Leader in declino
Macron a fine corsa, il mini Napoleone ha perso la Francia
Il capo dell’Eliseo è sempre più solo e in difficoltà. Inviso a un Paese a cui chiede sacrifici e sotto un doppio scacco politico: di Marine Le Pen da destra e Jean-Luc Mélenchon da sinistra
Gli antichi romani condannavano a morte coloro che giudicavano traditori della Patria spingendoli giù dalla Rupe Tarpea, la sporgenza meridionale del Campidoglio, a pochi passi dal centro del potere dell'Impero. La distanza tra un grande trionfo e una fine tragica era breve. Come lo è oggi per il presidente francese Emmanuel Macron. Il suo progetto politico lanciato nel 2017 tra l’acclamazione generale avrebbe dovuto salvare la Francia dalla presa dell'estrema destra ma sta finendo invece per consentire ai populisti di gettare giù dalla rupe, e dal consesso dei potenti della nazione, il suo creatore. La decisione inusitata di sciogliere il Parlamento lo scorso giugno in seguito alla sconfitta alle elezioni Europee era stata interpretata da molti come una mossa strategica del presidente per smorzare lo slancio politico dell'estrema destra, sempre più popolare. Ma la disfatta di Rinascita non soltanto ha portato la Francia sull'orlo del caos politico ed economico: ha anche sigillato la non compatibilità del macronismo con la Francia (e con l'Europa) post-Covid. Il nuovo governo sotto l'egida Macron potrebbe diventare la versione francese della Grande coalizione tedesca, con un primo ministro socialista al potere assieme alla destra repubblicana per senso di responsabilità: verranno glorificati proprio i due partiti per decenni pilastri di quella politica francese di cui Macron aveva scommesso potere diventare sintesi. E di cui invece è diventato preda. La scorsa settimana nel bel mezzo della discussione su una finanziaria lacrime e sangue, in un Paese messo sotto procedura d'infrazione dalla Commissione europea, con la scusa del mancato inserimento nella legge di bilancio dell'indicizzazione delle pensioni, il partito di Marine Le Pen ha votato la sfiducia all'incredulo primo ministro Michel Barnier, abile mediatore della Brexit. E dire che Macron l'aveva scelto proprio perché, come uomo di destra, non avrebbe dovuto essere inviso a Le Pen, che con i suoi 126 seggi gli aveva garantito il sostegno esterno a dispetto della coalizione dei partiti di sinistra che pur aveva ottenuto il maggior numero di seggi in Parlamento. In realtà non erano Barnier né la sua finanziaria il vero obiettivo: Le Pen punta alle dimissioni del presidente e alle elezioni anticipate entro il 31 marzo 2025, giorno in cui uscirà il verdetto del tribunale sui sette milioni di euro di compensi destinati agli assistenti europarlamentari ma finiti nei forzieri del partito. La leader rischia cinque anni di prigione e, soprattutto, cinque anni di ineleggibilità. Nella sua personale ricerca di salvezza ha trovato il sostegno parlamentare di Jean-Luc Mélenchon, il leader della sinistra populista che, seppure da posizioni diverse, con lei condivide l’obiettivo: fare scacco matto al napoleonico presidente. Macron era asceso al massimo gradino della politica francese dopo essere stato banchiere e poi ministro dell'Economia per il socialista François Hollande, nel momento in cui il meccanismo di alternanza destra-sinistra che aveva funzionato dal 1981 si era bloccato. I socialisti al Governo avevano perso direzione e voti mentre la destra era in subbuglio e disunita. Come scrisse nel suo libro “Rivoluzione”, si presentò come il giovane eroe (aveva solo 39 anni) capace di riempire uno spazio elettorale tanto ampio da porre fine ai due schieramenti politici e da ripristinare il potere presidenziale in versione gollista, moderno e benevolo imperatore. Il motto ripetuto da seguaci entusiasti era “allo stesso tempo”, una versione francese della terza via blairiana e clintoniana che inizialmente accese le speranze dei francesi delusi dalla politica tradizionale.
