Przemysl, stazione. Una lunga coda di persone impedisce l’accesso ai binari 4 e 5. È disordinata ma silenziosa, tranne per i pianti dei bambini che si stancano di aspettare. Sono in attesa che aprano le porte per il controllo dei documenti, perché vogliono tornare a casa, in Ucraina. La coda segue il perimetro della stazione e finisce dove inizia quella di chi attende l’arrivo dei propri cari da Lviv. È difficile cogliere l’impazienza nei comportamenti di chi è appoggiato alle transenne che delimitano l’aera dedicata all’accoglienza delle migliaia di persone che entrano in Polonia ogni giorno, dallo scorso 24 febbraio. Se non per qualche minuscolo, nevrotico gesto come il piede che batte con insistenza e le mani che si stringono troppo.
Gli sguardi sono per la maggior parte fermi nel vuoto. Quasi nessuno è al cellulare, pochi fissano con costanza i binari che si vedono in fondo, coperti dai piloni e dalle strutture in ferro. Perché tanto i treni che arrivano da Lviv si riconoscono subito, dal rumore e dall’aspetto. Sono vecchi. «A volte le locomotive prendono fuoco» spiega Vitaliy mentre aspetta che la moglie arrivi dal Donbass.
Foto di Stefano Schirato
Ai binari 4 e 5 i treni che arrivano e partono per l’Ucraina hanno dei ritardi pazzeschi. Anche se non fa molto freddo dopo ore di attesa si gela. «L’Ucraina non è più un posto sicuro ma almeno è casa» dice Olga dalla fila disordinata di persone che aspettano di tornare. Prima che si aprano le porte per raggiungere i binari devono scendere tutti i passeggeri del treno appena arrivato da Lviv, sono duemila dicono in giro. «Appena ho saputo della guerra sono scappata in preda al panico. Senza sapere dove andare. Ho portato con me solo questo». Olga indica il trolley e due buste di plastica rigida che si usano per fare la spesa, stracolme, con i manici tenuti insieme da una sciarpa. «Sono rimasta in Polonia perché è vicina alla mia terra. Ma sono passate settimane e non so più cosa fare per trascorrere le giornate. Non parlo la lingua, capisco gli altri a stento. Non ho amici, non ho un lavoro. Non mi va di svagarmi mentre i miei familiari soffrono. Mi manca la vita che avevo».
Accanto a lei Hanna, invece, vuole rientrare solo per qualche giorno. Salutare i genitori, i nonni della bimba che le tiene la mano, e tornare a Przemysl. Ad accompagnarle c’è anche il marito, Andriy, che spiega di essere riuscito a uscire dell’Ucraina perché è scappato immediatamente dopo l’entrata dell’esercito russo. Chiama “golden hours” le tre ore che seguono un qualsiasi accadimento imprevisto, quando tutti sono in confusione e non esistono regole chiare da rispettare. È riuscito a uscire dal paese quando il governo non aveva ancora dato l’ordine agli uomini tra i 18 e i 60 anni di rimanere. Tanti dei suoi conoscenti, arrivati poche ore dopo, non hanno potuto attraversare la frontiera. «Mi hanno chiamato urlando “non mi lasciano passare”». Andriy accompagna la moglie e la figlia nell’attesa ma non prenderà il treno per Lviv.
Foto di Stefano Schirato
In coda ci sono per la maggior parte donne con bambini e qualche uomo anziano che trascina le valigie. Così i volti degli uomini giovani si riconoscono subito. Tra questi Yura, 16 anni, torna a Ternopil dal nonno che è cieco e la nonna che ha problemi di salute. «Da soli se la cavano con difficoltà». Ride ma la risata è nevosa. Come quella di Taras che è, in realtà, più un sorriso di cortesia. Racconta che non può dormire né mangiare da quando è scoppiata la guerra. «Non riesco a distinguere il giusto dallo sbagliato». Abita in Polonia da tre anni, si è costruito una vita a Varsavia. Ma da quando i militari sono entrati non pensa ad altro che ad andare a combattere per difendere il suo paese. La sorella vive a Chernihiv, nell’Ucraina settentrionale, nel costante terrore dei bombardamenti. Dopo giornate interminabili in cui i pensieri si sono accavallati, senza logica, nella testa, Taras ha deciso che si sarebbe unito all’esercito ucraino. Sulle spalle ha uno zaino nero, «dentro ci sono i vestiti e qualche regalo per i familiari». Mentre parla la sua voce un po’ trema. I muscoli del viso sono tesissimi, non alza lo sguardo.