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Mondo
aprile, 2023

La sottile linea azzurra della pesca fra Norvegia e Mediterraneo

Non solo gas e petrolio. Il paese scandinavo è un gigante dell’industria ittica. E gli importatori italiani sono in prima fila in un mercato miliardario dove lo skrei, il merluzzo dei mari del nord, la fa da padrone

In una pausa della sua sfida in amichevole con i colleghi italiani Marianna Vitale e Francesco Cardace, nella cucina del ristorante Maren Anna di Sørvågen, il giovane chef norvegese Tommy Bjørnsen si guarda attorno e abbandona l’allegria per lamentare che dalle sue parti nessun ragazzo vuole fare il cuoco. I fannulloni choosy delle Lofoten, l’arcipelago al parallelo 68 nord, preferiscono diventare pescatori e sfidare il Moskstraumen, il Maelstrom di Edgar Allan Poe, il gorgo più famoso della letteratura.

 

In una frase e nel gesto universale dello chef che si frega la punta delle dita per indicare il contante, emerge il dramma sociale a lieto fine di una categoria passata in pochi decenni dal fondo della scala sociale alle cene nei locali come quello di Tommy, dove una bottiglia di vino francese o californiano può arrivare a 2300 corone, oltre 200 euro. E una bottiglia non raggiunge nemmeno la modica quantità per il tavolo da otto popolato da vichinghi extralarge che festeggiano l’arrivo della primavera annunciata, tanto per cambiare, da una bufera di neve e dalla stagione di massima produttività per la pesca.

I racconti locali abbondano su una categoria che è risalita al secondo posto nella scala del pil. Meglio dell’industria ittica fa solo il settore energia, emerso dalle acque gelide dell’Atlantico settentrionale esattamente sessant’anni fa con i primi giacimenti offshore a cambiare il destino di una nazione occupata prima dai danesi, poi dagli svedesi e infine dalle truppe naziste guidate dal Reichskommissar Joseph Terboven.

Nel secondo dopoguerra il boom economico e la globalizzazione hanno portato il pesce dovunque e persino la pandemia non ha influito più di tanto sui record della nazione scandinava. Gli ultimi dati, ricavati dal Norwegian seafood council (Nsc), riferiscono di un +24 per cento di crescita nell’intervallo tra febbraio 2022 e febbraio 2023. L’industria di reti e ami è dominata da un prodotto di massa come il salmone, allevato nelle vasche piazzate nelle acque calme dei fiordi. Ma sta crescendo molto nella nicchia della qualità con lo skrei, il merluzzo gadus morhua che migra dal mare di Barents, sotto il circolo polare, e si riproduce nelle acque delle Lofoten.

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Dai tempi della calata normanna in Europa, mille anni fa, l’arcipelago fornisce la versione essiccata o salata dello skrei ossia, rispettivamente, lo stoccafisso e il baccalà. I merluzzi appesi sulle rastrelliere che dominano il paesaggio strepitoso delle isole, lanciate anche come meta del turismo estivo, sono quasi del tutto un affare italiano da mille anni, quando il lungo viaggio degli uomini del Nord si concluse nelle regioni del Mezzogiorno. Attualmente i quattro quinti della produzione di stoccafisso delle Lofoten sono acquistati dalla Campania, dalla Calabria, dalla Liguria, e dal Veneto. Altri punti di tradizione sono Ancona, Livorno e l’area di Messina. Poi ci sono le rotte dell’emigrazione. In Italia, la Lombardia. Poi il Canada, gli Stati Uniti e l’Australia.

 

Insomma sarà bello il chilometro zero ma non per i norvegesi, e non da oggi. Navigatori ed esportatori senza limiti, hanno ripreso a macinare miliardi sulle rotte internazionali che, per gli scopritori dell’America con cinque secoli di anticipo su Cristoforo Colombo, non hanno nulla di nuovo.

 

I 5,4 milioni di norvegesi, poco meno degli abitanti della Campania, vivono su un territorio di circa un quarto più grande dell’Italia. La pesca e il settore energetico, con petrolio e gas naturale, fanno di loro il popolo europeo di gran lunga più ricco con un reddito pro capite di 89 mila dollari contro i 36 mila scarsi degli italiani, secondo i dati della Banca mondiale riferiti al 2021.

 

Lo scorso 17 marzo a bordo della piattaforma offshore Troll A Ursula von der Leyen, presidente della commissione europea, e il premier norvegese Jonas Gahr Store, leader di una coalizione di centrosinistra vincitrice alle elezioni del 2021, hanno chiuso un accordo in base al quale Oslo, dopo la crisi energetica della guerra russo-ucraina, rimarrà il primo fornitore dell’Unione europea dopo avere venduto 90 miliardi di metri cubi di gas nel 2022. Anche a prezzi calmierati, i margini di guadagno della locomotiva norvegese, unico paese dell’area insieme all’Islanda a non essere mai entrato nell’Ue, rimangono ampi.

