Come se tutto si fosse compiuto e non ci fossero altre questioni in sospeso a impedirle di riposarsi, The Queen ha preso congedo dai suoi cari, dalla corte e dal mondo. Il racconto straordinario di un grande illustratore

Infine, con passo lieve e senza troppo disturbo, Elisabeth Alexandra Mary che fu Elisabetta II Windsor, 42ma regina di Gran Bretagna, se n’è andata. È rimasta a lungo nel castello scozzese di Balmoral, una delle residenze più amate nella terra materna. Nonostante l’indebolirsi della sua salute ha conferito il 6 settembre l’incarico alla nuova Prima Ministra Liz Truss, la 15ma dei suoi 70 anni di regno. Si può pensare che il suo superiore senso del dovere e del suo ruolo l’abbiano mantenuta salda fino a quest’ultimo incarico, nello spirito di abnegazione con cui, da principessa designata, nel 1947 fece al popolo britannico la solenne dichiarazione, “che tutta la mia vita, breve o lunga che sia, sarà dedicata a servire voi”.

Come se tutto questo si fosse compiuto e non ci fossero altre questioni in sospeso a impedirle di riposarsi, finalmente Elisabetta ha preso congedo dai suoi cari, dalla corte e dal mondo.

A noi, che nel rispetto della sua eccezionalità abbiamo seguito per un tratto la sua vita e le sue opere, piace raccontarla per immagini. Come in un album da sfogliare.

 

[[ge:rep-locali:espresso:364831159]]

 

La prima immagine nota di Elisabetta risale al 2 dicembre 1926: il fotografo reale Marcus Adams, esperto nel ritrarre pargoli aristocratici e borghesi, riottosi ad ogni disciplina e messa in posa, la ritrae bionda e serena fra le braccia della madre, Elizabeth come lei.

Un carattere ostinato, il suo. Da Windsor, si direbbe. Ma c’è tanto del ramo materno dei Bowes-Lyon, la tempra scozzese avvezza al mutevole clima, fatalista e incline alle battute e agli scherzi un po’ puerili. Dalla parte Windsor, invece, è tutto disciplina, senso del dovere, affettività ridotte all’essenziale. Questo ha in dote dalla nonna, l’austera regina e imperatrice Mary, che nessuno ha mai visto in tenuta meno che impeccabile, erede dell’etichetta germanica dei Coburgo-Gotha. Il nonno, re Giorgio V, era avaro di affetto verso i figli con i quali i rapporti sono formali, perfino creudeli. Non è una famiglia di sentimentali, a dirla breve. Eppure con i nonni, Lillibet (il nomignolo derivato dalla storpiatura infantile di Elizabeth, privilegio dei suoi affetti più cari) si trova a suo agio, è coccolata ed esibita.

A 3 anni è sulla copertina di Time, fra l’angioletto di Raffaello e Shirley Temple, la riccioluta bambina prodigio americana degli stucchevoli tip tap.

A 4 anni è già cavallerizza: posa col primo pony, Peggy, dove può scorrazzare nei 200 acri della magione di Woolmer Park nell’Hertfordshire.

Dai cavalli ai segugi, è un attimo: eccola nel 1936 a dieci anni su una panchina della Royal Lodge, la casa di famiglia a Windsor, ritratta da Lisa Sheridan con la sorella minore Margaret e i labrador Mimsy, Stiffy e Scrummy, il cocker spaniel Ben, il golden retriever Judy e gli amatissimi corgi Jane e l’altezzoso Dookie, che diverranno il tocco distintivo dell’immagine familiare degli York.

La felicità è un attimo, si dice. L’abdicazione di Edoardo VIII costringe il padre di Elisabetta, Alberto, a farsi carico della corona quando ne avrebbe volentieri fatto a meno, dimenticando i suoi umanissimi difetti, gli scatti di nervi, la balbuzie, il carattere cedevole. Forse anche a questo pensava Elisabetta quando, nel 2018, per la prima volta racconta della sua incoronazione nel 1953 ad Alastair Bruce della BBC. “Quiet heavy” la definì: “Una cosa del genere non può essere comoda”.

