Un immenso squarcio nella campagna che scende improvvisamente a 500 metri di profondità e poi si estende a vista d’occhio fino a un orizzonte lontano, un po’ slabbrato, dove una decina di minuscole pale eoliche, che la distanza rende quasi trasparenti, sembrano volere agganciare la terra scura al cielo velato di bianco. Così si presenta al visitatore la miniera di lignite di Hambach, nella regione tedesca della Renania Settentrionale-Vestfalia, non solo la più popolosa della Germania ma anche una delle più inquinate. Qui si alternano miniere di carbone a cielo aperto, centrali elettriche a carbone e nuovi boschi di pale eoliche. Il vecchio, che non vorrebbe morire ma ha ormai gli anni contati, e il nuovo che spunta ai bordi delle autostrade e delle foreste millenarie ancora un po’ sperduto. Il paesaggio di questo land governato dall’erede designato di Angela Merkel alla Cancelleria, Armin Laschet, sembra il volto attuale della Germania: un Paese in trasformazione.
Incaricata di guidare la rivoluzione verde d’Europa, la Germania è ancora alle prese con la sua trasformazione economica, politica e sociale. Perché nessuna delle tre può avvenire senza l’altra. Soprattutto non qui, dove grandi aziende come Rwa, colosso energetico proprietario della miniera di lignite di Hambach, non offrono solo lavoro ma imbastiscono l’intera vita delle città che da loro dipendono, con manager che diventano politici e viceversa, con operai schierati fieramente dalla parte dei loro capi, in una simbiosi che per mezzo secolo ha fatto la forza del land e della Germania tutta ma che oggi si sta sfaldando. Anche perché, per la prima volta, i Verdi rappresentano una solida alternativa. Gli eredi di Joschka Fischer negli ultimi sondaggi per le elezioni federali di settembre superano i democristiani della Cdu, 27 contro 24 percento. Un risultato di cui sono loro i primi ad essere sorpresi. «Siamo visti come il partito del cambiamento», dice Alexandra Geese, europarlamentare originaria di Bonn: «Le nostre idee erano radicali fino a tre anni fa. Adesso sono di massa. Il partito ha saputo rinnovarsi e affidare la guida a una nuova generazione in sintonia con il mondo di oggi».
Sibylle Keupen, sindaca verde di Aquisgrana
Il riferimento non è solo a Annalena Baerbock, la quarantenne madre di due figli piccoli, che ha la possibilità di diventare cancelliera e la ragionevole certezza di entrare in coalizione di governo con la Cdu. In Renania Settentrionale-Vestfalia, la regione più industrializzata della Germania, quella che da sola emette quasi tanta Co2 quanto la Polonia e che produce un euro tedesco su cinque, i Verdi sono già in coalizione di governo con la Cdu nelle città di Essen e a Colonia, e hanno preso da poco la guida di tre città importanti - Wuppertal, Bonn e Aquisgrana. Tra loro non potrebbero essere più diversi e però insieme incarnano le accese sfumature della politica verde tedesca.
«È il nuovo binomio di governo», sorride a Wuppertal il sindaco Uwe Schneidewind, ex capo del Wuppertal Institut, think tank noto per le questioni di sostenibilità, ex professore ed ex manager ambientale. Lo scorso autunno è stato nominato sindaco con i voti dei verdi e dei neri. Obiettivo: tirare fuori Wuppertal, una cittadina situata ai bordi della storica regione industriale della Ruhr, dal declino industriale in cui si è infilata. «Era il cuore della rivoluzione industriale e oggi è in cerca di identità», racconta: «Vorremmo aiutarla a diventare la Silicon Valley d’Europa, puntando tutto sull’innovazione. Le aziende della città sono pronte a collaborare».
Mentre parla sfreccia il celebre tram sospeso, ovvero alcuni vagoni che scorrono sotto (e non sopra) una sopraelevata di ferro verde che collega i due lati della città, incuneata in una stretta valle al cui centro si estendono le fabbriche della multinazionale farmaceutica Bayer. «Prima qui votavano tutti per i socialisti ma adesso i giovani, gli immigrati e i nuovi lavoratori sono meno legati ai due partiti tradizionali. Che a loro volta hanno perso la capacità di attrarre persone con storie diverse. La società è oggi più complessa perché la dicotomia tra classe operaia e capitalisti è superata. I verdi sono gli unici che esprimono una chiara idea del futuro».
