Analisi
Come cambia l’Europa (e il mondo) dopo la guerra in Ucraina
Il conflitto ridisegna la geopolitica del Continente: niente più paesi neutrali e la Nato ai confini della Russia. Ma umiliare Mosca può essere molto pericoloso e portare a conseguenze peggiori
La guerra in Ucraina sta ridisegnando l’Europa. Non sappiamo quando né come finirà. Ma possiamo già constatare un rimescolamento delle carte nel teatro continentale. Proviamo a schizzarne i tratti essenziali. Considerando che il 24 febbraio segna una fase storica nuova, ma non è l’ora zero. Gran parte di quanto sta cambiando oggi affonda le radici nel periodo precedente, anche molto lontano. Perché una cosa questa tragedia ci ricorda sopra ogni altra: la storia non si abolisce; si vendica contro chi tenta di abolirla. Le più o meno nuove faglie che qui disegniamo hanno una gestazione spesso lunghissima alle spalle. L’aggressione russa all’Ucraina le ha come risvegliate da un sonno. O forse ce le ha solo rivelate, perché già esistevano e preferivamo non vederle.
La faglia Est-Ovest
La faglia geopolitica e culturale principale che taglia il nostro continente è quella fra Est e Ovest. Finita la guerra fredda, ci eravamo illusi fosse stata colmata. Non è così. Le sue radici sono troppo profonde. Investono i valori, le storie condivise e i costumi di base di popolazioni che nei secoli hanno coltivato specifiche identità, modificabili fino a un certo punto. La linea di partizione passa grosso modo lungo l’ex cortina di ferro, quella che Churchill evocava fra Stettino e Trieste. Frontiera mobile, ma non troppo. Nella storia recente ha separato lo spazio dell’Europa a egemonia americana da quella sotto controllo russo-sovietico.
Tale partizione riguarda oggi la stessa Nato, e con essa l’Unione Europea. La guerra in Ucraina ha squadernato le differenze fra lo schieramento nordico-orientale, che va dal Regno Unito al Baltico, dalla Polonia alla Romania, di tono fortemente anti-russo, e quello occidentale, segnato da Germania (peraltro a sua volta differenziata fra ex Ddr, aperta alle ragioni russe, e regioni occidentali, molto più atlantiche) Francia, Italia e Spagna. La pietra di paragone di questa faglia è il rapporto con la Russia. Quindi con l’America.
Paradosso: l’ex Patto di Varsavia è oggi in genere schierato con l’Ucraina e contro la Russia; l’ex Nato della guerra fredda lo è meno nettamente, soprattutto non intende recidere completamente i vincoli non solo energetici con Mosca, mentre concepisce un futuro equilibrio di pace che ricomprenda un rapporto pacifico con la Federazione Russa, ridotta nella potenza e nelle ambizioni. Evitando che finisca nelle braccia della Cina.
E Washington? Oggi punta nettamente sullo schieramento nord-orientale. Domani, chissà.
In morte della neutralità
C’erano una volta i paesi neutrali. Alcuni di lunga data, come la Svizzera, altri più recenti, quali l’Austria. Per tacere della Svezia e della Finlandia non allineata. Quest’ultima era diventata il modello di una categoria che Mosca avrebbe volentieri esteso a gran parte dell’Europa centrale e orientale. Nel gergo politologico si parla di “finlandizzazione” per descrivere uno Stato che non appartiene ad alcun blocco geopolitico, anche se si fonda su istituzioni e culture politiche di tipo occidentale. Sembrava il destino di Helsinki. E sarebbe dovuto essere, secondo Henry Kissinger e non solo lui, anche quello dell’Ucraina. Oggi la Finlandia, con la Svezia, bussa alle porte della Nato. E pare destinata ad entrarvi in un tempo ragionevolmente breve.