Un’altra immagine, questa volta di Yousuf Karsh, ci mostra un’adolescente snella, diritta e fiduciosa, con al collo un filo di perle che non l’abbandonerà mai. È il tempo amaro della guerra, la foto è del 1943 ed Elisabetta è diventata Consigliere di Stato e nel 1945 entra nel corpo Ausiliarie. È la prima principessa in divisa militare dai tempi della regina guerriera Budicca. Fa un corso di 10 settimane come meccanica, abilitata a guidare automezzi, legge le mappe. Le foto su Life e Time sono una manna per la propaganda bellica interna.

In divisa si affaccia con la famiglia dal balcone reale, il 7 maggio 1945, alla proclamazione della vittoria e poi finalmente il papà e re concede alle principesse di unirsi alla folla festante. Si canta, si ride, si danza. Sarà nelle sue parole “una delle notti più memorabili della mia vita”.

E Filippo? È l’amore ostinatamente voluto. Non osteggiato in famiglia, ma un po’ subìto sì, tanto che la linguacciuta regina madre lo chiama “l’Unno”. Non portava in dote ricchezze, trattandosi di uno dei partiti più spiantati che girasse in Europa. Ma bello lo era, di sicuro. Il fidanzamento arriva al castello di Balmoral, la sera dell’11 agosto 1946.

Le nozze reali ed epocali si celebrano il 20 novembre 1947, immortalate da Baron, al secolo Stirling Henry Nahum, unico a vincere le resistenze di Filippo verso i fotografi e la loro invadenza. Un’antipatia a dire il vero reciproca. Re Giorgio premuroso l’accompagna all’altare, dirà che quello è stato il momento più difficile per lui come padre, lasciare andare la figlia.

 

14 novembre 1948, mentre Filippo gioca a squash con il suo amico e segretario Michael Parker, arriva la notizia che Elisabetta sta partorendo l’erede. È nato Carlo, cui un anno dopo segue Anna, la cocca di papà. Per arrivare al cocco di mamma (e alla sua dipserazione), Andrea, bisogna attendere il 1960 e infine il 1964 per il piccolo, Edoardo. Una famiglia felice? Insomma. Non è quello che i Windsor sanno fare meglio, i genitori.

Invece, come regina, Elisabetta sembra avere il vento in poppa. Il vecchio leone, Winston Churchill, vaticina una nuova Età Elisabettiana. La più concreta Elsa Maxwell, la pettegola regina del gossip hollywoodiano, la definisce “una ragazza meravigliosa”, cosa su cui urbi et orbi paiono tutti d’accordo. Il fotografo reale Cecil Beaton in quel 2 giugno del 1953 ne ritrae la delicatezza, luminosa, il candore della pelle che esalta le sopracciglia nere, le ciglia lunghe, le labbra ben disegnate. È un ritratto studiato per raccontare il mistero, i simboli, la magnificenza regale. Ma emerge anche la solitudine, l’astrazione dall’umano.

Gli anni ’50 vedono emergere uno spirito meno conservatore, il desiderio di lasciarsi alle spalle la guerra e le miserie della ricostruzione, di pensare ad un nuovo mondo, con spirito progressista, avventuroso, un po’ agitato come il Martini di 007.

