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Mondo
gennaio, 2021

La lunga lista delle pattaforme online che hanno cacciato Donald Trump

Prima Facebook e Twitter, poi la "chiusura" di Parler. E adesso Snapchat e TikTok e tanti altri. Ecco l'elenco di tutti i siti che in queste ore hanno sbarrato le porte al repubblicano

Nelle ore successive all'assalto a Capitol Hill da parte di gruppi di manifestanti pro Trump, Facebook e Twitter hanno deciso di muoversi per bloccare gli account del quasi ex Presidente degli Stati Uniti, accusato di aver più volte incitato alla violenza attraverso i suoi messaggi (e silenzi). Una decisione che ha diviso gli osservatori: da una parte chi ha definito l'intervento dei due social come una vera “svolta epocale” nel “momento più buio della storia americana”, e chi invece lo ha definito tardivo, inutile o addirittura un grave attacco alla libertà di stampa. Facebook e Twitter non sono tuttavia le uniche piattaforme digitali che hanno deciso di staccare la spina alla comunicazione del tycoon con l'intento di arrestare, o quantomeno tamponare, “l'effetto Trump”.

Il sito statunitense Axios ha stilato una lista delle piattaforme, ancora in aggiornamento, che hanno bannato Donald Trump o gli account legati al suo staff della comunicazione. Un elenco che nelle ultime ore si è ingrossato non poco.

Già la scorsa estate, la piattaforma di live streaming Twitch, di proprietà di Amazon, aveva temporaneamente disattivato il Trump Twitch Channel, in seguito alle proteste del Black Lives Matter. Trump infatti utilizzava il portale, specializzato nella trasmissione di partite con i videogiochi, per divulgare in tempo reale le proprie campagne elettorali e conferenze stampa. Oggi Twich, come spiega un portavoce dell'azienda, ha compiuto “il passo necessario”, chiudendo definitivamente il canale riservato all'ex inquilino della Casa Bianca, al fine di “proteggere la comunità ed evitare che la piattaforma sia utilizzata con il solo scopo di inneggiare alla violenza”.

Drastica è stata anche la posizione assunta da Shopify, piattaforma canadese di e-commerce. La piattaforma, che consente la creazione di negozi online, ha disposto la chiusura di due negozi affiliati a Trump per “la violazione delle sue politiche in tema di violenza”.

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Nella lista redatta da Axios compare anche Google che ha ritirato dal suo store Parler, un'app lanciata nel 2018 come piattaforma di microblogging all'insegna della totale libertà di parola e definita dai fondatori John Matze e Jared Thomson “un luogo pubblico senza schieramenti”. Le regole di moderazione ultraflessibili adottate da Parler hanno reso la stessa applicazione uno spazio in cui abbondano commenti violenti e talvolta discriminatori. La decisione di Google è andata ben oltre quella precedente di Apple, che eludeva la rimozione dell'app attraverso l'eventuale presentazione di un piano di moderazione dei contenuti. Anche Amazon ha deciso di rimuovere Parler dai propri server, bollandolo come un social che non ha saputo moderare in modo adeguato i contenuti dei propri utenti.

Nessun lucchetto, ma un primo avvertimento, per il canale YouTube (proprietà di Google) della campagna di Trump. Il portavoce Alex Joseph, ha dichiarato che «qualsiasi canale che pubblichi nuovi video con false affermazioni e in violazione delle normative, riceverà ora uno strik e- un avvertimento -, una sanzione che ne limita temporaneamente il caricamento e la pubblicazione streaming». Inoltre, la rimozione definitiva dei canali da Youtube si determinerebbe a seguito di tre strike definitivi nello stesso periodo di novanta giorni. L'intervento di Youtube si è mostrato ben più mite rispetto a quello degli altri concorrenti, limitandosi a cancellare il video di mercoledì sera in cui il tycoon alludeva alle elezioni rubate, senza sospendere il suo account ufficiale. Per Youtube, il video violava “le politiche sulla diffusione dei brogli elettorali”.

Stop a tempo indeterminato, o almeno fino all'insediamento del nuovo Presidente americano , anche per l'account Instagram (dal 2012 di proprietà Facebook) di Trump. Il post pubblicato dall'amministratore delegato Mark Zuckerberg su Facebook, infatti, non lascia spazio a interpretazioni: “Riteniamo che i rischi nel permettere al Presidente di utilizzare il nostro servizio in questo periodo siano semplicemente troppo grandi”.

Rachel Racusen, portavoce di Snapchat, ha dichiarato invece di aver chiuso l'account del presidente Trump per la presenza insistente di richiami alla violenza. Sulla stessa linea si pone TikTok: «I comportamenti ostili e la violenza non hanno spazio su TikTok», afferma una portavoce ad Axios. In queste ore Tik Tok sta promuovendo la rimozione di contenuti e tentando di reindirizzare i propri hashtag alle linee guida della community.

Stripe è invece un'azienda statunitense che attraverso un sistema di software permette a privati e aziende di ricevere pagamenti via internet. Dalle colonne della propria sede a San Francisco ha annunciato che non elaborerà più pagamenti per le campagne di Trump. Un'ulteriore prova di come l'unione tra Trump e le piattaforme social sia giunta effettivamente al capolinea.

Cacciata di Trump anche da Discord, piattaforma dedicata alle chat vocali e al gaming, che ha disposto la chiusura del canale The_Donald, divenuto oggetto di indagine a causa della sua palese connessione a un forum online utilizzato per incitare alla violenza,pianificare un'insurrezione armata negli Stati Uniti e diffondere disinformazione relativa alla frode elettorale negli Stati uniti del 2020.

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