Lì vivono donne, bambini, anziani: più di quindici mila profughi curdi. Ma per il presidente Erdogan il grande campo di Makhmour è un bersaglio legittimo: “un incubatoio di terroristi”. E la Turchia minaccia non solo di proseguire i raid con i droni sulle baracche, ma di smantellare l’intera struttura se non verranno espulsi tutti i combattenti curdi. Un ultimatum lanciato nella notte di mercoledì dal ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu: “Quello è territorio iracheno ed è loro responsabilità fare pulizia dei guerriglieri del Pkk, stiamo discutendo con le autorità locali ma siamo pronti a intervenire da soli”.
L’assedio di Makhmour è stato denunciato da Zerocalcare, che ha cercato di visitarlo la scorsa settimana ed è stato respinto. «Noi non siamo riusciti ad entrarci – ha detto a L’Espresso - perché viene tenuto sotto embargo: non lasciano passare nemmeno le ambulanze». Gli è stati solo permesso di incontrare una delegazione dei rifugiati, rimanendo all’esterno: «E’ un campo gigantesco ed è sottoposto a continui bombardamenti. È sorto in mezzo al deserto, con l’esodo massiccio di curdi dalla Turchia negli anni Novanta dopo i raid di Ankara che distrussero una serie di villaggi».
Nella seconda metà degli anni Novanta le offensive turche contro il Pkk spinsero milioni di curdi ad abbandonare più di 3mila villaggi e cercare rifugio sulle montagne oltre il confine iracheno. Una “terra di nessuno”, all’epoca resa neutrale dagli aerei americani che pattugliavano il cielo per limitare il potere di Saddam Hussein. Un gruppo numeroso di quei rifugiati ha cambiato accampamento nove volte, prima di stabilirsi a Makhmour, distante 180 chilometri dalla frontiera. Dal 2003 la caduta del regime di Baghdad e l’autonomia del Kurdistan iracheno sembravano avere migliorato la situazione del campo, nonostante le diffidenze tra curdi di diversa nazionalità. Poi la resistenza contro l’Isis aveva spinto curdi iracheni, siriani e turchi a coalizzarsi contro il nemico comune, contando sul sostegno militare statunitense.
Distrutto lo Stato islamico, gli aiuti ai curdi si sono dissolti. Lasciando ai turchi la possibilità di regolare antichi conti, mandando le truppe oltre i confini siriani e iracheni. Makhmour adesso per Ankara è il simbolo della resilienza curda, da stroncare con qualunque mezzo: nello scorso weekend i droni hanno ucciso tre persone all’interno dell'insediamento. Tra le vittime Selmar Bozkir, qualificato dai turchi come un importante leader del Pkk e uno dei dirigenti del campo. E in questa definizione c'è l'accanimento che nega al Pkk qualunque riconoscimento politico, bollandolo soltanto come un gruppo armato. Invece, come racconta Zerocalcare, quell’enclave è anche un laboratorio sociale e politico: «Le persone si sono organizzate infatti secondo il modello di confederalismo democratico, un modello di organizzazione sociale innovativo che è esattamente quello che la Turchia vuole distruggere. Erdogan vuole attaccare le montagne nel nord dell’Iraq perché sono lo scheletro della resistenza».
L'ambasciatore statunitense all'Onu Linda Thomas-Greenfield ha intimato ad Ankara di non colpire i civili di Makhmour: «Ogni attacco sarebbe una violazione delle leggi internazionali». Ma le sue parole non hanno spaventato il nuovo Sultano, che ha replicato poco dopo con l'incursione dei droni.