Riconciliazione è il mantra dell’opposizione in esilio. Parla il leader della Soc che sul rischio fondamentalista dice: faremo tesoro delle nostra diversità, non ci divideremo come la Libia

Sono bastati 11 giorni per far crollare un regime che andava avanti dal 1971 e la cavalcata inarrestabile che da Nord è arrivata a Damasco ha sorpreso tutti gli osservatori. Bashar al-Assad ora si trova in Russia con la famiglia, unico Stato che ha voluto concedergli asilo, ma la Siria per il momento non è crollata come una nuova Libia parcellizzandosi in mille potentati locali. I protagonisti di quella che è stata definita da loro stessi come la “Rivoluzione della Misericordia” sono i miliziani di Hayat Tahrir al-Sham, molti dei quali sono ex di al-Qaeda, ma il fronte che ha abbattuto il regime di Assad è composito e con molte anime. Hadi al-Bahra è uno dei più importanti e conosciuti oppositori del regime di Bashar al-Assad, è presidente della Coalizione nazionale delle forze rivoluzionarie e di opposizione siriane (Soc) e co-presidente del Comitato costituzionale siriano. La sua lotta per il popolo siriano non si è mai fermata, nemmeno quando ha dovuto riparare in Turchia per salvarsi la vita.

 

«Questa vittoria è storica e dimostra che il popolo siriano era stanco dei soprusi e della violenza del clan di Assad. Dopo la caduta di Aleppo, dove gli uomini dell’Esercito siriano libero hanno avuto un ruolo determinante, l’esercito governativo ha capito che doveva ascoltare il popolo e deporre le armi come noi abbiamo più volte richiesto. Il dittatore Assad aveva spedito al fronte anche i ragazzini rastrellando le scuole, non avevano indumenti per coprirsi e nulla da mangiare, questo era il rispetto che aveva per il suo esercito. Ma i soldati sono figli del popolo siriano e noi vogliamo la riconciliazione nazionale per far rinascere la nostra patria. La Siria è uno Stato che ha tante voci diverse e questa diversità ci arricchisce e dobbiamo rispettarla». Hadi al-Bahra parla da Doha in Qatar dove i ministri degli Esteri di Russia, Siria e Turchia si sono riuniti ancor prima che Damasco cadesse, per decidere il futuro politico e geopolitico dell’importante nazione araba. Questo ombrello di sigle dell’opposizione è molto vicino alla Turchia e Ankara sembra essere uno dei veri vincitori dell’ultimo atto della guerra in Siria che era scoppiata nel 2011 all’indomani delle Primavere arabe. «Adesso serve un periodo di transizione di almeno 18 mesi – continua Hadi al-Bahra – Vanno preservate tutte le istituzioni statali. Siamo contrari agli arresti senza motivazione di alcuni membri dell’ex governo. Serve una coalizione ampia ed inclusiva che possa rappresentare tutti, noi siamo a disposizione per parlare a nome del popolo siriano. Va scritta una nuova Costituzione ed entro sei mesi dobbiamo arrivare a un referendum per scegliere il tipo di governo che vogliamo». Per la Coalizione nazionale della Forze rivoluzionarie e di opposizione siriane adesso si tratta di lavorare con i gruppi capeggiati da Hayat Tahrir al-Sham che Hadi al-Bahra aveva in passato definito «terroristi» e che non hanno buoni rapporti con la Turchia, autentico mentore del Soc. «Il cambiamento del loro leader al-Jolani è sotto gli occhi di tutti, perché questo è il momento di dimostrare chi vuole il bene della Siria. I primi atti degli uomini di Hayat Tahrir al-Sham sono ragionevoli e con una visione politica di ampio respiro. Credo che sia significativo che il loro leader si sia presentato alla cittadinanza di Damasco con il suo vero nome Ahmed al-Shaara e non con l’appellativo di battaglia al-Jolani (che significa proveniente dalle alture del Golan, ndr), e che abbia subito ordinato ai suoi miliziani di non toccare l’apparato dello Stato. Abbiamo avuto rassicurazioni che non sarà Hayat Tahrir al-Sham a guidare il nuovo governo e che vedrà membri della comunità civile in tutti i ruoli chiave». 

