Libertà di stampa
Aggrediti, picchiati e minacciati: i giornalisti turchi sono perseguitati in tutta Europa
Sempre più spesso i reporter dissidenti e che osano criticare il potere vengono raggiunti anche nei Paesi in cui si sono rifugiati. Mentre Erdogan prepara un nuovo giro di vite contro i media indipendenti
Il pericolo per i dissidenti turchi si annida ovunque, anche nel cuore dell’Europa. Erk Acarer, un giornalista turco, è stato aggredito brutalmente nel cortile della sua abitazione a Berlino.
Acarer era arrivato nella capitale della Germania nell’aprile del 2017 grazie al sostegno di Reporters sans frontières, perché in Turchia non si sentiva più al sicuro. Era stato ripetutamente diffamato dai media filogovernativi, dal quotidiano Sabah a Yeni Akit e, a causa della sua attività di giornalista di inchiesta, era stato oggetto di numerose denunce e per questo era finito sotto processo. A Berlino, come molti altri esuli turchi e curdi, pensava di essere al riparo. Lo è stato fino al 7 luglio, quando è stato aggredito e picchiato da due uomini nel cortile del suo condominio nel quartiere di Neukölln.
Acarer ha dichiarato in una intervista su Welt, a Deniz Yücel, altro giornalista turco che era stato in carcere in Turchia per un anno con l’accusa di propaganda terroristica, che mentre era nel cortile di casa sua un individuo si era avvicinato a lui e improvvisamente lo aveva preso a pugni in faccia. Era quindi caduto a terra stordito subendo un trauma cranico. I suoi aggressori gli avevano rivolto gravi minacce intimandogli di «smettere di scrivere articoli contro il governo turco».
L’ufficio politico delle autorità di sicurezza tedesca sta indagando sull’aggressione.
Can Dündar, ex direttore dello storico quotidiano turco laico Cumhuriyet, anch’egli rifugiatosi in Germania, ha smesso di usare i taxi alcune settimane dopo il suo arrivo a Berlino perché veniva spesso aggredito verbalmente da tassisti turchi nazionalisti. Lo scrittore Hayko Bagdat e il giornalista curdo Fehim Isik hanno subito analoghe minacce e si sono dovuti trasferire in periferia per sentirsi più al sicuro. Ora tutti e quattro sono sotto scorta.
Alcuni mesi fa la polizia tedesca aveva informato Celal Baslangıc, direttore di Arti Gercek TV, dove lavora anche Acarer, che la sua vita è in pericolo. Il suo nome infatti compare in una “lista di proscrizione” di 55 dissidenti turchi residenti all’estero, tra questi spicca il nome di Hasip Kaplan, ex parlamentare turco del Partito democratico dei popoli (HDP), di sinistra libertaria e filocurdo.
Questo grave stato di cose non riguarda solo la Germania. In Belgio, Danimarca, Paesi Bassi e quasi ovunque nell’Unione europea, coloro che si oppongono a Erdogan vengono non di rado minacciati o aggrediti.
Sembra proprio che quanto più Erdogan diventa aggressivo in Turchia, tanto più minacciosi diventino i suoi sostenitori in Europa. Tuttavia, le autorità di questi Paesi non prendono abbastanza sul serio queste minacce.
È di recente la decisione del governo Merkel che l’Unione delle associazioni culturali turco-islamiche in Europa (ATİB), fondata dai nazionalisti, non sarà esclusa dalla Conferenza islamica tedesca.
Il rapporto annuale dell’Ufficio federale tedesco per la protezione della Costituzione, riporta che in Germania vi sono oltre 11 mila turchi di estrema destra che fanno capo a organizzazioni antisemite e ostili verso armeni, curdi, aleviti, yazidi e verso cittadini di sinistra e di chiunque critichi il presidente Erdogan.
Inoltre, secondo alcune inchieste condotte da media tedeschi, in Germania vi sarebbero tra i 6mila e gli 8mila “informatori” che lavorerebbero per il servizio di intelligence turco del Mit, più di quelli che lavorano per la Cia.
Questi frequentano le moschee il venerdì, nel giorno della preghiera, per carpire informazioni sui fedeli e segnalare chi è vicino all’opposizione e coloro che mostrano di essere critici nei confronti del governo turco. Segnalano in particolare coloro che hanno legami col partito filo-curdo in Turchia.
Oltre ad Arti Gercek TV, nel mirino del Mit vi sono diversi altri media che operano in Germania come Özgürüz e Ahval e un numero enorme di canali YouTube gestiti da esuli turchi.
Delle minacce e degli attacchi ai giornalisti turchi sono sospettate diverse bande criminali di estrema destra nazionalista come quella dei Lupi Grigi (gli Ülkücüler, “Idealisti”), organizzazione questa panturanica, xenofoba, antisemita e anticurda. Ve ne sono altre che ruotano attorno a quella dei “motociclisti”, già dichiarata fuorilegge nel 2018, denominata “Osmanen Germania” (Ottomani di Germania) e altre ancora, note anche per le loro attività malavitose legate al traffico d’armi, allo sfruttamento della prostituzione, al traffico di droga e al racket.
