Intervista
«Il regime di Putin? Pazzi, servi e guerrafondai. Se non fossi andato via non mi sarei più potuto definire uomo»
Parla Boris Bondarev, ex enfant prodige della diplomazia in servizio alla sede Onu di Ginevra che si è ribellato allo zar condannando la guerra in Ucraina e ora vive in un luogo segreto. «Provo vergogna. È lui il responsabile dell’orribile corruzione morale della società russa»
Quando la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina, Boris Bondarev ha capito che non poteva più mentire a sé stesso. Quel 24 febbraio è stato chiaro che il solo gesto possibile, di dignità, per non essere complice di «questa ignominia sanguinosa», era quello di lasciare l’incarico di diplomatico russo della Missione permanente russa alle Nazioni unite di Ginevra. Doveva andarsene e ad alta voce. È stato il diplomatico russo di più alto livello a dimettersi pubblicamente. Il 23 maggio ha affidato a righe nette il suo grido di verità: «La vergogna mai provata verso il mio Paese per la guerra aggressiva scatenata da Putin contro l’Ucraina, un crimine contro il popolo ucraino e quello russo». Una lettera aperta di dimissioni «in ritardo», inviata ai suoi colleghi e condivisa sui social media anche da Hillel Neuer, avvocato internazionale e direttore esecutivo di Un watch, che è finita sulle prime pagine in tutto il mondo.
«Se non avessi abbandonato quei servili, pazzi e guerrafondai, non sarei stato mai più capace di definirmi un uomo»: racconta Boris Bondarev a L’Espresso, in un’intervista che per motivi di sicurezza è fatta per iscritto. Dopo le dimissioni, è stato messo sotto alta protezione della polizia svizzera, della sua attuale condizione non può parlare.
Boris Bondarev, 42 anni, si è lasciato alle spalle una lunga carriera diplomatica iniziata nel 2002 al servizio del ministero degli Esteri russo, dopo una laurea in Relazioni internazionali a Mosca. Il primo incarico all’estero a ventidue anni, in Cambogia, poi tra il 2009 e il 2013 in Mongolia. Nel 2019 arriva all’Onu a Ginevra, in Svizzera, dove si occupa di disarmo e non proliferazione: «Ho lavorato soprattutto per la Conferenza sul disarmo (Cd) e ho anche partecipato alla preparazione degli incontri russo-statunitensi sulla stabilità strategica, incluso il vertice Biden-Putin che si è tenuto nel giugno 2021». Questo è il suo impiego fino a quel 24 febbraio che ha segnato «il punto di non ritorno».
Nelle settimane che seguono si sente solo tra i colleghi diplomatici: «Parlavano, come se nulla fosse, di attacchi nucleari e uso di armi chimiche contro l’Ucraina o gli Stati Uniti. I loro occhi brillavano, letteralmente. Sembrava un manicomio».
Boris Bondarev è convinto che a condividere le sue opinioni nel servizio diplomatico «siano una minoranza»: «La gran parte di loro ha lasciato il ministero degli Esteri russo in silenzio dopo l’inizio della guerra, e li rispetto, ma credo che non siano pochi quelli scontenti perché ritengono che Putin sia troppo debole e indeciso. Preferirebbero usare armi nucleari contro l’Ucraina per spaventarla al punto tale da farle accettare le condizioni di Mosca. Sono soprattutto giovani, cresciuti a latte e “culto della personalità” di Putin. Hanno imparato da lui che vale la legge del più forte. Chi ha denaro o connessioni può permettersi quasi tutto e godere dell’impunità. È questa l’orribile corruzione morale della società russa di cui Putin è responsabile».
È stato un lungo e graduale processo involutivo che, secondo Bondarev, ha fatto sì che «la propagsanda prendesse il posto della professionalità». Il cambiamento più importante è avvenuto dopo l’annessione della Crimea nel 2014: «In quel momento l’Occidente ha scatenato quella che è stata vista come “un’improvvisa” e “insidiosa” campagna anti-russa e molti diplomatici di lungo corso hanno pensato di rispolverare il lessico dell’era sovietica, usando dozzinali cliché propagandistici, una modalità ben accolta dalla “corte” di Mosca e adottata dal ministero degli Affari esteri russo».
Bondarev era convinto che l’annessione della Crimea e i combattimenti nel Donbass nel 2014-15 facessero parte di una strategia di Putin per arrivare a una soluzione diplomatica. Ha pensato fino alla fine che la guerra non potesse essere il suo obiettivo, perché sarebbe stata «una follia totale».
Se guarda indietro non si pente di essere stato al servizio della politica estera del Cremlino: «Ho sempre cercato di mitigarla con il mio lavoro personale. A differenza di molti miei colleghi che credono che la diplomazia sia sferragliare sciabole, ho sempre pensato che parlare sia molto meglio che combattere. È stato grazie a questa esperienza che sono stato finalmente in grado di vedere che le politiche di Putin sono sbagliate, inadeguate e criminali».
