Scenari
L’affermazione di Fratelli d’Italia diventa un elemento da giocare nella campagna elettorale per il midterm e i suoi video fanno il giro sui social della “far right”
di Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni da Washington
«È bello vedere sul palcoscenico internazionale donne come noi, che sono madri, imprenditrici, che mal sopportano il vittimismo. Sono poche quelle che lottano per preservare la famiglia e per non lasciare che tutto venga deciso dalle élite mondiali». Wendy Rogers, senatrice statale ultraconservatrice dell’Arizona, ci risponde compiaciuta, quando le chiediamo perché sia così entusiasta della vittoria di Giorgia Meloni alle elezioni del 25 settembre.
Il suo nome spunta tra le decine di commenti di politici e personalità della destra americana che plaudono alla leader di Fratelli d’Italia. La maggior parte appartiene a quella che qui in Usa definiscono “Maga country”, la fetta di nazione popolata dai sostenitori repubblicani più fedeli all’ex presidente Donald Trump e al mantra “Make America Great Again”. Più cauti i moderati del Gop, che preferiscono aspettare Meloni sul campo di governo.
«È bene precisare che un numero cospicuo di coloro che scrivono di questi argomenti, in realtà sa poco e niente del vostro Paese, della sua storia», mette in chiaro Mabel Berezin, docente di sociologia alla Cornell University. Eppure, sono bastate poche parole ripescate da un discorso del 2019, quello tenuto al Congresso mondiale delle famiglie di Verona, a consacrare Meloni come l’eroina della “far-right”, il vento nuovo arrivato dall’Europa che (sperano) riprenderà a soffiare anche da queste parti, dopo gli anni di presidenza Biden.
Nei giorni scorsi a postare, con i sottotitoli in inglese, il video in cui la leader di FdI difende fieramente Dio, patria e famiglia, è Greg Price, stratega di una società di consulenza politica conservatrice. L’effetto è dirompente. In pochissimo tempo l’intervento è stato ritwittato oltre 65 mila volte, incassando più di 200mila like.
«In America in questo momento c’è un movimento in continua crescita chiamato nazionalismo cristiano bianco. Le parole di Meloni sono ovviamente musica per le orecchie di molte di queste persone», spiega Berezin.
«L’Italia ha la sua Trump. Questa donna è impressionante», scrive ad esempio l’ex pilota militare e autore ultraconservatore Buzz Patterson. «Discorso fantastico - twitta il senatore del Kansas Roger Marshall - Speriamo che gli americani si sveglino, per abbracciare la fede, la famiglia, la nazione». Per il senatore repubblicano del Texas, Ted Cruz, ex candidato alle primarie presidenziali, quel discorso di Meloni è semplicemente “spettacolare”.
«In Italia, la vittoria di Giorgia Meloni ha dimostrato che gli italiani vogliono che il governo e il Paese lavorino per loro, non per i “burocrati di Bruxelles” - ha scritto su Fox News Callista Gingrich, ex ambasciatrice americana in Vaticano - È un momento storico per l’Italia. Meloni, madre cattolica, è pronta a diventare la prima Presidente del Consiglio donna in Italia (...) Con inflazione da record, aumento dei costi dell’energia ed economia in difficoltà, ha condotto una campagna incentrata sullo slogan “Prima l’Italia e gli italiani!”».
Meloni, da parte sua, aveva già preparato il terreno. Oltre ad essere stata ospite della National Prayer Breakfast, l’incontro di preghiera multireligiosa e bipartisan che si tiene ogni anno a Washington, ha partecipato alla Conservative Political Action Conference, meglio nota come Cpac, il più importante appuntamento per i conservatori americani. A febbraio, dallo stesso palco calcato da Donald Trump a Orlando in Florida, aveva stregato i repubblicani: «The only way of being rebels is to be conservatives». L’unico modo di essere ribelli, è essere conservatori.
«Crede in Dio, nel suo Paese, nella famiglia. Non mi sembra sia così tanto radicale. Ciò fa di lei una cristiana nazionalista. Il peggio del fascismo, no?», si chiede ironico in radio l’amico della prima ora Steve Bannon, controverso ex consigliere di Trump, parlando di “Giorgia”. Il riferimento è ai tanti articoli allarmati dei media mainstream, come Washington Post e New York Times, in cui le parole fascismo e post-fascismo compaiono insistentemente.
Il campo è italiano, ma a scontrarsi sono ancora una volta le due anime d’America. «Tutto viene elaborato attraverso la lente della politica interna statunitense», ci fa infatti notare Jacob Kirkegaard, esperto del Peterson Institute for International Economics.
