nel 2008 e ora è chiuso, in ristrutturazione. Il manager dice che qui non c'è mai stato nessun ufficio». Difficile che il tesoriere abbia sbagliato a comunicare il recapito di un conto da 175 milioni di dollari: più probabile che, come succede per una miriade di società offshore, fosse un indirizzo di copertura, come una casella postale.

Interpellato dai giornalisti di Tamedia a nome del consorzio Icij, l'avvocato Daniel Schafer, che assiste il network religioso di Ginevra, ha risposto con una dichiarazione scritta che riconferma «tutto l'impegno e la dedizione dell'Aga Khan» a favore delle comunità di fedeli sparse nel mondo, invitando a visitare i siti dell'organizzazione. Ma non ha fatto nessun commento sui 175 milioni di dollari finiti sul conto svizzero del «custode» tanzaniano.
Anche la banca Barclays non ha fornito nessun chiarimento, precisando che la legge americana «vieta di diffondere informazioni sulle segnalazioni trasmesse alle autorità».