L’entrata nella Nato di Finlandia e Svezia peserà sulle vite dei combattenti curdi. Ma la società civile non può fermarsi a guardare. Parla il portavoce di Amnesty in Italia, Riccardo Noury

I Paesi nordici hanno accettato di eliminare l'embargo sulle armi che avevano imposto alla Turchia, di irrigidire le leggi contro i militanti curdi (che erano già designati come terroristi ma che in alcuni casi erano protetti da Stoccolma) e di rispondere alle richieste turche di estradizione di sospetti combattenti curdi. Tra le organizzazioni che Erdogan ha preso di punta c'è anche una ramificazione del PKK che gli americani avevano armato e sostenuto nella lotta contro l'Isis. E che ora si trova di nuovo perseguitata. In nome della sicurezza dei paesi della Nato. Il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, lo dice con voce pesante: «La guerra ha rimescolato tutto. Paesi con tradizione di generosità nel concedere asilo politico vengono meno per ragioni militari e strategiche di altra natura».

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Svezia e Finlandia entrando nella Nato hanno tradito le loro tradizioni umanitarie, scambiando la tutela degli attivisti curdi perseguitati dal premier turco Erdogan con la loro sicurezza nazionale?
«La Turchia ha dettato le condizioni sui curdi: libertà di azione ancora maggiore rispetto a quella che già ha nella Siria settentrionale e rimpatri dei curdi ricercati da Erdogan».

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Ma è lecito secondo le leggi internazionali?
«Secondo il diritto internazionale è illegale rispedire le persone in Paesi dove sono a rischio tortura, condanne sproporzionate e pena di morte. Qui abbiamo chiaramente il problema di lesione di un principio fondamentale del diritto internazionale. Anche perché non solo le assicurazioni date mi sembrano inattendibili ma anche perché la Turchia è nota per avere una legge antiterrorismo estremamente generica, all'interno della quale può ricadere chiunque sia sgradito: attivisti, oppositori e giornalisti».

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Ce ne sono già migliaia in carcere…
«In ballo ci sono i diritti di non so quante migliaia di persone. E la leadership europea è colpevole perché fin dal 2016 ha permesso a Erdogan di fare come vuole pur di non ricevere altri migranti in Europa».

 

I curdi sembrano essere abbandonati da tutti: dagli americani che li hanno usati nella guerra contro l'Isis e ora anche dagli europei. Cosa è possibile fare?
«Occorre andare per vie giudiziarie. Tramite avvocati dei diritti umani andare di fronte ai giudici per fermare le estradizioni».

 

Funziona?
«Certo. Ha funzionato in passato anche in Italia, Paese molto ortodosso nel rispettare le richieste di estradizione degli altri Paesi, anche se poi non vede accettate le sue. E poi ho fiducia nella mobilitazione dei parlamentari e della società civile».

 

Qual è il punto più critico dell'accordo?
«Il margine di manovra che Erdogan avrà in Siria, dove l'obiettivo sarà quello di allontanare i curdi definitivamente dalla frontiera turca e su cui i tribunali non hanno margine di azione».

 

Il destino dei curdi è segnato?
«La popolazione è ripartita tra quattro stati autoritari e nazionalisti. Sono in un punto geografico che li penalizza. Credo che non potranno mai ottenere l'indipendenza. Possono al massimo aspirare a qualche tipo di autonomia come hanno ottenuto in Iraq e, in parte, in Siria. Ma in Iran e in Turchia non hanno futuro. E comunque i curdi sono anche al loro interno molto divisi: parlano lingue diverse, con alfabeti diversi. La cristallizzazione dei confini in corso da oltre un secolo ha prodotto questo sviluppo separato».