Mondo
giugno, 2022

I soldi dell’Unione Europea non bastano più

La bolletta dell’energia, gli aiuti di guerra, l’assistenza agli emigrati, gli investimenti sulla difesa. Il budget attuale non riesce a coprire tutte le necessità e il conflitto scatenato da Vladimir Putin sta avendo impatti epocali su tutta l’economia

Lo ha detto la presidente della Banca centrale Christine Lagarde in modo duro e asciutto: «La guerra della Russia è uno spartiacque per l'Europa». Ovvero c'è stato un prima e un dopo che sono inconciliabili, economicamente e politicamente. E non solo perché la guerra di conquista voluta da Vladimir Putin per impossessarsi dell'Ucraina a ogni costo sta uccidendo decine di migliaia di persone e devastando anni di crescita economica di un Paese che ambisce ad entrare in Europa. Ma anche perché ha distrutto quell'ordine politico internazionale che era stato per trent'anni la base del successo della globalizzazione. Sulle sue rovine ora si accumulano strati di costi presenti e futuri: quelli di un'economia europea che aveva appena preso a risollevarsi dalla crisi del Covid-19 e che, in alcuni casi, come quello italiano, ancora soffriva degli strascichi della Grande crisi del 2011. «Non è possibile stilare una stima esaustiva di tutti i costi che l'Europa dovrà affrontare», dice Guntram Wollf del think-tank Bruegel, che ci tiene a sottolineare come a soffrire più di tutti siano soprattutto gli ucraini: «Ma i costi sono tanti e di varia natura, alcuni molto alti».

 

A cominciare dall'aumento esorbitante della spesa per l'energia. Uno shock definito «esogeno» perché nulla ha a che fare con le dinamiche economiche interne al mercato europeo e tutto con l'aumento dei costi di gas e petrolio iniziato con le difficoltà della ripresa dell'attività economica post Covid-19 e poi involatosi a causa della dipendenza strutturale dalla Russia dell’Unione Europea. Nel giorno in cui l'Occidente - unito politicamente dopo tanti anni da Washington a Bruxelles, da Ottawa a Londra - ha imposto le prime sanzioni contro la Russia, i prezzi dell'energia hanno cominciato a gonfiarsi senza sosta, fino a superare la soglia dei due euro alla pompa e a triplicare le bollette del riscaldamento. In quel momento l'Europa ha intuito che la strategia merkeliana di abbracciare il nemico per neutralizzarlo non aveva funzionato nemmeno sul piano economico. E che è arrivato il momento di pagare - letteralmente - gli errori politici del passato. Secondo le stime di Eurostat le importazioni della Ue dalla Russia, secondo esportatore mondiale, erano nel 2021 circa 99 miliardi e rappresentavano il 62 per cento del totale. Con la guerra, il prezzo dell'energia è più che raddoppiato e oggi la Ue versa 640 milioni di euro al giorno per il petrolio e 360 milioni per il gas. Se con il sesto pacchetto di sanzioni, eccezione fatta per Ungheria, Slovacchia e Bulgaria, la Ue si è impegnata a non importare più petrolio russo a partire dall’anno prossimo, oggi sta finanziando le operazioni militari di Putin (circa 650 milioni di euro al giorno) e al contempo inviando armi e aiuti non militari agli ucraini. Dunque spesa doppia in senso opposto che neutralizza ogni effetto voluto, con il solo tangibile risultato di pesare sui portafogli degli europei.

 

Ad oggi, nonostante il calo delle esportazioni, la Russia ha visto aumentare i profitti a causa dell’estrema volatilità dei prezzi e in mancanza di un'abbondanza di fornitori alternativi. Nel mese di maggio tra la riduzione dei volumi importati di petrolio (meno 15 per cento rispetto a prima della guerra) e gli sconti chiesti dai Paesi amici come la Cina, ha sì perso circa 200 milioni di euro al giorno ma li ha poi recuperati con l'incremento del 60 per cento dei prezzi dell'energia. Il giorno dopo l'accordo sul sesto pacchetto di sanzioni il prezzo del Brent ha toccato i 123,32 dollari al barile. L'analista Ipek Ozkardeskaya del London Capital Group avverte che i prezzi potrebbero continuare a salire fino a quando l'Unione non avrà trovato alternative stabili in Africa e in Medio Oriente, sull'esempio dell'Italia di Mario Draghi. Mosca, conscia del suo potere, ha preso ad usarlo, tagliando cinicamente le forniture di gas per mettere in difficoltà i governi europei nei confronti dei loro elettori. Lo aveva già fatto qualche settimana fa con il petrolio per punire chi non aveva voluto pagare in rubli come la Polonia e la Bulgaria. E non smetterà presto.

 

Il risultato è davanti agli occhi di tutti: l'inflazione trainata soprattutto dai costi dell'energia è sia negli Usa sia in Europa ai massimi da 40 anni, dopo avere rotto la soglia dell'8 per cento. Ben due generazioni di economisti sono cresciute in un mondo a inflazione bassa o vicina allo zero e per la prima volta si trovano a gestire un'inflazione non solo molto alta ma anche dovuta interamente a fattori esterni, non legati alla crescita della produttività e dei salari, molto difficile da domare in tempi brevi senza deprimere gli investimenti a suon di rialzi dei tassi d’interesse.

