Accuse di plagio e di ritocchi al curriculum. E contro la candidata, finora favorita per la Cancelleria, si scatena una campagna furiosa. Forse orchestrata dalla Russia

«Merda!», aveva sibilato Annalena Baerbock mentre si allontanava dal palco sul quale aveva appena pronunciato il suo discorso di accettazione della candidatura al congresso dei Verdi, appena un mese fa. Dicono i ben informati che lo sfogo, catturato da un microfono spento con un secondo di ritardo, fosse motivato dal fatto che la donna scelta dagli ambientalisti tedeschi per correre al posto oggi occupato da Angela Merkel si era impappinata per un attimo di troppo nel rivolgersi alla platea. Non poteva immaginare, la leader del partito che fu di Joschka Fischer, che la campagna elettorale verso il voto del 26 settembre, quello dell’addio alla “donna più potente del mondo”, quello che verosimilmente ridefinirà il ruolo della Germania sulla scena globale, le avrebbe riservato di peggio. Molto di peggio.

 

Il fatto è che il “Baerbock-massacre” sembra essere diventato una specie di ossessione nazionale. Non che non vi sia qualche argomento: prima l’inciampo di alcuni introiti-bonus dimenticati nelle segnalazioni agli uffici del Bundestag (roba da qualche migliaio di euro), poi la scoperta di piccoli “aggiustamenti” nel suo curriculum (tipo che nel 2005 non fu la capo-ufficio di un’europarlamentare ma solo una collaboratrice), infine una serie di presunti copia-incolla nel suo libro “Adesso: come innoveremo il nostro Paese”. Insomma, visto dalle nostre latitudini, pressoché zero. Abbastanza, però, per farne il dibattito nazionale numero uno in Germania. Giornali, siti d’informazione, televisioni non parlano d’altro, illustrando per i Verdi uno scenario apocalittico.

 

Di «chiodi sulla bara della candidatura alla cancelleria» riferisce lo Spiegel, «È finita», urla la Tageszeitung, «Verdi nel panico», commenta la Zeit. E questo senza parlare delle testate di destra, che si lanciano in decine di articoli sulle rivelazioni dei “cacciatori di plagi”, con la Bild Zeitung, il tabloid più letto del Paese, che accusa i Verdi di atteggiamenti «quasi totalitari» e «illiberali» e avverte i suoi 3,5 milioni di lettori: «Fa paura l’idea che persone del genere vogliano entrare nella cancelleria». In effetti, nello stormo di articolesse e hashtag come #Baerplag, dato che l’accusa di plagio appare un po’ fragile, si è passati a una nuova categoria del misfatto politico: la manciata di furti di parole contenuti nel libro, peraltro ai danni di due padri nobili dei Verdi come Joschka Fischer e Juergen Trittin, violerebbe “il diritto d’autore”.

 

Tra i passaggi rubati, uno riguarda un elenco di Paesi che sono entrati nell’Ue, un altro consiste in una lista di pericoli per l’economia derivanti dai cambiamenti climatici presenti nei dossier dell’Onu. Finanche dell’uso di quattro singoli aggettivi viene accusata Baerbock: «Vivace e impulsivo, emotivo e fattuale», che secondo uno dei vari “esperti di plagi” citati dai giornali compaiono nella prefazione a un rapporto di un’importante associazione ambientalista tedesca.

 

Com’è come non è: il punto politico è che Baerbock - che guida gli ambientalisti tedeschi dal 2018 insieme a Robert Habeck – corre (o correva?) seriamente il rischio di essere la prossima cancelliera della prima economia dell’Unione europea. In altre parole: la posta in gioco è alta e sta smuovendo passioni forti e appetiti immensi. Da circa due anni i Verdi tedeschi - che già governano, in diverse costellazioni, in 11 Laender - nei sondaggi sono stabilmente la seconda forza politica del Paese, mentre la loro leader per settimane ha staccato di diversi punti gli altri due sfidanti, il cristiano-democratico Armin Laschet e il socialdemocratico Olaf Scholz, in quanto a preferenze dei tedeschi per la cancelleria: sì, un radicale cambiamento di paradigma al centro dell’Europa.

 

Non fosse che, stando ai sondaggi, la furibonda campagna anti-Baerbock sta mostrando i suoi effetti: nella gara a tre, la leader dei Verdi è precipitata al terzo posto. E se neanche due mesi fa i Verdi avevano messo a segno un inaudito sorpasso del blocco conservatore Cdu/Csu, oggi si trovano a inseguire ad una distanza di ben 8-10 punti.

 

Hai voglia, come fa lei, a parlare di “fake news”, mentre autorevoli compagni di partito ripetono che quella in corso è nient’altro che una «guerra di propaganda» e che i passaggi contestati «riguardano esclusivamente fatti storici e verità scientifiche risapute». E tuttavia ora non sono più solo i Verdi a parlare di “battaglia del fango”. Con il suo stile sobrio, è entrato nella contesa persino il capo dello Stato Frank-Walter Steinmeier, che ha fatto sapere che «interverrà, se necessario» e di «riflettere con attenzione su ogni parola pronunciata, dato che forse poi ci si dovrà sedere insieme allo stesso tavolo»: chiaro riferimento al fatto che - numeri alla mano, a meno di cataclismi - dopo le urne non v’è maggioranza che possa prescindere dai Verdi.

