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Mondo
gennaio, 2021

"Addio Twitter di Donald Trump: avevi 12 anni e hai cinguettato 57mila volte"

La chiusura definitiva dell'account del quasi ex presidente degli Stati Uniti ha portato la Associated Press a dedicargli un vero e proprio "Obituaruy", come di solito si fa con le persone in carne e ossa. Perché questo strumento ha plasmato più di ogni altro la politica degli ultimi anni

Se Donald Trump da businessman del settore immobiliare è diventato il 45esimo presidente degli Stati Uniti d'America, molto lo deve anche al suo account Twitter @realDonaldTrump. Tant'è vero che l'Associated Press, mentre il mondo "saluta" il presidente in uscita, ha omaggiato con un obituary commemorativo il suo profilo, ucciso dal ban definitivo deciso lo scorso venerdì dai responsabili della piattaforma, spaventati dal rischio che potesse incitare altri episodi di violenza dopo l'assalto di Capitol Hill. È tutto da vedere se questo servirà realmente per silenziare The Donald, che già pianifica una nuova piattaforma personale.

Il nome @realDonaldTrump è tutto un programma perché, sin da quando l'esperto di marketing online Peter Costanzo vide in Twitter lo strumento per far arrivare The Donald al più ampio pubblico possibile, si fa fatica a distinguere dove finisce il tycoon in carne e ossa e dove inizia la sua voce a 140/280 caratteri. Le due immagini – quella vera e quella virtuale – sono state per anni un unico ego sfrenato alimentatesi a vicenda, un po' come il Michael Keaton raccontato da Inarritu che non riesce più a percepirsi come altro indipendente dalla sua maschera di Birdman.

Il deceduto feed se ne è andato dopo 57.000 tweet e resterà nella memoria collettiva come uno dei maggiori archivi digitali della Casa Bianca. Nato il 4 maggio 2009, @realDonaldTrump era, ai suoi esordi, uno spazio come tanti attraverso cui il magnate tentava di far proliferare i propri affari. Ma si è evoluto di pari passo con il vero Donald Trump, con la stessa rapidità, la stessa aggressività e gli stessi obiettivi.

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La Associated Press nota come “con il presidente, qualsiasi fosse il tema, ci fosse sempre un tweet”. C'era per gridare Make America Great Again, c'era per insultare i nemici, come quando ha dato della “crude and dumb” a Rosie O’Donnell o quando ha insultato afroamericani, musulmani e messicani; il New York Times nel 2019 ha redatto una lista completa delle 598 persone, posti e cose insultate da Trump sul social.

C'era quando il presidente gettava fango sul Senato, sui democratici, sui repubblicani: c'era, con più cinguettii del solito, ai tempi dell'impeachment. È stato @realDonaldTrump a licenziare il segretario di Stato americano Rex Tillerson, che, come il resto del mondo, ha appreso la notizia dal braccio destro virtuale del presidente. Ed è stato sempre attraverso cinguettii vari che il popolo di Internet ha seguito la storia di odio e amore tra The Donald e il coreano Kim Jong Un.

La voce di @realDonaldTrump, come quella del vero Donald, è stata icastica, sensazionalistica, esagerata, la perfetta cassa di risonanza della disinformazione tatticamente alimentata dal suo proprietario; 140 caratteri alla volta – poi diventati 280 – Trump ha misurato la sua ascesa contando i suoi followers, proiettando sul mondo un'ombra di influenza sempre più estesa e facendo affidamento sull'enorme potenziale di una scrittura ambigua e criptica affidata al suo team.

D'altro canto, da celebrità a politico Trump si è trasformato proprio grazie ai media – a partire dal programma The Apprentice e dalle sue comparse al David Letterman’s show – e non ha mai fatto mistero della volontà di avere un proprio giornale, per poter meglio plasmare l'opinione pubblica e disegnare ad hoc l'immagine di se stesso da far rimbalzare ovunque in tempo reale. Twitter è stato, a suo modo, proprio questo: l'informazione mediata e parziale, riflesso della mente e delle volontà di Trump, arma instancabile di propaganda, a volte talmente prioritaria nella sua azione politica da sembrare che parlasse al suo posto.

In un'intervista della Fox Business Network lui stesso ha dichiarato, onestamente, "I doubt I would be [president] if it weren't for social media”. Ecco perché ora che a questa “bestia mediatica” le autorità hanno deciso di staccare definitivamente la spina non resta che celebrarne l'intensa vita da protagonista e capire quanta autonomia abbia il reale Donald Trump senza la sua voce preferita.

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