Prosegue la cronaca per immagini del conflitto. Visto da una giornalista ucraina e da un artista russo

Profondamente sradicati. Ma al tempo stesso «quasi assestati nella loro instabilità, nel loro ritmo innaturale di muoversi tra luoghi, culture e persone, tra conflitti e pace, rumori e silenzi. Voglio continuare a documentare il loro viaggio in tutto questo, ma anche concentrarmi su domande più grandi ed esistenziali: cosa significa per loro identità culturale? Cosa sperano per il futuro? Torneranno mai a casa? Cosa vuol dire lasciarsi alle spalle la propria cultura? Come percepiranno i loro figli la loro identità nazionale?».

 

Leggi tutta la graphic novel

  1. Prima parte
  2. Seconda parte
  3. Terza parte
  4. Quarta parte
  5. Quinta parte
  6. La sesta parte è in fondo alla pagina

Alla dodicesima settimana di “Diaries of war”, graphic novel che racconta la guerra in Ucraina attraverso la voce di una giornalista di Kiev, K., e di un artista russo, D., l’illustratrice Nora Krug riflette con L’Espresso, che sta seguendo in esclusiva per l’Italia il work in progress editoriale: «Ho intenzione di continuare a documentare le loro storie. L'obiettivo resta quello di proseguire con le interviste per tutta la durata della guerra. Ma naturalmente mi domando: per quanto tempo continuerà? Settimane? Mesi? Anni? Forse un decennio?».

 

Da una parte e dall’altra, nel frattempo, la vita impone prove tecniche di normalità. K. la sperimenta in Danimarca, dove ha trasferito i figli, per metterli al sicuro: i ragazzini, a scuola, ascoltano “Stefania”, la canzone del gruppo rap Kalush, che ha trionfato all’Eurovision Song Contest. D. si trova a Riga, dove sta esplorando la possibilità di trasferirsi con la famiglia, al momento a San Pietroburgo: ma l’aria in Russia è diventata irrespirabile, la libertà di espressione seriamente in pericolo.

 

Chiediamo all’artista di origine tedesca, che vive a New York: ha l’impressione che stia prevalendo un sentimento di rassegnazione? «No», risponde Krug: «K. è esausta, ma resta convinta che l'Ucraina non abbia altra scelta che continuare la guerra fino alla vittoria. D. è spaventato da ciò che significa lasciare la sua casa e la sua cultura, ma pensa anche in modo positivo a un futuro a Riga».

 

La percezione culturale è, in effetti, sempre più al centro dei dilemmi di D. Se nel diario di questa settimana fa i conti con il sostegno dato a Putin da persone di lingua russa in Lettonia, forte è il disagio per la responsabilità della guerra. E lo confessa, scrivendo a Nora Krug: «In passato c'erano molti stereotipi negativi su di noi. Ero contento che questa percezione gradualmente fosse cambiata. Ma ora stiamo tornando indietro, e nuovi pregiudizi negativi prenderanno piede. Ho letto di commenti sul cancellare la cultura russa. È difficile leggere cose simili, cerco di capire chi le scrive. Non riesco nemmeno a immaginare ciò che provano e che sentono. Ma so che non tutti gli ucraini la pensano così». K. parla, e D. sembra fargli eco a distanza. Nel più faticoso e inevitabile dei confronti: «Ho conoscenti russi e parenti lontani in Russia. Sono tutti contro Putin e i crimini della Russia contro l'Ucraina. Ma non posso parlare con loro senza provare rabbia nel profondo di me, quindi cerco di non farlo. Pensare a come hanno chiuso gli occhi su ciò che Putin e i suoi stanno facendo, mi fa star male».