Anaisi
La Libia dei due premier è condannata al caos
Dbeibah, deposto da Tobruk, resiste. Bashaga, primo ministro designato, si allea con le milizie e l’ex nemico Haftar. Contro il quale aprì le porte alla turchia
La storia della Libia è una storia di eterni ritorni a alleanze variabili. Una volta ancora, due settimane fa, il Paese si è svegliato con due governi, stavolta non contrapposti ma paralleli. Solo un anno dopo la formazione, a Ginevra, del primo governo della Libia finalmente riunita, dopo la guerra civile che dal 2014 aveva spezzato il Paese tra il governo di Tripoli e quello della Cirenaica, oggi la Libia è ancora una volta vittima di se stessa, delle ambizioni dei politici che la amministrano, degli imbrogli istituzionali e delle interpretazioni interessate degli organi di governo.
Il 10 febbraio, il Parlamento con sede nell’est del Paese, a Tobruk, ha – a sorpresa – nominato Fathi Bashaga come nuovo primo ministro, per sostituire Abdel Hamid Dbeibah, incaricato solo a marzo 2021 col il compito di traghettare la Libia alle elezioni che erano previste per lo scorso 24 dicembre. Le elezioni (come previsto) non si sono tenute e per questo la Camera dei rappresentanti ha ritenuto legale votare per la sostituzione di Dbeibah e favorire il tandem che era uscito sconfitto dal Forum di Ginevra, quello formato, da Fathi Bashaga (appunto) e Aguila Saleh.
Saper perdere, lo si è capito negli ultimi dieci anni, non è una delle specialità libiche.
C’è da dire che non lo è nemmeno saper vincere.
Nominato per un mandato ad interim, a condizione di non candidarsi per le presidenziali, Dbeibah ha invece presentato la sua candidatura a dicembre, dopo aver scaltramente distribuito denaro e prebende a cittadini e milizie alleate. Il 10 febbraio, dopo la nomina di Bashaga ha dichiarato di non volersi dimettere e di voler, al contrario, proseguire con il suo mandato fino allo svolgimento delle elezioni. La sera, in un intervento televisivo, ha detto: «Non accetterò alcuna nuova fase di transizione o autorità parallela, cederò il potere solo a un governo eletto». Delle elezioni cancellate, tuttavia, ancora non si conosce la nuova data.
La coesistenza (una volta ancora) di due autorità mina la fragile stabilità che la Libia stava cercando di raggiungere dopo la guerra lanciata da Haftar su Tripoli, nel 2019 e le faticose trattative per raggiungere un accordo di cessate il fuoco, a fine 2020.
E poi in molti l’imbarazzo è grande, sebbene la Libia sia un Paese con la memoria a singhiozzo.
I sostenitori di Bashaga, cui evidentemente fa difetto la memoria, affermano che lui sia la sola figura oggi in grado di unire est e ovest, dopo aver tessuto astute alleanze con l’uomo forte della Cirenaica, l’antico nemico Khalifa Haftar.
I sostenitori di Bashaga dicono che il voto del 10 febbraio potrebbe offrire un’opportunità per le due regioni di riunirsi attorno a un candidato all’unità e di eliminare diplomaticamente Dbeibah dopo che non ha mantenuto la promessa di tenere le elezioni l’anno scorso.
I suoi detrattori ricordano la storia recente. Fu lui, allora ministro dell’Interno del governo di Fayez al Sarraj, a chiedere il supporto della Turchia per sconfiggere Haftar, quando dichiarò guerra al governo sostenuto dalla comunità internazionale e marciò sulla capitale Tripoli, provocando centinaia di morti, migliaia di sfollati, e distruggendo le periferie meridionali della città. È stato in quel momento, che gli assetti degli attori regionali sono cambiati in Libia, in quel momento che l’Europa si è indebolita, intimidita dal non capire quale fosse il carro del vincitore, lasciando spazio a chi, astutamente, lo prese: Russia da un lato, Turchia dall’altro.