Si dimette l’ottantenne Churchill, la Gran Bretagna si vede ridimensionata nello scacchiere internazionale, i Laburisti arrivano nel 1964 a Downing Street. È anche una crisi personale di Elisabetta, del suo matrimonio, con le frustrazioni di Filippo eternamente due passi indietro, le voci di presunte amanti e i pettegolezzi sulle amicizie di Elisabetta stessa. Si fa vivace anche il rapporto con la sorella Margaret, i suoi flirt, il gusto per le feste, il glamour, gli eccessi. È la Swinging London, signore e signori. Stanno arrivando i Beatles, i Rolling Stones. Vidal Sassoon pensiona le cotonature e inventa il bowl cut. Mary Quant dà un taglio netto alle gonne e scopre le ginocchia. E pure lo spirito delle donne, che cercano la loro voce senza dover essere la “signora di” qualcuno. Nulla sarà mai più come prima, neppure nel Regno senza Tempo di Buckingham Palace. Gli anni ’60 e ’70 sono anche di grandi tensioni internazionali, anche all’interno dell’agitato ex impero coloniale. Nel fatidico 1968 l’appannamento della corona è evidente, Elisabetta ha istinto per ogni mutamento che non ama ma afferra. L’ultimo ritratto che le fa l’ormai superato Cecil Beaton la vede posare, complice, isolata in un mantello da ammiraglio, come un’eroina di un’epoca passata, le prime rughe sul volto più maturo. È il tempo della televisione, quello delle foto volge al tramonto.

25 anni sul trono e arriva il primo nipote. A 51 anni è nonna di Peter, figlio di Anna e del capitano Mark Phillips. La Gran Bretagna vive una crisi industriale epocale, che mal dispone la regina verso i festeggiamenti. A Corte sono convinti che il clima di leggerezza e di festa possano risollevare il morale del popolo e avvicinarlo di nuovo alla corona. Tutto pare andare in quella direzione, se non che sul Tamigi una barca al tramonto si ferma davanti al palazzo di Westminster. È il 7 giugno 1977, il complesso punk dei Sex Pistols ,cantori del proletariato senza prospettive, senza ideali, luciferino, distruttivo, attacca l’anti-inno: "God save the queen She's not a human being and There's no future And England's dreaming”
Il brano, bandito dalla BBC come volgare e irrispettoso, vende in una settimana 100 mila copie. Eppure, neanche l’iconoclastia punk riesce a mettere in dubbio la monarchia, il marchio risorge, vacilla ogni tanto, come per il divorzio clamoroso fra Margaret e Lord Snowdon nel 1978, ma poi proclama la sua universalità con le nozze da fiaba tra il Principe di Galles Carlo e la virginale adolescente di puro sangue aristocratico Diana Spencer, seguite in televisione da tutto il mondo.

È qui, da un televisore piazzato su una mensola di un hotel in Sardegna, che ho la prima vivace memoria della monarchia inglese, il mercoledì mattina del 29 luglio 1981. Londra si ferma. Il Regno Unito si ferma. Il Commonwealth si ferma: 750 milioni di spettatori stimati collegati su Saint Paul. Io ero uno di quelli.

Il rituale, lo sfarzo anche stavolta non deludono. Tutto fila alla perfezione, se non che nella percezione popolare un nuovo astro sta eclissando pian piano quello della sovrana. Per mesi si scrive e si parla solo di Diana, riducendo Carlo a comparsa e la famiglia a tappezzeria. È vero fanatismo, in una forma inedita, aggressiva, crudele che avvolge questa giovane donna. Nasce il mito di Diana, la principessa del Galles che da goffa, paffuta educanda si va trasformando negli anni in icona di glamour e charme, mentre la regina invecchia, scompare, perde pure il favore dei suoi paladini, i fotografi. La stampa vuole che i reali siano trattati come ogni starlette o personaggio pubblico, soprattutto diventino protagonisti delle NEWS. È la logica del box office.

I rampanti anni ’80 sono di Reagan e della prima donna Premier di Gran Bretagna, Margaret Thatcher. La nazione è squassata dalle proteste della classe operaia, dei minatori e dal pugno di ferro del governo più liberista che si ricordi. Scioperi devastanti, l’economia disastrata. I sindacati sempre in lotta. Pure la guerra-lampo delle Falkland nel 1982. Elisabetta e la Thatcher non si prendevano molto, ma una era la Regina, l’altra una politica conservatrice. Il rispetto dei ruoli non è mai in dubbio. Non c’entrano presunte simpatie o antipatie.