 

L’incarico di formare il nuovo governo è affidato a Muhammad al-Bashir, ingegnere e già governatore della provincia di Idlib, dopo un incontro tra l’ex primo ministro deposto, e lo stesso Ahmed al-Shaara. «Io – dice Hadi al-Bahra – non ho ancora incontrato al-Shaara, ma al momento non ci sono lotte di potere nel gruppo che dovrà lavorare per ricostruire la Siria che noi vogliamo che resti unita. Non sarà smantellato il partito Baath di Assad, non ripeteremo l’errore fatto in Iraq, vogliamo che resti un membro attivo della vita politica siriana. Questo è un messaggio a tutti: i membri del Baath non saranno perseguitati e potranno continuare a fare politica, la nuova Siria non esclude nessuno». Intanto Hadi al-Bahra si sta già muovendo anche a livello diplomatico e dopo gli incontri con il ministro degli Esteri turco ha ricevuto anche una delegazione francese. «Siamo sempre stati un movimento aperto al dialogo ed in questo momento lo siamo ancora di più. Ho personalmente incontrato il rappresentante dell’Unione Europea per la Siria Michael Ohnmacht ed anche il presidente Emmanuel Macron ha inviato alcuni suoi rappresentanti per aprire un dialogo immediato con la nostra coalizione. La Francia ha storicamente sempre giocato un ruolo in Siria e noi siamo ben felici di incontrare rappresentanti internazionali. Ma, come abbiamo scritto nel comunicato diramato al popolo siriano, non vogliamo ingerenze straniere. La Siria è sempre stato un Paese importante in Medioriente e deve tornare a esserlo. Dobbiamo lavorare con i nostri vicini per la pace e la prosperità. L’Iran non ha nulla a che fare con la nostra storia e cultura e per questo motivo non deve avere nessun rapporto preferenziale con la nuova Siria. Vogliamo che l’8 dicembre diventi festa nazionale, il giorno della liberazione, ma vogliamo soprattutto che i siriani che hanno dovuto abbandonare le loro case possano tornare. Io stesso non vedo l’ora di tornare a Damasco, dove la mia casa era stata sequestrata dal governo e data a un dirigente di Hezbollah. In Turchia vivono quasi due milioni di siriani e circa 600mila sono in campi profughi lungo il confine, questa vittoria è soprattutto per loro». Ma tenere insieme tutti i pezzi della Siria appare molto complesso, a cominciare dalla questione curda fino agli alawiti, gruppo religioso dell’ex presidente Assad, che controllano ancora i porti di Laodicea e Tartus dove ci sono le basi navali russe. «Dobbiamo distinguere i due macrogruppi di curdi per comprendere la situazione creata dal passato regime. Le Unità di protezione popolare (Ypg) sono alleate del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) un partito terrorista e noi non vogliamo avere nulla a che fare con loro. I nostri uomini li stanno combattendo e cacciando dalle zone che hanno occupato. L’operazione militare “Dawn of Freedom” nasce anche per estirpare questi terroristi dalla Siria settentrionale. Tal Rifaat e Manbij sono state liberate dall’Esercito siriano libero che ha visto la popolazione locale scendere in piazza per sostenere i nostri combattenti. L’altro gruppo curdo è invece formato dalle cosiddette Forze democratiche siriane (Sdf) che non hanno avuto una parte attiva in questa grande rivoluzione e in passato hanno anche appoggiato le forze fedeli ad Assad. Ora devono dimostrare di essere siriani al 100% e interrompere immediatamente ogni rapporto con i terroristi del Pkk che vorrebbe creare uno Stato curdo distruggendo la nostra identità nazionale. Serve un nuovo modo di pensare perché abbiamo un Paese da ricostruire. Dobbiamo restare uniti, io voglio un confronto con tutte le forze politiche e con tutte le minoranze per trovare un accordo. Nego che ci siano già state delle trattative con la Russia per lasciargli una parte del nostro Paese, i porti di Laodicea e Tartus sono la nostra finestra sul Mediterraneo e noi abbiamo un ruolo in questo mare. Gli alawiti non verranno discriminati perché hanno dominato la Siria sotto i regimi dittatoriali degli Assad, ma devono accettare la transizione democratica e devono capire che cercare un protettore straniero danneggia il percorso politico che stiamo iniziando. Da qui ripartiamo per il bene di tutti i siriani».