“Osmanen Germania” nasce a Francoforte come un «club di boxe che si prende cura dei giovani più emarginati» e conta circa 2.500 membri in Germania e 3.500 in tutto il mondo. Ha 31 sottorganizzazioni ed è una delle associazioni alle quali il latitante boss della mafia Sedat Peker, nei suoi recenti video-scoop di accuse contro funzionari turchi trasmessi dal suo rifugio di Dubai, ha detto di aver inviato denaro.
Secondo l’organizzazione di intelligence tedesca, Metin Külünk, ex deputato del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) al potere in Turchia, sarebbe stato legato a questa associazione “criminale”.
Sebbene l’immigrazione turca in Germania sia iniziata negli anni Sessanta come migrazione di forza lavoro, successivamente ha assunto connotati politici. Ad esempio, dopo il colpo di Stato del 1980, numerosi esponenti della sinistra e di organizzazioni curde arrivarono in Germania perché non si sentivano più al sicuro in Turchia.
Negli anni Novanta cristiani siro-ortodossi lasciarono i loro villaggi vicino alla città di Midyat soprattutto a causa delle violenze verificatesi nel sudest dell’Anatolia. Dal 2013 si è avuto un incremento dell’immigrazione di cittadini turchi appartenenti a partiti e a diverse organizzazioni di opposizione o semplicemente perché avevano pubblicato tweet con critiche al governo.
Dopo il tentato golpe del 2016, questa immigrazione ha subito un ulteriore incremento. La maggior parte dei migranti è arrivata in Germania legalmente, ma molti sono arrivati anche attraverso la rotta balcanica o le isole dell’Egeo mescolati ai rifugiati siriani, poiché ormai non potevano più lasciare il Paese dal momento che era stato loro ritirato il passaporto.
Tra questi abbiamo, oltre ai curdi emigrati dal 2013, anche numerosi giornalisti, accademici ed esponenti dell’organizzazione religiosa di Fethullah Gülen, ritenuta responsabile del fallito colpo di Stato del 2016, stabilitisi principalmente a Berlino e a Colonia.
Intanto in patria, il presidente Recep Tayyip Erdogan, in 19 anni di governo, pur avendo fin qui esercitato una forte repressione, non è riuscito a zittire il dissenso. Si è accorto che l’acquisizione da parte di imprenditori a lui vicini delle maggiori holding mediatiche (prima Sabah e ATV, poi Milliyet, NTV, Star, e da ultimi Hürriyet, Kanal-D e CNN Türk) non ha permesso di tenere sotto controllo il flusso dell’informazione alternativa nel Paese.
I media filogovernativi, infatti, non vengono né letti né guardati dalla maggioranza dei cittadini, se non dai fedelissimi elettori del Presidente.
La gente non segue i media di partito perché sa che non riportano notizie reali, ma solo propaganda, quindi pensano che i media che non sono sotto il controllo del governo siano molto più affidabili.
L’opposizione turca veicola la propria comunicazione politica prevalentemente attraverso la Rete. La sua forza comunicativa sono i social e i media indipendenti: strumenti quotidiani addirittura più seguiti rispetto ai canali radiotelevisivi mainstream, dove si diffonde la propaganda del regime dentro e fuori la Turchia.
Dunque non basta al governo controllare il 90 per cento dei canali di informazione, perché le voci critiche nei confronti di Erdogan si diffondono comunque e trovano comunque i loro canali d’ascolto e il Presidente è costretto ad oscurarle se vuole che si senta una sola voce: la sua. Per questo i media indipendenti in Turchia sono stati recentemente ridotti alla fame perché non hanno più diritto ad una adeguata quota di pubblicità e per molti di loro è addirittura inesistente, ragion per cui il finanziamento di organizzazioni estere è diventato una vitale fonte di reddito per molti organi di informazione libera.
Ora il leader turco fa sapere che non consentirà più alcuna attività di “quinta colonna” ai media indipendenti e promette che in questo autunno sarà estesa a carta stampata e a canali radiotelevisivi l’applicazione dell’attuale legge sui social approvata lo scorso anno per mettere sotto controllo la Rete; in conseguenza di ciò, anche per un post si rischia di finire dietro le sbarre. Dunque i canali di informazione liberi che ricevono fondi da stati o istituzioni estere saranno “monitorati” e messi sotto lo stretto controllo del governo turco che sta cercando di presentare l’esistenza di fondi esteri nelle loro casse come frutto di attività di spionaggio.
Tuttavia, la storia e la natura dimostrano che l’acqua trova sempre la sua strada. Non può essere fermata mai.
I media indipendenti troveranno sempre un modo e un canale per esprimersi. «Akacak su yolunu bulur»: «L’acqua che scorre trova la sua strada». Questo adagio turco ci dice che non è possibile far tacere il dissenso. Prima o poi emerge.