Non amici e non nemici, i russi sostenevano Haftar e i Turchi il governo di Tripoli (cioè quello di Bashaga). Oggi Haftar e Bashaga sono a loro volta non amici e non nemici, uniti in un comune desiderio di mantenere il potere e non rischiare di perdere pezzi partecipando alle elezioni.
Meglio spartire e mantenere che rischiare di perdere tutto a favore di altri, come Dbeibah. Ma c’è un ma.
Bashaga per anni ha presentato sé stesso, sia in Libia che ai partner europei, come una figura anti-milizie, fa perciò piuttosto impressione, vedere le foto che lo ritraggono di ritorno dalla Cirenaica il giorno della sua nomina, accolto all’aeroporto di Tripoli dai rappresentanti di note e potenti milizie locali. Tra i gruppi armati che hanno atteso Bashaga nello scalo della capitale c’erano i Nawasi, i Ghanewam, le potenti milizie di Zawia, persino una vecchia conoscenza delle cronache italiane, Bija, il noto trafficante di cui proprio Bashaga aveva richiesto l’arresto per dimostrare ai partner europei la sua determinazione nel contrastare l’immigrazione clandestina e lo strapotere delle milizie.
Oggi, di quello strapotere che significa insieme armi e consenso, Bashaga ha bisogno, per arrivare al potere. Così ha dismesso gli abiti del politico incorruttibile e ha indossato quelli di chi ha capito che per ottenere consenso in Europa bisogna arrestare i trafficanti e per mantenerlo in Libia, però, bisogna averli alleati.
Come bisogna aver alleato Haftar a cui, dicono i beneinformati, Bashaga avrebbe garantito un ruolo nel nuovo governo, forse ministro della Difesa.
Nelle prossime due settimane Bashaga deve formare un governo e Dbeibah passare alla controffensiva diplomatica. Facile immaginare che saranno giorni di alleanze sottobanco e promesse che presto o tardi chiederanno di essere mantenute.
L’ambizione di Bashaga di diventare primo ministro, e la determinazione di Dbeibah di restarlo potrebbero creare una rumorosa situazione di stallo. La settimana scorsa le milizie di Zawya si sono già avvicinate alla capitale, e quelle di Misurata città di origine di entrambi sono spaccate tra chi non ammetterà mai un’alleanza con l’uomo forte della Cirenaica e chi, invece, invoca la stabilità promessa da Bashaga.
A margine dei disordini libici, la risposta europea. Una volta ancora timida e non compatta.
Mentre l’Italia si accoda faticosamente al processo diplomatico dei colloqui di Ginevra spingendo per le elezioni presidenziali, la Francia pare puntare su Bashaga.
Oggi Bashaga che durante i combattimenti accusava la Francia di sostenere il «criminale Haftar» e per questo aveva interrotto gli accordi di sicurezza bilaterali con Parigi, è alleato del maresciallo e intrattiene colloqui con l’Eliseo.
Quello che sarà più interessante capire, tuttavia, è come si posizioneranno i nuovi attori protagonisti, la Russia e la Turchia. Vale la pena ribadire che quando Haftar dichiarò guerra a Tripoli, Bashaga invocò l’aiuto dei turchi. Che arrivarono a difendere la capitale, in cambio di affari nella ricostruzione e trivellazioni di petrolio nel Mediterraneo.
Al momento, la maggior parte degli attori internazionali in Libia sta tacendo. Solo l’Egitto, storico sostenitore di Haftar, ha dichiarato di aver accolto con favore il nuovo governo.
Per gli altri – leggasi Turchia – parlano i numeri. La settimana scorsa il ministero della Difesa turco ha dichiarato di aver addestrato finora 8.500 membri delle forze armate libiche e che altri 1.500 stanno ancora ricevendo addestramento, rilevando che l’obiettivo della Turchia è preservare l’unità e l’integrità territoriale della Libia.