Secondo Bondarev, Putin può essere solo fermato sul campo di battaglia: «L’esercito ucraino ha già dimostrato di essere in grado di difendere il Paese. Con armi più moderne dall’Occidente sarà in grado di sconfiggere gli invasori. Per Putin la sconfitta è un incubo, si è giocato tutto con questa guerra e non gli deve essere permesso di vincerla». La politica dell’appeasement, secondo Bondarev, non funziona mai e non bisogna prendere in considerazione chi spinge per un dialogo con Putin, per dargli quello che chiede: «Chi parla di questo tipo di “accordi di pace” a spese del sangue e del suolo ucraino è in realtà con Putin. Nessuna concessione territoriale intermedia, come il controllo del Donbass o l’annessione di un paio di nuove regioni, può soddisfarlo perché ha promesso di conquistare e annettere l’intera Ucraina».
Lo scopo principale della guerra, continua Bondarev, è «la distruzione dell’Ucraina come soggetto della politica mondiale e come entità indipendente». Il secondo obiettivo è umiliare l’Occidente: «Putin vuole vendicarsi del disprezzo che lui e la sua cerchia ristretta hanno». Un’eventuale sconfitta di Kiev sarà vista dal Cremlino come la sconfitta della Nato e l’indebolimento dell’Occidente. «Putin colpirà, molto probabilmente, la Moldavia, facendo affidamento sulla sua base in Transnistria. Le annessioni della Bielorussia e del Kazakistan settentrionale sono del tutto possibili in quanto “territori nativi russi con una popolazione di lingua russa”. In seguito sarebbero gli Stati baltici che potrebbero trovarsi in prima linea». Putin dovrà, quindi, continuare a fare la guerra per «spiegare al popolo russo perché la situazione economica e sociale è disastrosa. La guerra è, come pensano al Cremlino, una risposta universale a tutte le domande. Putin ha solo costruito la sua dittatura personale privando milioni di persone di speranze e prospettive per il futuro».».
Boris Bondarev si sofferma anche sulle responsabilità all’interno dell’Onu che è «paralizzato perché i principali antagonisti in questo conflitto, Russia e Stati Uniti, hanno un potere di veto nel Consiglio di sicurezza. Gli è, in realtà, impedito di fare cose importanti e la colpa è di alcuni governi. L’Onu sta facendo un lavoro umanitario enorme ma ha bisogno di una riforma vera che ne migliori l’efficienza».
Una seconda ondata di russi sta, intanto, lasciando il Paese, sarebbero già almeno 200mila, secondo le ultime stime, di metà marzo, dell’economista russo Konstantin Sonin. «Sono la parte migliore della Russia: giovani, persone colte, professionisti e creativi», spiega Bondarev. «Senza di loro Putin può facilmente rimanere al potere perché si affida ai gruppi sociali più poveri e non istruiti che sono stati sottoposti al lavaggio del cervello dalla sua stessa propaganda». Putin isolerà la Russia dal resto del mondo e questo la renderà ancora più sottosviluppata: «La guerra renderà questo processo più semplice per lui, per questo è un crimine anche contro la Russia».
Se Putin sarà sconfitto in Ucraina, secondo l’ex diplomatico russo, sarà la fine del suo governo: «Non può permettersi di perdere perché la sua immagine di leader forte, costruttore di un impero, andrebbe in pezzi e dovrà trovare un capro espiatorio, qualcuno vicino a lui. Quando il suo stretto entourage comincerà a sentirsi minacciato, lo scenario di un colpo di Stato sarà molto più probabile di quanto non lo sia ora».
Il regime di Putin è molto personale, con la sua caduta non riuscirebbe a restare in piedi: «Non è un’esagerazione dire che Putin incarna lo Stato per molti russi. Ufficiali, ministri e generali sono sconosciuti alla maggioranza della popolazione. Quando Putin sarà fuori gioco, in un modo o nell’altro, nessun governo sarà legittimo. Il nuovo presidente dovrà spiegare ai russi i motivi della crisi economica e sociale, sarà allora logico e tentante dare la colpa a Putin per tutti gli errori, i crimini e questo minerà quello che resta della legittimità del regime che inizierà a sgretolarsi».
Questa guerra ha provocato una spaccatura profonda nella società russa, con una parte che è a favore e l’altra contraria, una lacerazione che ha diviso intere famiglie, anche quella di Bondarev: «Mio padre mi ha detto che “non vedo il quadro generale”, mia sorella invece mi ha sostenuto». Un conflitto sociale che si inserisce in una sofferenza economica: «Oggi oltre 20 milioni di russi vivono sotto la soglia di povertà che è di 12.916 rubli al mese, circa 215 euro. Lo stipendio mensile medio è di circa 600 euro. È vergognoso per un Paese ricco di risorse come la Russia. L’instabilità è spiegata con la macchinazione di un nemico esterno, come l’Ucraina o, più in generale, l’Occidente».
La miseria porta all’indifferenza verso la politica e il governo: «È opinione diffusa in Russia che non spetti ai cittadini decidere perché incapaci di capire, mentre il governo è composto da persone ritenute le più intelligenti e colte. Questa mentalità è stata il pilastro che ha sostenuto l’Impero russo, l’Urss e ora il regime di Putin».
Un sistema che potrebbe essere smantellato dalle nuove generazioni: «Vedo molti giovani in Russia che ancora protestano contro la guerra. Sono indipendenti, sono la speranza per il rinnovamento». Il futuro di Boris Bondarev è lavorare per la pace e la Russia che verrà: «Tutti noi, alla fine, torneremo a casa e ricostruiremo il nostro Paese, da capo».