Da una parte c’è l’ala destra del partito repubblicano che si sente minacciata non solo dalla presidenza Biden, ma anche dal sistema di valori liberal, dalle teorie sul gender, dai diritti gay e trans, dalle insidie della critical race. Minacciata, nonostante le recenti vittorie consumate sui banchi della Corte Suprema a maggioranza conservatrice, come il ribaltamento della sentenza Roe vs Wade che garantiva a livello federale il diritto all’aborto. Dall’altro lato della barricata, ci sono i democratici, feriti dalla presidenza Trump, indignati dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, che guardano con apprensione alla vittoria di Meloni, «chiaramente a capo di un partito che nasce dal neo-fascismo», sottolinea Kirkegaard. Anche in vista delle prossime elezioni presidenziali del 2024.
«Se Biden dovesse decidere di correre per un secondo mandato, uno dei pilastri su cui poggerà la campagna elettorale, sarà proprio quello di presentarsi come un baluardo contro il fascismo. Ed è chiaro che l’autoritarismo è incarnato da Trump».
E difatti, nonostante le posizioni ufficiali della Casa Bianca, che si è impegnata a lavorare «con il nuovo governo italiano sull’intera gamma di sfide globali condivise», Biden ha avuto toni meno rassicuranti, parlando a una raccolta fondi dell’Associazione dei governatori democratici a tre giorni dal voto italiano. «Avete appena visto cosa è successo in Italia con le elezioni. Avete visto cosa sta accadendo in tutto il mondo. Non possiamo essere ottimisti nemmeno su ciò che sta accadendo qui», ha detto.
Puntare sulla democrazia a rischio, per il presidente in carica «è una chiara strategia politica, serve a mobilitare gli elettori democratici, a spronarli a votare già nelle prossime elezioni di metà mandato», dice Kirkegaard. La posta in gioco è altissima perché a novembre gli elettori saranno chiamati alle urne per rinnovare la Camera e un terzo del Senato. I dem potrebbero perdere la maggioranza, già stretta, al Congresso rischiando la paralisi.
Nonostante le ansie dei progressisti sul futuro dei diritti civili in Italia, con una guerra in corso nel cuore dell’Europa la principale preoccupazione oltreoceano rimane la politica estera. Washington come da prassi non si esprime sulle questioni interne e rimane in attesa di giudicare Meloni alla prova dei fatti. Le sue posizioni su Nato, Europa e sostegno all’Ucraina sono chiare, in dubbio però sembra esserci la tenuta sul lungo periodo. «Gli Stati Uniti di Biden sostengono l’Unione Europea. In questo momento sia Usa che mercati finanziari aspettano che Meloni sciolga il nodo sui ministri della sua squadra di governo, per capire se avranno intenzione di cooperare», riflette Max Bergmann, direttore del Programma Europa del think tank americano Center for Strategic and International Studies (Csis). «L’auspicio è che davvero l’unità della Ue resti salda. Nessuno dimentica le relazioni passate con Viktor Orban; il timore è che l’Ungheria possa cercare in futuro di bloccare le sanzioni contro la Russia. Ecco, credo che gli Usa temano la possibilità di un’asse italo-ungherese capace di bloccare le azioni dell’Unione Europea», spiega Bergmann, che alle spalle ha una lunga esperienza al Dipartimento di Stato dove è stato anche speechwriter e consigliere dell’ex Segretario John Kerry.
Apprensione anche per le prime mosse del futuro governo Meloni in campo economico. «Ci si interroga sul corso che prenderà l’Italia, se si scontrerà con la Ue sul Recovery Fund, incredibilmente importante per la crescita del Paese. Washington teme un approccio che possa causare instabilità nei mercati». Allargando il campo, la paura più grande rimane la tenuta dell’alleanza transatlantica. «Preoccupa l’ascesa dei partiti di estrema destra in Europa. In Svezia hanno vinto i Democratici Svedesi e in Francia Marine Le Pen ha ottenuto buoni risultati. Questi, potrebbero diventare attori determinanti in futuro, quando si tratterà di sostenere ancora l’Ucraina, di aumentare le spese militari o di lavorare con gli Usa», continua l’esperto. Altra importante questione, conclude, è il vuoto lasciato dall’ex presidente Mario Draghi nella comunità internazionale. «Il fatto che non sia più parte del governo ha provocato straniamento. È stato un personaggio chiave nella costruzione delle sanzioni alla Russia. Sarebbe stato difficile per chiunque rimpiazzarlo, almeno dal punto di vista degli Stati Uniti».