Intervista
«Non credete alla narrazione di Vladimir Putin: la Russia soffre drammaticamente le sanzioni»
Non è vero che non funzionano: e infatti l’economia russa è in crisi. Per questo si preparano altre misure più stringenti. Parla Wally Adeyemo, viceministro Usa al Tesoro
«Non credete alla narrazione di Vladimir Putin: la Russia soffre drammaticamente delle sanzioni e dell’isolamento internazionale. E pensare che fino a tre anni fa Mosca era una città viva e brillante e la Russia un Paese dove tutti volevano andare a investire». Non è la prima volta che incontriamo negli uffici dell’ambasciata americana a Roma Wally Adeyemo, Deputy Treasury Secretary, il numero due di Janet Yellen al Tesoro americano, già nello staff di Barack Obama. Rispetto alle altre occasioni, questo giovane e brillante avvocato nato in Nigeria, emigrato da piccolo con i genitori in California, laureato a Berkeley e specializzato alla Yale Law School, dà l’impressione di essere più teso e insieme estremamente determinato – in un clima da gabinetto di guerra – per togliere a Putin il terreno sotto i piedi usando l’arma dell’economia. «Il Cremlino non voleva credere che saremmo riusciti a implementare dodici pacchetti di sanzioni concordate con i nostri alleati, che hanno fiaccato l’economia russa. E ora stiamo partendo per un nuovo round di misure».
Quali misure?
«Il presidente Joe Biden ha firmato qualche giorno prima di Natale un ordine esecutivo che ci autorizza, come Tesoro, a intraprendere ulteriori azioni di deterrenza sulle istituzioni finanziarie. Stiamo dicendo chiaramente alle banche di Paesi come la Turchia o il Kazakistan, e perfino la Cina: se continuate a fare anche indirettamente affari con i russi, noi vi tagliamo fuori da qualsiasi business con l’Occidente. Già 40 istituzioni finanziarie, comprese quelle cinesi, ci hanno dato ampie assicurazioni in tal senso. A volte persino in contrasto con il pensiero del governo locale. Inoltre, ricordiamo che sta funzionando benissimo il price cap sia sul petrolio sia sul gas, il che taglia ai russi della principale fonte di entrate».
Finora però hanno trovato mille escamotage per aggirare le sanzioni: lei stesso raccontò la storia dei frigoriferi importati dalla Moldova e riesportati in Russia dove prendevano i circuiti elettronici per le armi…
«Siamo intervenuti direttamente presso le aziende interessate perché interrompessero questa pratica. Certo, i russi, ancorché tagliati fuori dal sistema dei pagamenti internazionali Swift, sono bravissimi a inventarsi modi per eludere le sanzioni, ma abbiamo anche chance da giocare. Resta ferreo il blocco di 300 miliardi di riserve nei forzieri occidentali. Il Pil di Mosca è sceso del 2% nel 2022 e tuttora l’economia è il 5% più ridotta di quello che doveva essere secondo le previsioni del Fondo Monetario. Nel solo 2022 hanno lasciato la Russia quasi 700 mila persone, il 71% in più della media dei precedenti cinque anni. Inflazione e disoccupazione aumentano e il rublo vale il 20% in meno di prima della guerra, il che significa che tutte le importazioni – regolari o clandestine che siano – costano di più, comprese quelle militari, ammesso che trovino fornitori: oggi armi a Mosca arrivano solo da Corea del Nord, Bielorussia e Iran, Paesi isolatissimi che a loro volta hanno pesanti problemi (e sanzioni) e non sono certo delle potenze. Al suo interno la Russia ha dovuto dirottare sulle produzioni belliche ingenti risorse, privando la popolazione di assistenza e aiuti in questo momento difficile».
Proprio l’Iran ha lanciato la sua proxy war tramite gli Houthi yemeniti per bloccare il Mar Rosso, provocando la reazione militare americana e dei suoi alleati. Vi preoccupa quest’ennesimo fronte?
«Moltissimo, perché bloccare il Mar Rosso e quindi Suez significa dare un colpo micidiale alla catena dell’offerta, sia di merci di qualsiasi tipo sia di beni energetici. Ricordate cosa successe nel 2021 quando c’era un ingorgo di navi in partenza da Oriente e non si riusciva a colmare la domanda risorgente in Occidente? Allora abbiamo imparato l’importanza decisiva della supply chain per l’economia, gli equilibri e l’inflazione mondiale. È nostro fermo intendimento evitare nuovi blocchi e perseguiremo questo scopo con qualsiasi mezzo».
Avvertite già contraccolpi della crisi di Suez?
«Beh, i primi, dovendosi i viaggi delle portacontainer allungarsi di due settimane, sono in termini di aumento dei costi di shipping e di assicurazione, con le probabili conseguenze più per la verità in Europa che in America. Quanto al petrolio, finora i corsi si sono mantenuti stabili, malgrado la tensione riguardi l’intero Medio Oriente, perché c’è sovrabbondanza di offerta grazie ai nuovi pozzi offshore di Brasile e Guyana. Anche gli Stati Uniti stanno facendo la loro parte visto che ormai esportano 5 milioni di barili di greggio al giorno oltre a grossi quantitativi di gas espressamente mirati a venire incontro alle esigenze dell’Europa».
In Italia ha preso contatto con l’organizzazione del G7 che sarà appunto a presidenza italiana per tutto l’anno?
«Certo, e ho trovato la più ampia collaborazione e un’ottima intesa su come procedere. L’Italia è uno dei nostri migliori alleati e sono sicuro che continuerà a sostenere la battaglia per la libertà che si combatte in Ucraina. Ci interessa pure la vostra attenzione verso l’Africa, dove anche noi riteniamo che siano importanti gli investimenti in infrastrutture. Noi abbiamo i mezzi finanziari grazie ai poderosi stanziamenti dell’Inflation Reduction Act, dei piani per i circuiti elettronici e per le infrastrutture. Non tutti gli investimenti saranno limitati agli Stati Uniti, anche se per la verità chi viaggia in America si rende conto dello stato precario e dell’urgenza di misure per gli aeroporti e le strade: ci sarà spazio per importanti iniziative in molti Paesi».