Dopo decenni il Paese è tornato a investire massicciamente nell’industria militare e non solo per l’Ucraina. Ma anche per trovarsi in posizione di forza nella futura difesa europea

Se la “svolta epocale” del governo di Olaf Scholz sulla politica di difesa, la “Zeitenwende” annunciata a pochi giorni dall’aggressione russa in Ucraina, ha faticato a diventare realtà, l’industria della difesa invece i motori li ha accesi subito. E i risultati, a quasi due anni dallo scoppio del conflitto, iniziano a vedersi. Quest’anno l’export tedesco in materia di difesa ha registrato un record mai realizzato prima, con un più 40% delle autorizzazioni all’esportazione e un’impennata degli ordinativi, ha fatto sapere il ministero dell’Economia.

 

La parte del leone la fanno, come è immaginabile, le armi destinate all’Ucraina. Un terzo delle autorizzazioni riguarda sistemi d’arma e munizione indirizzate all’ex repubblica sovietica. Del resto la Germania, dopo gli Usa, è il secondo Stato al mondo per fornitura di armi a Kiev, con 5,97 miliardi di attrezzature già licenziate, oltre 5 miliardi entro il 2028. Ma il meccanismo dell’elargizione inizia a mostrare i suoi limiti. Un sistema d’arma che non possa contare su una manutenzione rapida e su pezzi di ricambio sufficienti e facilmente accessibili è utile fino a un certo punto, sta scoprendo a sue spese l’esercito ucraino. Anche i famosi e tanto attesi Leopard 2 tedeschi, su cui giusto un anno fa si è riversata la pressione diplomatica di mezza Europa, sono in buona parte in riparazione. Ma non in officine ucraine, bensì in Lituania. Una logistica efficiente? La domanda è retorica. Eppure la visione strategica del ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, è cristallina. Il suo ragionamento, espresso pochi giorni prima di Natale, è che «dobbiamo tornare ad abituarci all’idea che il pericolo di una guerra può tornare a minacciare l’Europa. Per questo dobbiamo essere idonei alla guerra e poterci difendere». L’orizzonte temporale è vicino perché «tutti gli esperti militari dicono che tra 5-8 anni la Russia potrebbe essere di nuovo in grado di attaccare un Paese Nato», ha continuato il ministro, e la possibile rielezione di Donald Trump, o di un repubblicano altrettanto poco interessato alla difesa dell’Europa, potrebbe lasciare il continente sguarnito, scrivono gli esperti. La deterrenza, sostiene il titolare della Difesa di Berlino, deve tornare a essere un principio guida della politica estera e di difesa tedesca. Passare dalle parole ai fatti, come sempre, è più difficile.

 

Intanto gli affari vanno a gonfie vele e non solo per la Germania. L’industria europea dei sistemi di sicurezza e difesa, cioè delle armi, vive un momento d’oro. «Una conseguenza diretta delle sfide di sicurezza del nostro tempo», la definisce il sottosegretario all’Economia Sven Giegold dei Verdi. Nel 2023 l’export tedesco è triplicato rispetto al 2018 attestandosi a fine dicembre a 12,2 miliardi di euro, di cui 6,4 miliardi in autorizzazioni di armi e 5,8 in attrezzature per la difesa.

 

Il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius

 

In Ucraina è finito quest’anno un terzo delle licenze complessive per prodotti militari, equivalente a 4,4 miliardi di euro. Kiev ha ricevuto finora dalle munizioni ai sistemi d’arma per la difesa aerea, come Patriot e Iris-T, un sistema antimissile con rilevamento a infrarossi. Ma anche 30 Leopard 1 A5, 18 Leopard 2 A6, 80 cingolati Marder A3, 14 obici semoventi Pzh 2000 e 5 lancia missili Mars II, oltre ai carri armati forniti dai Paesi vicini, secondo l’accordo previsto dal governo tedesco del cosiddetto scambio circolare, come informa con dovizia di dettagli il sito della Difesa. Il problema emerso di recente, dopo una lettera finita sui giornali del deputato verde ed esperto militare Sebastian Schaefer e indirizzata a Rheinmetall e a Kmw, riguarda le riparazioni dei mezzi inviati dalla Germania. «Purtroppo bisogna constatare che solo un piccolo numero di panzer forniti possono essere impiegati dagli ucraini», ha scritto Schaefer. I cingoli, per esempio, si usurano e dopo 6.000 chilometri vanno cambiati, così come i cuscinetti dei cingoli, che dopo qualche centinaio di chilometri su asfalto vanno sostituiti. I problemi sono di due ordini: l’officina di riparazione più vicina si trova in Lituania, cioè a centinaia di chilometri di distanza, e le riparazioni richiedono tempi molto lunghi perché mancano i pezzi di ricambio adatti. Entrambi problemi di non poco conto.