Katja Dorner, sindaca verde di Bonn
A poche centinaia di metri, nel suo ufficio sotto il tram sospeso e lungo il fiume, Timo Flessner, responsabile globale dei principi farmaceutici della Bayer, è d’accordo: «Quelli di oggi non sono più i verdi che abbracciano gli alberi. Magari hanno idee diverse dalle nostre ma sanno di cosa parlano, sono preparati e possiamo trovare insieme soluzioni per il futuro». L’obiettivo da queste parti è creare un polo tecnologico in cui grandi aziende collaborino con piccole start up e, unendo gli sforzi, mettano in piedi una vera e propria economia circolare. La “valle circolare” l’hanno già soprannominata. «Quanto è cambiato dal 1995», sospira dagli Stati Uniti Matthias Berninger, per 14 anni parlamentare verde e oggi responsabile degli Affari pubblici di Bayer: «Kohl non era contento che noi giovani verdi incontrassimo la sua ala giovanile per scambiarci idee su diritti umani e immigrazione. Una vittoria dei Verdi allora era considerata la fine del mondo. Oggi è l’esito più probabile, e va bene a tutti».
Scettica sull’alleanza verde-nera è ancora Katja Dörner, oggi sindaca di Bonn, dopo essere stata parlamentare a Berlino per 11 anni. «Qui la Cdu ha sempre impedito una mobilità sostenibile ma la gente la vuole», dice: «Abbiamo avuto dimostrazioni di piazza con 27mila persone che chiedevano la neutralità climatica. I giovani sono molto attivi e molto determinati a salvare il loro futuro. Adesso cambierà tutto. Al centro della pianificazione urbana non ci sarà più l’auto ma il pedone, la bicicletta e il mezzo pubblico. Costruiremo una rete di piste ciclabili in sicurezza, smetteremo dal 2024 di comprare bus non elettrici e costruiremo abitazioni per chi è meno agiato perché lo sviluppo verde non deve lasciare indietro nessuno. Dobbiamo vincere i cuori di tutti i nostri cittadini».
Bonn, colta e borghese, è una sonnolenta città amministrativa, sede delle grandi società di servizi, da Telekom alle Poste, in cui ogni finestra ospita una pianta. «È ancora una città conservatrice, certo, ma se ho vinto con il 58 per cento dei consensi vuol dire che non mi hanno votato solo i verdi. Molti in città ritengono che l’economia verde offrirà enormi possibilità di guadagno, arrivano in continuazione nuove start up con soluzioni per un futuro più sostenibile». A stare ai sondaggi, per la prima volta nella storia della Renania Settentrionale-Vestfalia i Verdi sono il primo partito. «Credo che i conservatori siano tenuti insieme da Merkel. Una volta che lei non ci sarà più potrebbero anche implodere perché sono molto divisi al loro interno e non hanno idee per il futuro. Qui da noi Laschet è ancora a favore del carbone, e non è certo che non continuerà a fare sgomberare i villaggi per fare posto alla miniera a cielo aperto. La gente l’ha sperimentato sulla propria pelle e ha capito che non è un leader adatto ai nuovi tempi».
Miniera di lignite di Hambach nel land Renania Settentrionale-Vestfalia
Uno dei villaggi che la miniera di Hambach sta cancellando è Mannheim, dove è cresciuto e ha cominciato ad allenarsi Michael Schumacher. Anche la famosa pista di go-kart sarà presto demolita, così come la Chiesa alle cui finestre sono già stati inchiodati pannelli di legno. Tutta la comunità si sta spostando in un nuovo centro a qualche chilometro di distanza e la resistenza è opposta solo da tre famiglie. «Anche la Chiesa è in combutta con la Cdu e sostiene lo sviluppo della miniera», racconta l’attivista ambientale Antje Grothus, diventata famosa in tutto il Paese per avere sostenuto la battaglia contro l’abbattimento completo della foresta di Hambach. I tribunali hanno bloccato temporaneamente le ruspe nel 2018 e poi Berlino è intervenuta nel 2020 con la cosiddetta “legge carbone” che salvava quel che rimaneva della foresta centenaria ma non i villaggi intorno. «Avevamo trovato l’accordo con tutti i livelli di governo locale e la società civile ma poi Berlino ha deciso che la decarbonizzazione della regione dovesse avvenire più lentamente, in diverse fasi, fino al 2038», dice Grothus. E che dunque Rwe potesse continuare ad allargare sia la miniera di Hambach sia quella di Garzweiler, a pochi chilometri di distanza.