 

Il fondo sovrano Norges bank investment management è il secondo più grande al mondo nel 2022 con un patrimonio da 1,145 trilioni di dollari superato soltanto dai cinesi del Cic (1,35 trilioni) dopo un anno molto negativo chiuso con 164 miliardi di perdite. La crisi pandemica, che ha coinvolto la corona locale con una svalutazione a due cifre, si è fatta sentire rispetto al record di 103 mila dollari a testa di reddito pro capite del 2013. Ma mentre l’Italia arranca per riprendere, il pil del paese scandinavo nel 2022 è salito del 28 per cento a quota 5,6 trilioni di corone: 490 miliardi di euro contro i 1909 miliardi dell’Italia (+3,7 per cento sul 2021).

 

L’export dell’industria ittica, valutato a 13,6 miliardi di euro con 2,9 milioni di tonnellate, trova la sua via privilegiata verso sud attraverso gli importatori italiani che hanno come riferimento un consorzio nato nel 2007 fra ventiquattro produttori dell’arcipelago che hanno ottenuto il marchio Igp Tørrfisk fra Lofoten (stoccafisso delle Lofoten) nel 2007 dalla Norvegia e nel 2014 dall’Ue. Una denominazione che, in effetti, non è ancora facilmente tracciabile sul mercato italiano al di fuori dei circuiti di chi importa e distribuisce, anche se il consorzio vale l’88 per cento della merce spedita in Italia.

 

«Il mercato italiano è molto cambiato negli ultimi anni», dice Olaf Johan Pedersen, country manager per l’Italia del consorzio. «Prima trattavamo con una quarantina di importatori di dimensioni varie dalle principali regioni. Adesso si sono aggiunti alla rete distributori, agenti e altre figure che intervengono per rendere disponibile un prodotto di più facile consumo».

 

Nato per i lunghi viaggi via terra e via mare dei vichinghi, lo stoccafisso delle Lofoten ha bisogno di circa tre mesi di esposizione all’aperto in un microclima particolare che evita la formazione di elementi batterici. Durante il processo, uno skrei da cinque chili perde i quattro quinti del suo peso e, secondo il livello di qualità stabilito dal vracker, una sorta di notaio-sommelier dello stoccafisso, può essere venduto da 40 fino a 50-52 euro al chilo. Il peso originale torna quando il merluzzo mummificato a freddo dell’arcipelago viene bagnato per qualche giorno.

 

Johan-Martin Langaas Berntzen di Sund, quarta generazione di un’azienda fondata nei primi anni del Novecento, spiega il procedimento di selezione nel magazzino della sua fabbrica con le pareti tappezzate di pesce pronto per la spedizione e diviso da etichette che ne certificano i diversi livelli di qualità e peso. Un intero settore è dedicato all’Italia con le sigle Ig, Im e Ip (Italia grande, medio e piccolo). In una zona a parte si conservano le teste secche dello skrei, destinate all’esportazione in Nigeria, soprattutto nelle regioni cristiane, mentre le interiora del pesce appena pescato vanno sui mercati asiatici.

 

Fra la tradizione e l’inventiva dei nuovi chef, resa popolare dagli stessi format televisivi con i cuochi protagonisti che si vedono in Italia, la Norvegia continua a macinare utili dalla sua immensa ricchezza sottomarina, a costo di qualche scontro politico. Sul fronte esterno, i norvegesi hanno le mani libere dalle quote che l’Ue impone ai suoi membri. Il governo locale lascia libertà agli imprenditori del settore di cedere in sublicenza le quantità di pescato non realizzate.

 

Un discorso a parte riguarda la pesca dei cetacei, che è proibita nella maggior parte delle nazioni. Anche qui le quote sono stabilite anno per anno al di sopra dei mille capi anche per il 2023. L’anno scorso è stato raggiunta metà dell’obiettivo con 580 cetacei uccisi, per lo più balenottere. Il mercato export di riferimento, in questo caso, è il Giappone.

 

I consumi interni di balena sono invece in calo costante per la forte opposizione al “whaling”, soprattutto nelle zone cittadine lontane dal mondo estremo delle Lofoten.

Per fortuna dei conti bancari dei pescatori dell’arcipelago, la riserva di skrei, dei suoi parenti meno pregiati come haddock e saithe, e di decine di altre qualità come gamberi, granchi, halibut, aragoste, il mare di Norvegia sembra inesauribile. E la concorrenza è quasi inesistente. L’Islanda consuma lo skrei essicato ma non lo produce da trent’anni, tanto che il nome dello stoccafisso è rimasto solo al festival del cinema di Reykjavik. Solo i portoghesi continuano a risalire l’Atlantico da sud a nord per sfruttare le quote cedute dalle autorità norvegesi in cambio della rinuncia Ue ai dazi sull’import extracomunitario. Ma in Portogallo mangiano baccalà. Lo stoccafisso rimane un business italiano.

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