Fenomeni
Negli ultimi anni ne sono nate oltre 500, da Parigi a Madrid, dall’Islanda all’Irlanda. Convocate su temi diversi per ascoltare l’opinione degli elettori. Ma non sempre poi vengono ascoltate
di Federica Bianchi
Quando mille cittadini irlandesi bussarono con rabbia alle porte del parlamento di Dublino nel 2010 non fu soltanto per sfogare la frustrazione di avere perso tutto, la casa soprattutto, e poi i risparmi di una vita, nella Grande crisi del 2008. Cercavano i colpevoli, i cattivi amministratori che avevano permesso per anni all’Irlanda di sfiorare le stelle, in una gigantesca bolla creditizia, prima di schiantarsi a terra, facendosi molto male. Le leggi, non solo quelle bancarie, erano sbagliate. C’era bisogno di rifondare le basi della convivenza. E loro, i cittadini, volevano partecipare direttamente alla ricostruzione del Paese.
La crisi era così grave che furono ascoltati. Nel dicembre del 2012 nasceva la Convenzione costituzionale: 33 rappresentanti parlamentari e 66 cittadini scelti a caso si riunirono per oltre un anno a riflettere e redigere un parere su otto argomenti. Il governo rispose formalmente a tutti e ne sottopose tre a referendum, due dei quali passarono: la legalizzazione dei matrimoni dello stesso sesso e la rimozione della blasfemia dalla Costituzione. Quattro anni più tardi, la Convenzione è stata trasformata in un organo permanente, l’Assemblea dei cittadini, che oggi delibera su alcuni temi per 18 mesi al di fuori degli schieramenti politici. Un frutto di queste riflessioni è stato il referendum sull’aborto, tema su cui nessun partito aveva mai osato scommettere, e che oggi è legale.
Da allora gli esperimenti delle assemblee cittadine si sono moltiplicati in tutta Europa, sostenendo lo strumento del referendum lì dove esiste ed è usato, e sostituendolo quando, come in Germania, è visto come strumento di follia collettiva, dopo l’utilizzo fattone da Adolf Hitler a partire dal 1933 quando permise l’uscita della Germania dalla Lega delle Nazioni. «L’assemblea cittadina trasforma un dibattito emotivo in una proposta serena», dice David von Reybrouck, storico e scrittore belga promotore, con successo, di un’assemblea cittadina permanente nella regione tedesca del Belgio, Stato in cui i referendum sono vietati: «È il luogo in cui discutere con persone con cui non sei d’accordo per farti un’opinione informata. Il contrario di un referendum dove contano più le emozioni che il cervello». Come è accaduto nel 2017 in Gran Bretagna con il quesito sulla Brexit, aggiunge.
Sono oltre 500 le assemblee cittadine nate in tutta Europa, tante municipali come a Parigi, Madrid, Barcellona, Amsterdam, moltissime su temi ambientali. Gli islandesi le hanno usate per cambiare la costituzione all’indomani della Grande crisi. Il presidente del parlamento tedesco, Wolfang Schäuble, ne ha appena patrocinata una nel Bundestag sul «ruolo della Germania nel mondo». Emmanuel Macron ha usato la Conferenza sul clima dopo lo smacco subito dai Gilet gialli quando tentò di alzare le tasse sui carburanti. «Siamo tutti consapevoli che la rappresentanza democratica è in crisi», dice Alberto Alemanno, autore di The Good lobby, partecipazione civica per influenzare la politica dal basso: «Per salvare la democrazia i governi si stanno aprendo a forme di consultazioni pubbliche che li aiutano ad indirizzare l’agenda». Anche se non sempre i risultati sono quelli attesi: se le istituzioni islandesi hanno modellato la nuova Costituzione sulla base dei suggerimenti ricevuti, Macron li ha ignorati quasi tutti.
L’ondata delle assemblee cittadine non sta passando inosservata nemmeno a Bruxelles. Proprio in questi giorni sono in corso nel Parlamento di Strasburgo le sedute degli 800 cittadini scelti a caso nei 27 stati membri per discutere sul Futuro dell’Europa. Un progetto annunciato due anni fa con lo scopo di immaginare l’Europa nel medio-lungo termine e proporre le riforme a cui mettere mano. Dieci i temi: dal cambiamento climatico al ruolo della Ue nel mondo, dalla trasformazione digitale alla migrazione, dall’economia alla democrazia europea. Forse troppi per il numero ridotto di sedute in cui i convocati sono stati costretti dalla pandemia e dal desiderio di Macron di annunciarne i risultati nella primavera di presidenza francese.
I diplomatici, perplessi dall’uso di questo nuovo strumento democratico, scuotono la testa, dicendo che, in ogni caso, non esiste la volontà delle capitali di rimettere mano ai Trattati. Resta la speranza che qualche anonimo cittadino riesca lì dove capi di governo e burocrati hanno finora fallito.