«Una volta votavo Cdu, certo, come tutti, ma da quando Rwe mi ha dato lo sfratto e la Cdu e la Chiesa si sono schierati contro di me che non volevo andarmene ho cambiato idea», racconta Marita Drese, 54 anni, nella sua casa di Kuckum, a un paio di chilometri dalla miniera di Garzweiler che dovrebbe presto inghiottirla. «Laschet è venuto pure a trovarmi e mi disse che avrebbe visto cosa fare. Nulla. Ecco cosa ha fatto. Nulla. Ci ha abbandonato. Voterò i verdi che hanno più lungimiranza e umanità. E mi piace Wibke Brems», la trentenne leader verde locale. Mentre parla uno dei suoi tre cavalli nitrisce, poi torna a brucare erba. Anche i vicini hanno cavalli nel giardino. È aperta campagna: qui gli abitanti o lavorano i campi o lavorano per la Rwe. Dagli anni Settanta. Ma qualcosa si è rotto. «Dobbiamo fare la transizione verde e questi continuano con la miniera? Non abbiamo più bisogno che la Rwe ci garantisca la sicurezza energetica con i fossili. I pannelli solari sul tetto mi forniscono tutta l’energia di cui ho bisogno. Non capisco perché la politica non metta subito fine alle miniere».
Ad affrettare la fine del carbone e le sue conseguenze sociali e politiche è stata la settimana scorsa la Corte suprema tedesca, stabilendo che la legge per il Clima varata dalla Germania nel 2019 e che impone di ridurre le emissioni di Co2 del 55 percento entro il 2030 (come deciso anche dall’Unione europea) è anticostituzionale e va cambiata perché viola le libertà fondamentali ponendo l’onere di ridurre le emissioni di Co2 soprattutto sui giovani. Entro l’anno la politica dovrà agire.
«Se i sondaggi saranno confermati, ed è un grande se, con i Verdi di Annalena al governo da settembre cambieranno tante cose e molte donne avranno una chance politica in tutto il Paese», dice Schneidewind. Avendo avuto Merkel cancelliera per tre lustri, la Germania non pare soffrire di un problema di divario di genere. E invece le donne tedesche sono poco presenti nel mondo professionale e, quando lo sono, lavorano spesso part-time per potersi dedicare ai figli, visto che le scuole non hanno il tempo pieno. Non fosse per Ursula Von der Leyen, tra il 2005 e il 2009 ministra della Famiglia, oggi non ci sarebbero nemmeno gli asili nido. Risultato: la Germania ha solo il 10 per cento di donne sindaco e la Renania Settentrionale-Vestfalia solo il quattro. «È un deserto», dice senza mezzi termini Sibylle Keupen, sindaca di Aquisgrana: «Non esistono molti esempi di leadership femminile, e non solo in politica. Il mio obiettivo è portare in città il potere femminile, perché è attraverso il network femminista che io, leader di un centro culturale per bambini, sono diventata sindaca. La prima sindaca in 751 anni. Dopo 256 uomini».
Quella in corso nella città dove è sepolto Carlo Magno è una vera e propria rivoluzione culturale che arriva all’ambiente e alla mobilità pubblica ma parte da un dato statistico: il cambio demografico. «Abbiamo 100mila giovani su 250mila abitanti», dice Keupen, capelli bianchi tagliati cortissimi: «Non avevano nessuna voce in politica. I movimenti per il clima hanno dato loro voce e identità in una città molto conservatrice. Il preside dell’Università mi ha detto che il consiglio comunale, composto da tanti giovani, adesso assomiglia a un’aula universitaria. La realtà è che questo è il momento di un profondo cambiamento sociale, economico e tecnologico. E noi siamo pronti». D’altronde l’hashtag della campagna elettorale non poteva essere più esplicito: per i Verdi tedeschi #thetimeisnow.