La città tedesca è la punta di diamante della produzione di nuove tecnologie e dei “cobot”, gli automi collaborativi. Con la più alta concentrazione di istituti di ricerca e scienziati di tutta la Germania

Alla parete, una incisione di Genova e del suo antico porto. Accanto alla porta una grafica della Torre di Pisa, attaccata un po’ storta, «per raddrizzare finalmente la torre», dice sorridendo Gianaurelio Cuniberti. E dalle finestre del suo ufficio il paesaggio mozzafiato di Dresda: le colline che ne cingono la valle, le torri aguzze dei campanili delle chiese, del Duomo e la più alta del municipio. Cuniberti è innamorato di questa città di 500mila abitanti sulle sponde dell‘Elba.

La “Firenze sull’Elba“, la celebrano i dépliant turistici. Ma ancora di più Cuniberti, laureato in fisica a Genova, dottorato tra Genova e Amburgo, è innamorato della scienza dei materiali e nanotecnologie, la materia che dal 2007 insegna alla Technische Universität. «Dresda è un polo universitario e di ricerca scientifica unico in Europa, con la più grande concentrazione di istituti e di ricercatori in tutta la Germania», dice. E dopo un attimo di riflessione aggiunge: «Qui c’è tanta libertà di ricerca, la capacità di fare squadra e realizzare grandi progetti con studenti che vengono da tutto il mondo nei settori di punta della microelettronica, informatica e biotecnologie».

Gianaurelio Cuniberti

Non sono affatto esagerazioni di un ispirato professore di nanotecnologie. Nel giro degli ultimi dieci anni Dresda, da elegante e un po’ addormentato capoluogo della Sassonia, si è trasformata nella punta di diamante della ricerca e produzione della robotronica, dell’informatica e della medicina. Ovvero in un gigantesco laboratorio sperimentale e scientifico di tutto ciò che oggi il made in Germany offre nei settori più avanzati dell’economia digitale.

Dopo l’appuntamento da Cuniberti, l’altro è al World Trade Center. Quanto a orgoglio per le loro città e regione i sassoni non li batte nessuno in Germania. Ci accoglie Robert Franke: è lui che dirige l’ente per lo sviluppo economico di Dresda, gli investimenti nei settori caldi dell’economia. E per evidenziare che sorta di “ecosistema tecnologico”, come lo chiama lui, si è stanziato da queste parti sfoggia una serie di slide impressionanti. Nella prima si vede un intreccio ramificato di Infineon e Bosh, Bmw e VW, Xenon, Robotron , M+W Group, solo per citare alcuni nomi del pazzesco cluster industriale.

«Siamo euforici, anche quest’anno abbiamo registrato un boom nel settore software, chip e semiconduttori. Per numero di ricercatori e investimenti in software e robotica Dresda è all’avanguardia in Germania», attacca Franke. In effetti, in nessun’altra regione federale hanno la loro sede qualcosa come 45 istituti di ricerca, tra cui 12 istituti Fraunhofer, tre istituti Max Planck e tre istituti Leibnitz e un centro della Helmholtz. Senza contare l’indotto automobilistico. Col bel risultato che a Dresda si è concentrato un esercito di 15mila ricercatori scientifici; con una quota di 33 ricercatori ogni mille dipendenti delle varie imprese: «Più di Monaco», specifica Franke, «dove i ricercatori sono 28 su 1000 dipendenti».

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L’impatto di tante università e imprese è notevole in termini di gettito fiscale. Come evidenzia un’altra slide, nel 2013 le imprese di automotive, computer e software avevano versato 225 milioni di tasse alla città di Dresda, ma nel 2017 il gettito delle imprese è schizzato oltre i 348 milioni. E se nel 2016 c’era ancora il 15 per cento di disoccupati, «ora siamo sotto il 5 per cento e gli investimenti continuano a crescere», continua Franke.

Nonostante il virus colpisca duro, specie in Sassonia, lo scorso giugno la Bosch ha aperto a Dresda un nuovo impianto di semiconduttori, un investimento da un miliardo di euro che sta dando lavoro a 750 dipendenti. «Oggi i coreani ci vengono a chiedere come abbiamo fatto ad organizzare in pochi anni la nostra trasformazione in una Silicon Saxony Valley», conclude Franke.

È così che è stata ribattezzata quella che nell’ex Ddr era canzonata come “la valle degli ignari“, mutata ora in una ipertecnologica Silicon Valley in cui si programmano software per computer e robot industriali e per le nuove generazioni dei “Cobots”, i cosiddetti “robot collaborativi”. Quadro e prospettive dell’effervescente settore robotica ce li spiega Frank Bösenberg, manager della “Silicon Saxony Srl“, il network che raccoglie le imprese della robotica sassone. «Oggi la Robot Valley Saxony è un circuito di 330 imprese che dà lavoro a 35mila dipendenti, per un fatturato annuo in media sui 6 miliardi».