Elisabetta festeggia i 40 anni di regno, ma senza gioia: il 1992 è il suo “annus horribilis”. La figlia Anna e suo marito Mark Phillips hanno divorziato. Di lì a poco si consuma il divorzio fra Carlo e Diana e ci si mette pure un incendio nel castello di Windsor a dare a tutto un tono da crescendo shakespeariano. Ma, ancora una volta, la donna più resistente del mondo non cade: cresciuta col senso d’una missione suprema, in situazioni drammatiche che avrebbero schiantato la volontà di ben altre tempre, Elisabetta trova in sé il meglio di sé. E si risolleva. Certo, il motto “never complain, never explain” che riassume l’atteggiamento di Elisabetta e della Corte, in questi anni diventa un boomerang e cresce la sensazione anche pubblica di un’istituzione obsoleta, inutilmente privilegiata, inadatta al ruolo che riveste, omertosa. Con la tragica scomparsa di Diana, nasce la retorica della “principessa del popolo”. È la regina l’obiettivo dell’ostilità montante, calcata dalla stampa. Il silenzio della regina pare una sfida, tutti lo pensano, i giornali lo scrivono, le tv lo dicono apertamente. Alla fine la regina cede: il popolo vuole compassione, vuole le lacrime. Elisabetta farà un discorso: ferma, le mani in grembo, le spalle alla finestra da cui si vede il pubblico davanti ai cancelli: “Vi parlo come vostra regina, e come nonna”. Il sentimento nazionale si ribalta, tutti si sentono suoi figli e nipoti. Ha colpito il loro di cuore.

Un altro anno durissimo per i suoi affetti più privati è il 2002: colpita da ictus, muore la sorella Margaret. I funerali cadono 50 anni esatti da quelli del padre. Elisabetta è piccola nel suo cappotto nero, le mani intrecciate al petto, resta sola a lungo a fissare la bara della sorella minore. La definiva la sua migliore amica, certo un legame fortissimo le ha tenute vicine, nonostante le molte difficoltà che i ruoli hanno imposto negli anni. La regina madre assiste anche lei al funerale: morirà il 30 marzo dello stesso anno, nel sonno.

Nonostante i lutti, le foto di quell’anno mostrano una regina pacificata, solare, come liberata. I colori che veste sono più brillanti, civettuoli. A inizio giugno la festa del Giubileo, bandiere ovunque, feste, picnic al sole, concerti, spettacoli, schermi, sfilate. Le celebrazioni si chiudono con l’inno suonato dalla chitarra di Brian May dei Queen. È ancora un colpo di genio della sovrana che per la prima volta concede il tetto di Buckingham Palace ad un concerto rock. Il giubileo ha come effetto di rinsaldare la passione britannica per la monarchia, con un sonoro 80% favorevole. Alla faccia dei Sex Pistols.

Non lasciar trasparire nulla è stata la linea di condotta della sua vita, mai concedersi, mai pubblicizzarsi, mai spiegare. Di lei si sanno i fatti, non i pareri. Non ci sono confessioni pubbliche, scambi, colloqui. La suia dote? La pazienza, si dice. Come Mary Poppins: “C'è qualcuno che possa dirmi qual è la cosa più forte del mondo? Io credo che debba essere la Pazienza. Perché, a lungo andare, è la Pazienza che supera tutte le cose”.

Elisabetta è per tutti The Queen, anche se di regine ce ne sono centinaia nel mondo. Lei è un’icona globale, la più fotografata al mondo. Non vanitosa, sempre impeccabile, sempre lodata dai più grandi stilisti internazionali, Elisabetta non stupisce ma fa scalpore la sua presenza nel 2018 a 92 anni, ad una sfilata (per la prima volta nella vita) a fianco di Anna Wintour, regina di Vogue America.

Per i 60 anni di matrimonio di Elisabetta e Filippo, Tim Graham ricrea lo scatto del loro viaggio di nozze: sotto il grande albero a Broadlands nell’Hampshire, il cielo grigio come allora, i due modelli simulano la stessa posa, lei con la stessa spilla, collana, orologio d’oro. Lo guarda con amore, lui le restituisce lo stesso sguardo ironico e l’accattivante sorriso.