Ma già dai primi passi di questo partito “unico” qualcosa non funzionò: il cuore della sua ricetta politica era l'incentivazione degli investimenti in Francia tramite una serie di aiuti, anche fiscali, per migliorare la produttività e traghettare il Paese nell'era digitale. Portò la tassa sulle imprese dal 33 al 25 per cento degli utili, abbassando anche la parte contributiva indipendente dall'utile e abolì la tassazione del 75 per cento sulle grandi ricchezze introdotta da François Hollande, nella speranza che l'aumentata attività economica avrebbe portato più entrate nelle casse dello Stato. Per compensare parzialmente i tagli fiscali, decise di mettere mano a una riforma delle società statali senza troppe consultazioni con le parti sociali, partendo dalle Ferrovie (Snfc), con l'unico risultato di dare vita a una raffica di scioperi a oltranza e di diventare inviso a una buona parte della sinistra. Quando poi decise di riformare il sistema pensionistico, alzando l'età pensionabile a 64 anni dai 62 precedenti, allora scatenò le ire dell'intero Paese. E non importa che l'età media in Europa si aggiri sui 67 anni: i francesi, che hanno dato vita alla più celebre rivoluzione della Storia, non sono disposti a rinunciare ai propri privilegi di cittadini. Non quando nulla è chiesto ai ricchi e ai potenti. Ma Macron, chiuso nelle stanze dorate dell'Eliseo, circondato da giovanissimi consiglieri usciti, giacca attillata e scarpe lucide, dalle scuole elitarie del Paese, eccessivamente sicuro di se stesso e della bontà del suo progetto in virtù della fantasmagorica vittoria presidenziale, non si è mai curato del malessere collettivo, né dell'impatto che le sue politiche stavano avendo sulla quotidianità della maggioranza della popolazione. E non si è reso conto di come negli ultimi anni la ricchezza nazionale, anche quando cresce, non si traduce più in un aumento della ricchezza individuale, che ristagna. Anzi, spesso cala. Certo non lo ha aiutato il mancato radicamento sul territorio del suo partito (che ora teme la dissoluzione) e la scarsa propensione al compromesso, convinto che la sua opposizione alle forze antirepubblicane sarebbe bastata a mantenerlo al potere. E di fatti è stato rieletto nel 2022. Ma solo come il male minore. Alla prima occasione i francesi gli hanno fatto capire che è ora di sgomberare.
Solo il 23 per cento della popolazione è ancora dalla sua parte.I numeri dell’economia poi sono impietosi. Durante i sette anni al potere, il deficit della seconda potenza dell'Eurozona è esploso fino ad arrivare al 6 per cento con un debito che supera il 115 per cento, mentre non arrivava al 100 per cento quando Macron assunse la prima presidenza. Il suo disegno economico avrebbe potuto forse funzionare all'epoca della globalizzazione. Ma la pandemia da Covid e la guerra in Ucraina hanno cambiato il mondo in cui viviamo: la spesa pubblica è esplosa proprio mentre Macron tagliava le tasse al mondo imprenditoriale. Il buco di bilancio era inevitabile. Adesso lo spread (il differenziale con i tassi d'interesse tedeschi, i più bassi dell'Eurozona) della Francia è al pari di quello greco mentre Spagna e Italia veleggiano su livelli molto inferiori. Chiedere aiuto a un popolo che per anni ha sacrificato sull’altare delle esigenze del mercato, come faceva la legge di bilancio Barnier, è stato porgere la testa su una ghigliottina manovrata da Le Pen e Mélenchon, forti di un sostegno popolare che tanto ha a che vedere con la crisi del potere d'acquisto. Non che gli sia andata meglio in politica estera. Il suo piano di intrecciare rapporti più stretti con il leader russo Vladimir Putin per sottrarlo all'influenza cinese e garantire la sicurezza europea è saltato in aria con le prime bombe lanciate sull’Ucraina dai russi. E oggi che l’Unione Europea ha bisogno di una leadership forte in Francia e in Germania si ritrova isolato a casa e con una controparte tedesca azzoppata. Oltre il danno, la beffa. La premier italiana, di cui non si è mai fidato, cammina invece a suo agio tra corridoi europei animati sempre più dalle voci di una destra che avrebbe voluto reinterpretare. E dalla quale invece è stato scalzato senza rimpianti.