Per quest’anno il settore robotica calcola un fatturato salito oltre i 13 miliardi (una crescita dell’11 per cento rispetto all’anno scorso). Oltre ai tanti istituti universitari, sono ditte come “Wandelbots“ a dare ulteriore spinta alla Saxony Valley. «Negli Usa oggi si cercano disperatamente 400 mila fra saldatori e verniciatori. Per questo abbiamo sviluppato il nostro “Trace Pen”», spiega Marco Dutenstädter, responsabile vendite della Wandelbots. Si tratta di un programma “no-code“ che in poco tempo riesce a far svolgere a un Cobot i movimenti di un saldatore o verniciatore.

Fondata a Dresda nel 2018 da Maria Piechnick e da suo marito, partendo dall’idea di sviluppare “smart-Jacket”, cioè nanotessuti intelligenti in grado di trasferire dati al robot, oggi Wandelbots è una ditta di 128 dipendenti, e la “Trace Pen” è già in uso negli impianti VW. Non per niente l’estate scorsa i giganti del settore, Siemens, Microsoft e “83 North”, hanno investito 35 milioni nella start-up di Dresda. «Vogliamo sviluppare software con cui ognuno, un panettiere o un saldatore, può programmare e usare robot», dice Fabio Gehrlicher, nella bella villa sulla Tiergarten Strasse, dove ha la sede Wandelbots. «Sì, oggi a Dresda stiamo programmando la democratizzazione dei robot e il passaggio a cobot sempre più partecipativi».

Sembra un film di fantascienza, ma di fatto al “Dresden Robotik Festival”, la prima fiera internazionale di robotica tenutasi a settembre, a servire in sala dolci e salatini erano dei “Candy Bots”, mini-cobottini silenziosi, luminosi e (tramite sensori) sempre a debita distanza dagli ospiti. Un incubo la robotica o la salvezza del lavoro? «Una realtà», risponde Thomas Schulz, il giovane fondatore del festival di Robotik: «Oggi la Germania è fra i top five al mondo nella robotica, un mercato che ora vale sui 40 miliardi di dollari, ma che nel 2028 varrà sugli 80 miliardi di dollari».

 

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Certo, non è un caso che proprio Dresda sia la punta di diamante delle nuove nano e biotecnologie. Già ai tempi della ex Ddr il “Kombinat Robotron” era il più grande produttore di computer del Blocco dell’Est (con 68 mila dipendenti sino al 1989). Sin dai primi del Novecento, ricorda Uwe Lienig, dell’Ente per lo sviluppo economico regionale, «la Sassonia è stata il cuore dell’industria meccanica e di precisione tedesca. Una tradizione che risale allo sviluppo delle miniere della zona».

Dalle macchine per l’estrazione del carbone, rame ed argento nei Monti Metalliferi sino ai nuovissimi chip e robot il passo è breve. Specie se di mezzo ci sono colossali investimenti statali in una regione che conta solo quattro milioni di abitanti, ma vanta un circuito accademico di eccellenza mondiale. «Ogni anno la regione Sassonia e il governo federale investono sui 300 milioni di euro nei nostri istituti universitari, ed altri 300 arrivano da progetti federali o europei», spiega Ronald Tetzlaff, vicerettore per lo sviluppo tecnologico del Politecnico di Dresda.

I risultati si vedono nei laboratori in cui il professor Cuniberti e i suoi studenti danno vita per esempio a dei meravigliosi “Sniff-Robot“ che, fra l’altro, servono ad “annusare” e disinnescare, col supporto di droni, perdite di gas o pericolosi ordigni. «Per quanto riguarda il naso e l’olfatto stiamo al Medioevo con le nostre tecnologie digitali», spiega Cuniberti. Per questo i ricercatori della sua cattedra stanno approntando vari programmi nel settore sterminato dell’“e-nose”, le nanotecnolgie che servono a riconoscere dall’odore le qualità dei prodotti ed evitarne la contraffazione. Oppure, in medicina, per una diagnostica precoce di tumori e diabete.

Oltre alla tradizione e ai milioni di investimenti statali e privati, c’è un altro motivo per capire l’incredibile metamorfosi di questa città nel primo laboratorio tecnologico in Germania. Al contrario di tante altre città tedesche, infatti, Dresda è una meraviglia urbana. E i suoi sovrani, da Augusto il Forte in poi, non hanno fatto altro che spendere in musei e orchestre, collezioni e favolose chiese barocche, ciò che a Chemnitz si produceva e a Lipsia si commerciava.

È nella Gemälde Galerie di Dresda che, dal 1754, splende la “Madonna Sistina” di Raffaello. Ed è in quelle antiche sale che oggi ammiriamo una mostra di Vermeer e una dedicata a Bernini (e a un suo teschio in marmo ritrovato nei depositi di Dresda). «Per sviluppare nuove idee e ricerche scientifiche», conclude saggiamente Cuniberti, «è importante il contesto di una città tanto affascinante». La bellezza, a quanto pare, fa bene anche alle nanotecnologie.