6 febbraio 2012, Sandringham: “In questo anno speciale, dedico di nuovo me stessa al vostro servizio”. Sono le parole con cui la regina rinnova la promessa fatta in Sudafrica nel 1947 ai microfoni della BBC. 41 colpi di cannone da Hyde Park e 62 dalla Torre rievocano l’ascesa al trono. È finito l’impero, ma la regina regna su 2 miliardi e mezzo di persone, capo di stato di 16 dei 53 paesi del Commonwealth.

23 ottobre 2013, foto di 4 generazioni e 3 eredi al trono. Seduta in poltrona, in azzurro, serena. Carlo, William e George. Storica immagine, perché solo Vittoria aveva potuto vedere un pronipote destinato a salire al trono, nel 1894. La foto è di Jason Bell.

mercoledì 9 settembre 2015 cade un altro record, alle 17.30 infatti il suo ha superato quello della regina Vittoria che regnò 63 anni (23.226 giorni, 16 ore e 23 minuti). Un record che interessa più la stampa e gli ammiratori o i curiosi, perché Elisabetta se ne cura pochissimo. Arriverà a diventare nel 2019 la sovrana più longeva della storia umana, record di nuovo infranto nel 2021 con i 70 anni di regno. Sotto di lei ha visto passare 7 arcivescovi di Canterbury, 7 papi, 15 primi ministri, 13 presidenti USA, tutti gli 11 presidenti italiani (tranne De Nicola).

Dopo il ritiro dalla vita pubblica del marito Filippo, nel 2017 a 96 anni, arriva la festa per i loro 70 anni di matrimonio. Lei lo ha sempre ritenuto la sua forza, lui è sempre rimasto due passi indietro. Nessun reale ha vissuto tanto, nessuna coppia reale altrettanto. Lui la chiama “cabbage” (cavoletto) oppure “sausage” (salsicciotta), come rivelato dal drammaturgo Peter Morgan nel film The Queen. Filippo solo a 98 anni è costretto a consegnare la patente e rinunciare anche a quell’ultima libertà. Afflitto da varie patologie cardiache, con interventi e ricoveri sempre più frequenti, Filippo muore nel suo letto, il 9 Aprile 2021.

Gan Gan è il nomignolo, un vezzeggiativo di Grand-Ma (che non sostituisce comunque inchino o riverenza), che gli adorati nipoti possono rivolgerle. Mi piace guardare questo ritratto che Annie Leibowitz ha scattato per i 90 anni, nel 2016: la regina in camicetta bianca, golfino beige, gonna grigia tiene Charlotte, secondogenita di William e Kate, in braccio. Accanto gli altri 4 bis-nipoti: Mia figlia di Zara e del giocatore di rugby Mike Tindall; George, il primogenito; Isla e Savannah, le figlie di Peter Phillips e della moglie Autumn; poi i più piccoli, James e Louise, figli di Edoardo e Sophie. Mancano solo Louis e l’ultima nata, Lilibet Diana figli di Harry e Megan. Una dinastia che parrebbe non conoscere declino.

Con la morte di Elisabetta II Windsor, la corona passa senza tante storie e retropensieri al più longevo Principe di Galles della Storia, Carlo, che sarà Carlo III Windsor. A noi, che siamo nati quando Elisabetta era la Regina e cresciuti pensando irrazionalmente che lo sarebbe stata per sempre, come il suo mitico avo Artù, farà forse uno strano effetto sentire l’inno cantare: God Save the King. Ma, diceva la saggia Lady Violet Grantham: “Nessun ospite dovrebbe essere accolto senza una data di partenza già stabilita”. Sapendo che Elisabetta sarebbe stata assai d’accordo con questa norma di senso comune, ecco che con la fine dell’estate anche la presenza sulla terra è giunta a scadenza. Mi viene da salutarla con i versi di Cardarelli:

Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora che passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.

(Le illustrazioni di Ivan Canu sono tratte da God Save the Queen, Centauria edizioni, 2021)