Usa
La pena di morte è "una vergogna americana" ma il prossimo inquilino della Casa Bianca non farà nulla per cancellarla
Anche se le esecuzioni sono diminuite rispetto a vent’anni fa, dal 2021 il trend è in aumento. L'azoto è la nuova frontiera anche se la gran parte degli statunitensi, per la prima volta, crede che le sentenze siano emesse in modo ingiusto
«Quando l’ho visto con la maschera addosso, sembrava un’altra persona rispetto a quella a cui avevo dato l’estrema unzione cinque minuti prima. Il viso cambiava colore dal rosso al blu, al viola; i bulbi oculari erano sporgenti, le labbra gonfie. Appena hanno attivato l’azoto, ha provato a dimenarsi, pareva che la testa stesse per esplodere». Il reverendo e attivista Jeff Hood è convinto che, se gli americani avessero visto come si è spento il detenuto Kenneth Smith, quel 53% di loro che ancora approva la pena di morte avrebbe cambiato idea.
Da tempo si racconta di un’America pronta a liberarsi dall’onta della punizione capitale, considerata dai critici l’antitesi di un Paese democratico. Ventitré Stati e il distretto di Columbia che ospita la capitale l’hanno abolita, sei l’hanno sospesa. In effetti, il 2023 ha segnato il nono anno consecutivo con meno di 30 esecuzioni, tutte concentrate in Texas, Florida, Missouri, Oklahoma e Alabama. Oggi ci sono “solo” circa 2.300 persone nei bracci della morte statali, una quarantina in quelli federali. La gran parte degli statunitensi, per la prima volta, crede che le sentenze siano emesse in modo ingiusto e l’approvazione in generale è ai minimi storici.
Gli abolizionisti dovrebbero tirare un sospiro di sollievo, eppure, a ragione, non lo fanno. Basta grattare la superficie di questi dati per rendersi conto che in realtà gli Usa sono ancora lontani da una moratoria federale. Tant’è che il 25 gennaio scorso l’Alabama ha sperimentato una nuova forma di tortura sul cinquantottenne Smith, giustiziato con l’inalazione di azoto puro, somministrato con una specie di maschera. Metodo mai testato prima sugli umani. Lo Stato ha parlato di un «successo», ma chi c’era – i parenti, i giornalisti e lo stesso reverendo Hood – l’ha definito lo «spettacolo dell’orrore» di un uomo lasciato lentamente soffocare. Era dal 1989 che Smith si trovava nel braccio della morte per l’omicidio di una donna commissionato dal marito. Più di trent’anni. «La sua è stata la quinta esecuzione a cui ho assistito in tredici mesi, di gran lunga la peggiore. Kenny ha avuto la sfortuna di essere americano, in Europa avrebbe già scontato la pena», racconta a L’Espresso il religioso che da anni assiste i condannati e li accompagna fino all’ultimo respiro: «In realtà, lottiamo con ricorsi perché quel momento non arrivi mai».
Nonostante le esecuzioni siano diminuite rispetto a una ventina di anni fa (nel 1999 se ne registrarono 98), il trend dal 2021 è in aumento. Da 11 sono passate a 18 nel 2022 e a 24 l’anno scorso. Capofila la Florida che nel 2023 ha condotto nella stanza della morte sei persone. Complice anche una Corte suprema spostata pesantemente a destra – grazie alle nomine di tre giudici conservatori da parte dell’ex presidente Donald Trump – che raramente è intervenuta, respingendo 25 ricorsi su 26.
La prossima esecuzione potrebbe essere quella di Ivan Cantu in Texas. Cinquant’anni, di origini ispaniche, condannato a morte nel 2001 per duplice omicidio. Si è sempre professato innocente. Nonostante un procedimento giudiziario incongruente e nuovi elementi emersi da indagini indipendenti, il tribunale rifiuta di riaprire il caso. In barba a tutti gli standard internazionali, Cantu non è l’unico su cui pende una condanna a morte senza prove incontrovertibili di colpevolezza. Il 2022 è stato l’anno record di procedure problematiche. Infatti non è raro che durante l’iniezione letale i boia abbiano avuto difficoltà a trovare la vena, costringendo i detenuti a un calvario o a rimandare, proprio come era successo a Smith, che aveva poi optato per l’azoto.
È proprio l’azoto la prossima frontiera. Anche Mississippi e Oklahoma hanno leggi che ne autorizzano l’uso, mentre altri Stati lo stanno valutando. «Ohio e Luisiana hanno annunciato che cercheranno di utilizzare la procedura del gas», dice Robin Maher, direttrice del Death Penalty Information Center, una non profit di Washington che pubblica analisi sulla pena capitale negli Usa. Le aziende farmaceutiche, che non vogliono legare il proprio nome alle esecuzioni, hanno smesso di fornire i farmaci e l’Unione europea ne ha vietato l’esportazione. Ecco quindi l’inalazione. D’altro canto, costituzionalmente nessuno dei metodi applicati nei vari Stati – sedia elettrica, plotone, gas, impiccagione, iniezione letale – è considerato «crudele». Spiega ancora la direttrice: «Non esiste un metodo perfetto che garantisca una fine pacifica. Quello che stiamo facendo è togliere la vita a una persona. Ci sarà sempre il rischio di errori».
Per comprendere a fondo la battaglia di chi vuole abolire la pena a livello federale è necessario non dimenticare le condizioni in cui i detenuti sono costretti a vivere per decenni nel braccio della morte. «Ci sono Stati in cui ai prigionieri è permesso di fare esercizio fisico, altri come il Texas, al primo posto nel Paese per numero di esecuzioni, dove le condizioni sono estremamente dure; i condannati sono privati dell’ora d’aria e di ogni tipo di contatto con gli altri; nonostante l’uso prolungato dell’isolamento violi il diritto internazionale». Non stupisce, dunque, l’alta percentuale di reclusi che soffre di disturbi mentali. «Molti presentano problemi già al momento della condanna, l’isolamento peggiora tali condizioni o fa emergere nuove patologie. I condannati sono tra i più vulnerabili della nostra società».
Se il Death Penalty Information Center cerca di non dare giudizi oltre ai dati evidenti, il reverendo Hood parla della pena di morte come di una vergogna americana. «Andiamo in tutto il mondo a predicare i diritti umani e abbiamo appena inventato un nuovo modo di torturare e uccidere. Non ha senso!». Secondo lui – ma è l’opinione di tante associazioni – le elezioni del 2024 non porteranno alla Casa Bianca un presidente «così coraggioso» da porre fine alla pena capitale a livello federale: «Certo, mi preoccupa la possibilità che Trump rivinca (l’ex presidente negli ultimi mesi della sua amministrazione ha approvato 13 esecuzioni federali, dopo una pausa di 17 anni; oggi ha promesso di estenderle anche ai trafficanti di droga, ndr). Ma su questo tema pure Joe Biden mi ha deluso. Ha mentito. Non mi basta pensare che con i democratici la situazione sia migliore di un paio di gradi. La moralità non funziona per gradi». Nel 2020 il presidente in carica aveva promesso in campagna elettorale che si sarebbe battuto per l’abolizione federale della pena di morte. Non è successo. Anzi, lo scorso mese per la prima volta il ministero della Giustizia – che aveva già permesso l’attuazione di due vecchie sentenze – ha autorizzato una nuova condanna a morte per Payton Gendron, il ventenne che nel 2022 aveva ucciso dieci afroamericani a Buffalo. Un fallimento di cui l’inquilino della Casa Bianca dovrà rendere conto alla sua base alle Presidenziali del prossimo novembre. Anche se questo non è tema elettorale predominante.