Tra scartoffie e spese monstre, il cuore della macchina bellica degli Stati Uniti perde colpi e non riesce a rinnovarsi. Tutto sembra rimasto fermo al tempo della Guerra Fredda

Il Pentagono, sede blindatissima (e pure un po’ cinematografica) di quella che senza dubbio è stata, e probabilmente è ancora, la più poderosa macchina bellica al mondo, dovrebbe essere uno dei posti più avveniristici ed efficienti d’America. E invece, a guardarlo da vicino, e soprattutto da dentro, appare come un polveroso dedalo di burocrazie e scartoffie: fiacco, farraginoso, bizantino e disperatamente lento e inefficiente (e lentezza e rigidità e, più o meno dai tempi delle Termopili, sono l’esatto opposto di quel che serve per condurre un’operazione militare decente).

 

John Kroeger, giurista che per lungo tempo ha servito nei Marines, ha scritto in un lungo articolo apparso su Wired nel 2020: «Non ci sono laptop alle riunioni del Pentagono. Non ci sono nemmeno lavagne. Nessuna connettività e quasi nessuna diversità. Amo la Marina e il Corpo dei Marines, ma come dirigente civile, questo ambiente degli anni ’50 è ciò che mi ha esasperato di più nel lavorare lì. Questi problemi danneggiano la velocità e la qualità della nostra pianificazione e del nostro processo decisionale militare. Se non li correggiamo presto, metteremo a repentaglio la nostra sicurezza nazionale».

 

Il periodico di politica internazionale Foreign Policy, in un recente articolo, scrive: «Il Dipartimento rimane rigidamente gerarchico, in netto contrasto con le organizzazioni moderne; rimane ossessionato dal protocollo; rimane gravato dalla stretta aderenza a processi lenti e sequenziali; sviluppa armi incredibilmente efficaci, ma una quantità spaventosamente grande del denaro che spende viene sprecata in spese generali contrattuali e programmi di acquisizione che richiedono così tanto tempo che le armi possono essere quasi obsolete quando vengono messe in campo. Prendere una decisione? Le idee audaci spesso subiscono la morte per mille tagli di carta o forse sono più benignamente soffocate dalla noia».

I simboli
Come è cambiata la guerra in Ucraina dopo l’esplosione del ponte in Crimea
17/10/2022

Il Pentagono appare dunque come una macchina sì poderosa e potentissima, ma resa inefficiente (e quindi inefficace) dalla sua stessa mole, con il risultato di essere inadeguata e soprattutto sproporzionata rispetto ai fondi che richiede (gli Usa spendono tra i 700 e gli 800 miliardi di dollari l’anno per le intere forze armate; poco meno del 4 per cento del Pil statunitense, laddove la Cina non arriva al 2 per cento).

 

Come tutte le cose, però, anche la lentezza e l’efficienza solo parziale del Pentagono, hanno una causa e un effetto. La causa è, in buona sostanza, il fatto che da un certo punto in poi il Pentagono non ha avuto più bisogno di essere né efficiente né efficace. Con la fine della Guerra Fredda, che gli Stati Uniti hanno vinto, è sembrato che la ragione stessa dell’esistenza del Pentagono venisse meno. Del resto, dopo la Seconda Guerra Mondiale e la divisione del mondo in blocchi, gli Stati Uniti avevano progettato la loro struttura militare a misura di scontro mondiale, con portaerei, jet, armi nucleari. Ma quando la Guerra Fredda è finita e per un breve periodo è parso che tutto quel l’armamentario pesantissimo fosse pronto per essere consegnato alla Storia e ai magazzini. Dunque che senso aveva renderlo migliore, più efficace se ormai era roba di antiquariato?

 

Le cose sono andate diversamente e la Storia si è ben guardata dal finire. Anzi, ha continuato ad andare avanti a tutta velocità, mentre il Pentagono, illuso di essere diventato inutile, rimaneva fermo e uguale a se stesso.

 

Le guerre non sono finite, ma si sono trasformate da scontri tra potenze in terrorismo, attentati e guerriglia, trovando gli Stati Uniti completamente impreparati, tanto in Iraq quanto e, soprattutto, in Afghanistan. «La nostra débâcle strategica post-11 settembre è nata da una mentalità che si è concentrata in modo schiacciante su avversari e minacce, a scapito della comprensione del contesto in cui si erano metastatizzati. Abbiamo perso la guerra in Afghanistan, non per mancanza di capacità di battere i talebani in aperta battaglia, ma perché non siamo riusciti a capire l’Afghanistan stesso. In Iraq, ci siamo dimostrati incapaci di navigare in un labirinto di linee di fratture sociali e politiche. Più e più volte, durante la “Guerra globale al terrorismo”, i nostri nemici si sono adattati e rigenerati», scrive il Modern War Institute. Un cambiamento veloce e fluido, cui il Pentagono, probabilmente più per complessità che per pigrizia o malafede, ha risposto restando sempre uguale, all’insegna del «si è fatto sempre così»: non ha rinnovato i suoi processi decisionali, la sua capacità di approvvigionamento (il primo audit finanziario cui la struttura è stata sottoposta data 2017 e non lo ha nemmeno superato) e soprattutto non ha mai rivisto la concezione del suo compito: non ha cambiato il suo modo di studiare, prima ancora che di combattere.

Affari di guerra
Il Ponte attaccato in Crimea porta alla cricca dei corruttori e tesorieri di Vladimir Putin
12/10/2022

Ma se queste sono le cause della paralisi del Pentagono, occorre ora pensare agli effetti. E per scorgerne il profilo, occorre guardare al futuro prossimo della guerra in Ucraina, di cui il Pentagono appare, che lo voglia o no, centro strategico. Un centro strategico che ora, a meno di un anno dall’inizio del conflitto, inizia a dare segni di affanno. Pochi giorni fa, il sito di Bloomberg, ha provato a fare i conti in tasca al dipartimento della Difesa americana (da cui dipende buona parte della risposta militare ucraina alla Russia) e i risultati non sono parsi buoni. «Dall’inizio della guerra in Ucraina, nessuna arma è stata più efficace contro le forze russe del missile anticarro Javelin. La potenza dell’arma ha contribuito a sventare i piani del presidente Vladimir Putin di invadere il Paese. C’è solo un problema: le scorte statunitensi stanno finendo», scrive Bloomberg.

 

Secondo i calcoli, la guerra ha già consumato fino a un terzo dell’inventario di Javelin dell’esercito americano e un quarto dell’inventario statunitense di missili antiaerei Stinger a spalla. In pratica non solo entro pochi mesi gli Usa potrebbero non avere più niente da mandare in Ucraina (o chissà dove) ma potrebbero trovarsi impreparati e sguarniti nel caso in cui un conflitto (per esempio con la Cina) li coinvolgesse direttamente. Il che non è esattamente quel che ci si aspetta dall’esercito Usa.