 

L’industria nel frattempo passa all’incasso. I principali destinatari delle grandi commesse sono i grandi gruppi storici come Rheimetall, che produce munizioni, cannoni e sistemi di puntamento e di artiglieria, per esempio degli obici semoventi Pzh 2000 ma anche i cannoni dei Leopard 2, la Krauss-Maffei Wegmann (Kmw), ormai Knds dopo la fusione nel 2015 con la francese Nexter Defence System, cui partecipa in “alleanza strategica” anche Leonardo, e poi Thyssenkrupp Marine System. Il vento è cambiato anche nella percezione della società rispetto ai colossi delle armi. Una volta davanti alla fabbrica di Rheinmetall di Unterluess, in Bassa Sassonia, c’erano le manifestazioni contro la guerra dove si scandivano slogan come: “Le armi tedesche, i soldi tedeschi uccidono in tutto il mondo” (“deutsche Waffen, deutschen Geld morden mit in aller Welt”).

 

Ora, dopo l’aggressione russa in Ucraina, chi entra nel cancello di Rheinmetall Defense non è più accompagnato dai fischi, ma guardato con comprensione, se non con gratitudine. L’azienda nei primi tre trimestri del 2023 ha registrato una crescita dei ricavi del 13% mentre il portafoglio ordini è aumentato del 42%. Il gruppo, per cui lavorano 27.900 persone, è un colosso che ha società controllate non solo in Germania ma anche in Spagna, Austria e Ungheria. Di recente ha avuto commesse dalla Romania per 328 milioni di euro per la modernizzazione dei sistemi di artiglieria antiaerea, ma anche da parte dell’Ucraina per una partita di munizioni da 142 milioni di euro. L’esercito tedesco e quello olandese hanno commissionato a Rheinmetall, in collaborazione con Mercedes-Benz, 3059 unità di un veicolo terra-aria del tipo Caracal per 1,9 miliardi di euro. La domanda di sistemi di difesa nel complesso non solo è in crescita, ma è superiore all’offerta, dicono gli analisti ascoltati da Handelsblatt. E la questione sul tavolo, ancora irrisolta, è come potenziare in fretta la capacità produttiva.

 

il cancelliere tedesco Olaf Scholz

 

Ora lo Stato tedesco sta pensando di entrare con delle quote di partecipazione azionaria in un settore strategico come l’industria della difesa. È il caso per esempio di Hensoldt, che fornisce componenti di difesa tra cui parti destinate all’Eurofighter, e sistemi di protezione per i panzer Leopard e Puma. La società di Taufkirchen – che nei primi nove mesi dell’anno ha registrato un aumento del margine di utile del 20%, con un portafoglio ordini da 1,3 miliardi e ricavi per oltre 1,1 miliardi – ha deciso a dicembre di acquisire l’azienda che produce integratori di sistemi per la sicurezza Esg con un aumento di capitale. Leonardo, il secondo maggiore azionista di Hensoldt con il 25% delle quote, si è tirato indietro dalla partita ed è probabile che le sue quote scenderanno al 23%, mentre il governo di Berlino, con il suo 25,1%, è in trattativa per partecipare all’aumento di capitale con circa 60 milioni di euro, riporta Handelsblatt.

 

Ma il caso Hensoldt-Esg non è unico. Il governo guidato da Olaf Scholz sta valutando la possibilità di entrare nella principale azienda navale tedesca, la Thyssenkrupp Marine System, con una partecipazione del 20%. «Che lo si voglia è fuori questione», ha detto il ministro Pistorius. L’azienda, nota per produrre i sottomarini, ma anche fregate e corvette, è naturalmente più che interessata: «Abbiamo bisogno dello Stato come investitore di riferimento e come cliente forte», ha detto il capo dell’IG Metall Küste, Daniel Friedrich.

 

L’industria della difesa è, o negli auspici di molti dovrebbe essere, sempre più integrata. Il caso di scuola è la holding franco-tedesca Knds, che nasce nel 2015 dalla fusione tra la Krauss-Maffei Wegmann, storica industria bellica tedesca produttrice dei Leopard, e la francese Nexter Defense system, in seguito alla privatizzazione dell’allora ministro dell’Economia Emmanuel Macron. Lo scorso dicembre Leonardo ha ufficializzato il suo interesse per una cooperazione con Knds, che non solo sta registrando incassi da capogiro (con ordini cresciuti del 21% e un portafoglio ordini salito a 11 miliardi), ma che ha in sviluppo dal 2017 il panzer Mgcs (Main Cround Combat System). Un carro armato che dovrebbe sostituire il Leclerc francese e il Leopard 2A8 tedesco. Nel frattempo però l’esercito italiano si doterà del Leopard di seconda generazione, come già da indiscrezioni. Un segno di sfiducia nel futuro europeo?