 

Non si tratta di un appello di routine. Prima è stato il boom di messaggi denigratori sui social media, dove sin dall’annuncio della candidatura sono cominciati a circolare all’impazzata minacce, insulti e follie come la presunta intenzione di Baerbock di voler “eliminare i cani” per salvare il clima o come falsi nudi in cui la leader è ritratta come una pornostar russa. Un fenomeno che ha assunto «dimensioni completamente nuove», a detta del capo della campagna elettorale dei Verdi, Michael Kellner, non tanto per il tenore delle accuse, ma per la rapidità con la quale lo tsunami è cresciuto in rete.

 

Poi, tra le altre, ha fatto un certo effetto la notizia del portale T-Online, secondo cui lo scorso maggio alcuni non meglio precisati “mandanti” sarebbero andati a scovare “cacciatori di plagi” - tra cui il fondatore del gruppo “VroniPlag” Martin Heidingsfelder - con l’esplicito scopo di setacciare tutta la vita e le opere di Baerbock alla ricerca anche del più minuto vizio da rinfacciarle in vista della contesa elettorale del decennio.

 

Non finisce qui: qualche settimana fa i servizi segreti “interni” del BfV (Ufficio federale per la difesa della Costituzione) avevano avvertito nel loro rapporto annuale che la Russia starebbe operando per intromettersi “massicciamente” nella campagna elettorale in corso in Germania: neanche a dirlo apposta, nel mirino vi sarebbe, in particolare, Annalena Baerbock.

 

Nel dossier si afferma, tra l’altro, che gli agenti russi potrebbero cercare di diffondere via Internet «informazioni sensibili trafugate» in modo da diffonderle pubblicamente «in uno spazio temporale vicino alle elezioni», allo scopo di «pilotare l’opinione pubblica in Germania attraverso propaganda, disinformazione e altri tentativi d’influenzamento».

 

Non è difficile indovinare quali siano i motivi dell’attenzione russa per Baerbock: a parte le ripetute critiche nei confronti del Cremlino, la leader verde ha preso apertamente posizione contro la pipeline Nord Stream 2, volta ad aumentare drasticamente il flusso di gas russo verso l’Europa.

 

Ma di questo si parla poco in Germania. In compenso si moltiplicano gli appelli a cambiare il cavallo in corsa, sostituendo Baerbock con Habeck, mentre la stessa Baerbock fa una fatica spaventosa nel tentare di spostare il dibattito sui contenuti, a cominciare ovviamente dai temi climatici, oppure attaccando la Cdu, «che getta sabbia negli occhi degli elettori, facendo finta di poter modernizzare il Paese a costo zero».

 

I suoi colleghi di partito intanto non sono i soli a notare che ben minore attenzione si erano meritati lo scandalo delle mascherine anti-Covid-19 difettose che il ministero della Sanità sotto la guida di Jens Spahn, anche lui esponente di rilievo della Cdu, voleva rifilare tra gli altri a senzatetto e portatori di handicap oppure la polemica intorno all’ex capo dei servizi segreti interni Hans-Georg Maassen (il quale si dovette dimettere per eccessive “simpatie” con l’ultradestra), che, candidato al Bundestag, ha preteso un esame “ideologico” per i giornalisti delle emittenti pubbliche considerati troppo di sinistra.

 

Vuoi mettere il fascino del “Baerbock-gate”? A oggi pare ben più eccitante lo spettacolo dell’ex atleta (era una campionessa di trampolino elastico) esperta in diritto internazionale, che fino ad un mese fa veniva coccolata con la stessa intensità con la quale adesso viene sbranata sulla pubblica piazza: tanto da spingere il suo principale antagonista, il già citato Laschet, a cavalcare l’onda accusando di «trumpismo» i Verdi per il «tono aggressivo» usato nel difendersi.

 

Nel campo dei Verdi l’indignazione è grande, e si parla di «campagna orchestrata» il cui scopo è quello di isolare oltreché indebolire la leader. Sull’altro fronte, appare notevole la difesa da parte dell’ex ministro degli Esteri Sigmar Gabriel: «Quel che accade mostra quanto sia penosa questa campagna elettorale», ha scritto l’ex leader Spd su Twitter, «e la schiuma alla bocca nasconde solo il voyerismo nel vedere di nuovo il fallimento di una donna che osa voler cambiare qualcosa».

 

E se qualche commentatore arriva a fare il paragone con la furibonda campagna contro Hillary Clinton nel 2016 (vinse, come si sa, Donald Trump), in un editoriale la Taz - il giornale della sinistra - ricorda che il prossimo governo tedesco «sarà l’ultimo a poter imporre misure efficaci nella lotta alla crisi climatica», e invece «i media tedeschi discutono per settimane delle manchevolezze di Baerbock: certo, questa infantilizzazione collettiva è insopportabile. Ma, soprattutto, è irresponsabile».