 

Russia e Ucraina (al ritmo di una produzione annuale da 45-50 tonnellate) sono anche le prime esportatrici al mondo di cereali e, con il blocco dei nove porti ucraini sul mar Nero, la Russia ha già impedito la vendita di 20 milioni di tonnellate di cereali del raccolto ucraino dell'anno scorso ancora conservato nei silos che non potranno accogliere quello che la terra non distrutta dai carri armati e dalle bombe riuscirà a fornire quest'anno. A rimetterci non sarà solamente l'Ucraina, a cui la Russia sta togliendo le due principali risorse economiche, ovvero i cereali e i minerali del Donbass, ma anche tutti questi Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente che dipendono dal grano e dal mais ucraino. A rischio fame sono milioni di persone che potrebbero riversarsi nelle acque del Mediterraneo verso un Occidente in grado di sfamarle.

 

Non sarebbe un caso. Sono molti gli analisti che fin dall'inizio della guerra hanno messo in guardia sulle ripercussioni di medio termine della guerra sull'Occidente, studiate a tavolino da Putin. Fino ad oggi, oltre sei milioni di ucraini sono fuggiti in un'Europa che ha aperto loro le porte: senza bisogno di un visto possono vivere, lavorare e andare a scuola nei 27 Paesi dell'Unione. Migliaia le famiglie che li hanno ospitati. Ma a quattro mesi dall'inizio del conflitto l'entusiasmo è scemato. Secondo il Centro per lo sviluppo globale, i rifugiati potrebbero costare all'Europa tra i 25 e i 30 miliardi di euro all'anno: un esborso ulteriore che si aggiunge a quello dell'inflazione fuori controllo, degli aiuti all’Ucraina e degli investimenti nella difesa europea, in questa inedita fase storica diventati indispensabili. «Le nostre spese militari non sono all'altezza delle minacce che dobbiamo affrontare», ha detto l'Alto rappresentante dell'Unione Josep Borrel: «Abbiamo bisogno di spendere insieme di più e meglio». Quell’1,5 per cento di Pil europeo investito in armamenti (una frazione della spesa complessiva di circa 180 miliardi) deve salire almeno al 2 per migliorare le capacità di difesa: così per il 2022 sono pronti 20 miliardi che dovranno triplicare nel 2023.  

 

Infine i doverosi costi umanitari sostenuti a sostegno dell'Ucraina. Dall'inizio dell’aggressione russa, l'Unione Europea ha contribuito con 4 miliardi di euro in aiuti economici e sociali nella forma di assistenza umanitaria ed emergenziale e con 2 miliardi di euro (500 milioni stanno per essere aggiunti) in assistenza militare che verranno usati per rimborsare gli Stati membri delle loro forniture. L'Unione, con l'aiuto di altri partner internazionali, ha poi promesso 9 miliardi di euro di prestiti per il 2022 a un Paese che però ha bisogno di 3 o anche 5 miliardi di euro al mese per andare avanti senza le risorse che Mosca le ha tolto. E poi Bruxelles ha sincronizzato la rete elettrica ucraina con la propria così da assicurare una fornitura costante di gas, ha sospeso i dazi sulle esportazioni ucraine e ha stabilito canali preferenziali per il commercio.

 

Resta il timore che tutto ciò non basti. Che con l'avanzare dell'armata rossa e della sua devastazione, l'Ucraina perda ogni giorno territorio, risorse e uomini. Eppure tra lo shock dei prezzi e gli aiuti versati ai cittadini, gli investimenti per sfuggire alla dipendenza dai fossili russi e gli aiuti all'Ucraina l'Europa potrebbe trovarsi a spendere quest'anno un punto e mezzo addizionale del suo Pil totale, secondo i calcoli di Bruegel: l'intero ammontare che ogni anno versa nelle casse del bilancio europeo. E negli anni futuri, tra spesa per la difesa e per la transizione eco-sostenibile, ancora di più. «La coperta è corta», ha avvertito il Commissario al bilancio Johannes Hahn, spiegando che la revisione del budget dell’Unione, prevista per il 2024, potrebbe avvenire molto prima, al rialzo. I 185 miliardi previsti dalla Commissione non bastano più. Quest'anno Bruxelles ha prelevato 34 volte da varie voci del suo budget  per coprire le esigenze dell'Ucraina e altre 11 per quelle della Moldavia, lasciando poco margine per altre emergenze.

 

Ma forse, prima di redigere un nuovo budget la Ue dovrebbe chiedersi quali siano le sue priorità. Perché a 120 giorni dall'inizio del conflitto è chiaro che le mezze misure si sono rivelate inutili oltre che insopportabilmente costose. È tempo di fare una scelta definitiva. Credendoci e investendoci fino in fondo. A volte chi più spende meno spende. 

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