Intervista
La soluzione Draghi di esportare a Paesi terzi non funzionerà. Jean-Louis de Brouwer, ex direttore della Commissione sull’immigrazione, spiega perché
di Federica Bianchi
Con l'inizio della prima estate post-Covid, Mario Draghi aveva insistito durante lo scorso Consiglio europeo per avere in cima all'agenda del Consiglio del 24-25 giugno il tema dell'immigrazione. Veri passi avanti per superare i limiti del Trattato di Dublino nella distribuzione dei profughi non ci sono, ma si intravede all'orizzonte un cambio di strategia da parte dei Paesi “Frontiera”.
L'obiettivo non è più quello di “cambiare tutto” e obbligare gli Stati ad accogliere una parte dei migranti: non ha funzionato e non funzionerà nel prossimo futuro. Piuttosto quello di lavorare su altri aspetti della politica migratoria comune. I diplomatici si sono accordati sulla trasformazione dell'Ufficio europeo per l'assistenza all'asilo in una vera e propria Agenzia per l'asilo, con criteri comuni a tutti per l'applicazione della protezione internazionale e un rafforzamento della cooperazione. Non solo. Secondo voci diplomatiche, l'Italia e gli altri quattro Paesi del Mediterraneo hanno spostato l'attenzione dalla ricezione dei migranti alla loro partenza. «La politica di cooperazione e sviluppo su cui l'Europa investe ingenti risorse nel silenzio di tutti dovrebbe integrare la politica migratoria. Che dovrebbe fare parte a pieno titolo della politica estera europea». In altre parole: l'obiettivo adesso non è più ridurre gli ingressi ma evitare le partenze. Punto sul quale nessuno Stato ha obiezioni.
Ma Jean-Louis de Brouwer, oggi direttore del programma degli affari europei del think tank Egmont Institute, a lungo responsabile delle politiche immigratorie in seno alla Commissione, è scettico.
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«L'Unione europea è forte verso i Paesi terzi quando è forte al suo interno. Perché siamo una potenza commerciale? Perché abbiamo il mercato unico. Andare a negoziare accordi con paesi terzi quando siamo divisi all'interno non ci pone in una posizione forte. Possiamo essere accusati di esternalizzare i problemi perché non riusciamo a risolverli internamente».
Ma sono anni che si tenta invano di convincere i Paesi dell'Europa dell'Est a risolvere questo problema comune...
«Nessuno sta davvero facendo pressione politica sui Paesi dell'Est. Perché dovrebbero cambiare posizione? I numeri attuali dei migranti sono bassi e l'opinione pubblica si sta concentrando su altri problemi, sulla salute, sul lavoro, sulle vacanze ritrovate. Occorrerebbe una spinta politica, un momento ideale come quello che ha permesso lo scorso dicembre di aggiungere la clausola di condizionalità sul rispetto dei diritti umani al Recovery Fund. Ma ora non vedo le stelle allinearsi».
Toccherà all'Italia inventarsi qualcosa?
«Il vice presidente Schinas ripete di essere preoccupato che non ci sia una soluzione alla vigilia delle elezioni tedesche e francesi. Soprattutto francesi, dove si riproporrà il duello Lepen-Macron. Storicamente solo l'Italia è stata in grado di muovere il dossier migrazioni. Ricordo che se abbiamo Frontex è grazie all'attivismo dell'Italia nell'anno della sua presidenza della Ue: decisa in un Consiglio di settembre, Frontex è nata entro la fine dell’anno, del 2004. Ma l'Italia ha bisogno di appoggio. Se si formasse la triangolazione Draghi-Merkel e Macron allora credo che si potrebbero fare progressi rapidi sul nuovo patto per la migrazione. Detto questo, occorre realismo. Oggi la priorità non è legata all'immigrazione ma all'implementazione socialmente equa dei piani di ripresa e alla lotta al cambiamento climatico».
Cosa di concreto è stato fatto nell’ultimo anno?
«Il Portogallo ha messo in campo “le carte blu” da concedere a quei cittadini extra-Ue con qualità professionali che in Europa scarseggiano e la Germania ha rafforzato i sistemi telematici di comunicazione intra-Schengen sui migranti».
Ma questa Agenzia europea dell’asilo che dovrebbe essere approvata nel prossimo Consiglio è il massimo che possiamo ottenere come Italia entro l'estate, nonostante la spinta del premier Draghi?
«La Commissione continua a offrire proposte e soluzioni sul traffico dei migranti, sui rimpatri, oltre a quelle, più volte rifiutate, sulla redistribuzione. Ma mancano i pezzi chiave del sistema. Manca il meccanismo tecnico con cui gestire la prossima grande crisi migratoria e l'accordo su una qualsiasi forma di solidarietà tra stati».
Insomma avremo un altro Consiglio senza risultati sul dossier migrazioni?
«Parte del problema è che oltre alla questione politica (il fatto che i paesi di Visegrad non ne vogliono sapere di accogliere migranti) c'è una buona parte della questione tecnica che non è ancora stata risolta. Un esempio? I rimpatri. L'idea è che gli stati che non sono in prima linea aiutino i loro vicini sponsorizzando i rimpatri dei migranti. Però nessuno ha ancora chiaro come un tale meccanismo potrebbe funzionare e se funzionerebbe. C'è ancora una grande quantità di lavoro tecnico da fare prima di entrare nei dettagli politici della questione. Per questo credo che il Consiglio dovrebbe chiedere alla Commissione di accelerare il lavoro, soprattutto adesso che l'emergenza pandemia volge al termine. Questo è il primo buon momento: di persona i capi di Stato possono raggiungere più facilmente un’intesa che non attraverso uno schermo».
La presidenza slovena potrà giocare un ruolo?
«Sul dossier migrazioni è sempre stata molto collaborativa. Il premier Janez Jansa si schiera con i Paesi di Visegrad sui temi dello stato di diritto ma è più flessibile sul tema migranti. Inoltre la direttrice esecutiva dell'Agenzia per l'asilo (ndr: Nina Gregori) è slovena ed è molto attiva. La Slovenia potrebbe essere utile all'Italia».