Se accadrà, sarà mutamento geopolitico di prima grandezza. A vantaggio dell’Occidente e a danno di Mosca. Infatti, quando Putin con la Finlandia atlantica si affacciasse alla finestra della sua casa di famiglia a San Pietroburgo, vedrebbe davanti a sé un mare della Nato. Il Baltico atlantizzato. La peggiore delle sorprese che la sua avventura militare in Ucraina poteva produrre. Non solo: l’exclave russa di Kaliningrad - già Königsberg, patria di Kant, nell’ex Prussia orientale - sarebbe a quel punto circondata per terra (Lituania e Polonia) e per mare (Baltico atlantico, con Svezia e Finlandia avanguardie della Nato). Peggio ancora: la frontiera di circa 1.300 chilometri che separa la Finlandia dalla Russia, finora cuscinetto fra Europa americana e Russia, diventerebbe una nuova cortina di ferro. Minaccerebbe, con la Norvegia già iper-atlantica, il controllo russo dello sbocco europeo della rotta dell’Artico. Questa sarebbe la rotta dell’avvenire per i commerci globali, se davvero i ghiacci fondessero nei prossimi anni a un grado tale da liberare ai traffici oceanici il percorso più breve fra Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea del Sud) e America. Oggi quella rotta domani strategica parrebbe sotto controllo russo. Dopodomani forse non più. Rivoluzione nel traffici mondiali, che volgerebbe a favore dell’America, contro la Russia (e la Cina?).
Nella dottrina difensiva della Russia, da quando esiste e fino a quando esisterà, vige una legge non scritta ma effettiva: Mosca vuole avere il più ampio cuscinetto di terre intermedie, non schierate con l’una o con l’altra parte, fra sé e il nemico. E il nemico è sempre venuto da occidente, dall’Europa, fosse polacco o svedese, francese o tedesco (e italiano). Quello spazio è già di fatto cancellato in conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina, che ha spaventato e allarmato i potenziali cuscinetti, a cominciare dal finlandese. Si può concepire per Mosca disastro peggiore? Qualcuno chiamerà Putin a risponderne.
Fronte Mediterraneo
Molto cambierà anche nella nostra Europa, quella mediterranea. Si consideri solo che dopo la sconfitta subìta nel 2014 con la perdita di Kiev - conseguente alla ingloriosa fuga del suo riferimento locale, il presidente Janukovič - la Russia si era segnalata per la penetrazione nel Levante (Siria), in Nordafrica (Cirenaica), perfino nel Sahel e nell’Africa profonda (Mali e Centrafrica). Difficile possa conservare quegli avamposti, di fatto affidati ai miliziani della Wagner, affiliati a Mosca. Questo dovrebbe migliorare la nostra sicurezza sul fronte meridionale, minacciata dalla presenza russa sulla Quarta Sponda. In attesa di capire quale sarà la postura dei turchi, dominanti a Tripoli.
La proiezione nord-orientale della Nato in funzione anti-russa implica per noi un ruolo attivo nel Mediterraneo. Possibilmente coordinandoci con la Francia e, in qualche misura, con la stessa Turchia. Ne va della sicurezza delle nostre frontiere marittime, dall’Adriatico via Ionio allo Stretto di Sicilia. Sarà bene che la coscienza marittima di questo paese, circondato dal mare ma ad esso apparentemente indifferente, batta un colpo. Prima di ritrovarci, se non minacciati, certo emarginati in uno spazio che dovrebbe esserci familiare.
Sotto questo profilo, le recenti iniziative italiane che mirano a un coordinamento con i paesi del Sud Europa, dalla Spagna alla Grecia via Cipro, appaiono promettenti. Purché non sia il solito fuoco di paglia.
E la Russia?
Mosca non può vincere questa guerra. Putin ha involontariamente accelerato il declino dell’ex grande potenza bicontinentale, ingaggiando uno scontro che sta indebolendo il suo paese. Sarebbe però fatale se qualcuno in Occidente puntasse all’umiliazione, anzi alla distruzione dello Stato russo. Ipotesi non espressa ma cara a una parte delle élite americane e a gran parte di quelle polacche e baltiche. Chi mai potrebbe gestire la decomposizione di uno Stato dislocato lungo undici fusi orari, con seimila testate atomiche e ricchissime risorse naturali, soprattutto energetiche?
L’avventurismo americano-baltico sarebbe fatale non solo alla Russia ma all’Europa e forse al resto del mondo. La sconsiderata aggressione di Putin almeno una lezione dovrebbe averci insegnato: la prudenza è virtù massima dello statista. Chi rischia troppo, minaccia anzitutto sé stesso. Perché immagina di costruire un mondo che non potrà esistere a partire dal suo mondo immaginario. Il ritorno al principio di realtà è la premessa della pace.