Nel 2004 a Boston venivano celebrate le prime nozze fra coppie gay. Da allora la battaglia per i diritti ha fatto parecchi passi avanti ma oggi molte conquiste sono a rischio

Quando la reverenda Kim Crawford Harvie iniziò a pronunciare la frase di rito, «per il potere conferitomi dal Commonwealth del Massachusetts», la chiesa unitariana universalista di Boston esplose in un lungo, interminabile boato. La pastora dovette attendere qualche minuto prima di riuscire a dichiarare David Wilson e Rob Compton uniti in matrimonio. «Fu come se fosse caduto un fulmine. La gente applaudiva, esultava, piangeva», dice Wilson quando gli si chiede di ricordare quel pomeriggio di vent’anni fa. «Capimmo che non si trattava solo di noi due. Riguardava le migliaia di persone che ci avevano sostenuto».

 

Era il 17 maggio 2004. La coppia scrisse una pagina di storia diventando una delle prime dello stesso sesso a sposarsi negli Stati Uniti. I due facevano parte dei querelanti del caso Goodridge vs. Department of Public Health che portò il Massachusetts a legalizzare il matrimonio egualitario, aprendo la strada dei diritti a livello federale. Tra i banchi della chiesa c’era anche Mary Bonauto, avvocata dei Glbtq Legal Advocates & Defenders. Fu lei a raccogliere le testimonianze di decine di coppie di fatto, costrette a fare i conti con la menomazione legale. Come era successo ai Wilson-Compton, quando i medici dell’ospedale in cui era ricoverato Robert si rifiutarono di aggiornare David sulle condizioni del compagno, data l’assenza di legame giuridico.

 

Fu una battaglia politica dolorosa, che contrappose la comunità all’allora governatore Mitt Romney, al presidente George W. Bush, a uno stuolo di belligeranti legislatori repubblicani, alla fetta più conservatrice dell’opinione pubblica, al mondo evangelico militante. E a una fronda di odiatori che non lesinarono aggressioni e minacce.

 

Negli anni successivi altri trentasei Stati e la Capitale seguirono l’esempio del Massachusetts e nel 2015 la Corte Suprema dichiarò incostituzionali i rimanenti divieti statali, legalizzando il matrimonio a livello nazionale.

 

«Abbiamo raggiunto grandi traguardi – afferma Cathy Renna, a capo delle comunicazioni della National Lgbtq Task Force – tra questi l’abrogazione del “Don’t Ask, Don’t Tell” (le politiche discriminatorie all’interno dell’esercito, ndr)». Il risultato più grande, per la storica attivista, è quello della visibilità della comunità. Oggi il 71% degli americani, secondo i dati Gallup del 2023, sostiene il matrimonio tra persone dello stesso sesso. «I giovani fanno coming out presto perché hanno modelli in cui si riconoscono. Non c’è più nessuno che possa dire di non conoscere qualcuno che sia Lgbt. Ma da ciò deriva la responsabilità di educare le famiglie, le scuole, le comunità». Renna parla di un movimento in progress dati gli obiettivi ancora lontani. Come una legislazione federale che garantisca protezione sul posto di lavoro. «Possiamo essere licenziati in quasi la metà degli Stati semplicemente perché Lgbt».

 

È proprio a livello statale, nelle amministrazioni a guida repubblicana, che si concretizzano i timori più forti. «Negli ultimi due anni abbiamo visto centinaia di disegni di legge discriminatori che spaziano dall’accesso all’assistenza sanitaria, al permesso ai giovani trans di praticare sport. Questo clima influenza la salute mentale dei giovani. I bambini sono vittime di bullismo quattro volte più di prima nelle scuole». Un esempio per tutti, la Florida del governatore Ron DeSantis. Tra le misure, il divieto agli educatori di parlare di orientamento sessuale o identità di genere, di usare pronomi non binari all’interno delle scuole e quello che proibisce l’uso dei bagni ai trans in base alla propria identificazione. «Quel che accade lì è poi replicato in altri Stati».

 

Joe Biden firma alla Casa Bianca il Respect for Marriage Act, la legge federale sui matrimoni tra persone dello stesso sesso

 

A terrorizzare la comunità è anche l’attuale Corte Suprema a maggioranza conservatrice. «I giudici, trovato il caso giusto al momento giusto, potrebbero fare di tutto per annullare le protezioni che la comunità Lgbt ha ricevuto sinora», mette in guardia Neil Giuliano, primo sindaco – tra l’altro in quota Gop – apertamente gay d’America, eletto a Temple in Arizona nel 1994. I nove saggi (o meglio i sei repubblicani) nel 2022 abolirono la storica sentenza Roe vs. Wade che da cinquant’anni garantiva a livello federale il diritto all’aborto, rimandando ogni decisione ai singoli Stati. In quella occasione il giudice Clarence Thomas accennò alla possibilità di riconsiderare altre sentenze come quelle che codificano contraccezione, relazioni omosessuali e matrimonio tra persone dello stesso sesso. «Se quel momento dovesse mai arrivare saremo in grado di opporre resistenza tutti insieme, la società civile è più aperta della classe politica verso le persone Lgbt».

 

Al momento, l’unica reale garanzia è quella di avere un forte alleato nello Studio Ovale, spiega a L’Espresso Giuliano, oggi democratico, ricordando come da vicepresidente Joe Biden accelerò la presa di posizione ufficiale della Casa Bianca quando nel 2012 espresse il suo sostegno all’uguaglianza dei matrimoni prima che lo facesse Barack Obama. Nel 2022 – sulla scia del panico seminato dall’abrogazione di Roe – ha voluto fortemente il Respect for Marriage Act, la legge bipartisan approvata dal Congresso che sancisce la protezione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.

 

«Biden ha anche nominato il primo ministro Lgbt, Pete Buttigieg (a capo dei Trasporti)», concorda David Wilson. Un possibile Trump-bis non può che destare grandi ansie. Ecco perché la comunità dovrà lavorare duramente affinché il prossimo 5 novembre Biden venga riconfermato presidente. La chiave, risolvono Wilson e Compton, è un’alleanza di ferro con le donne. «I repubblicani sottovalutano l’indignazione suscitata dopo l’abrogazione del diritto all’aborto. Nei prossimi sei mesi lavoreremo con tutte le minoranze, unendoci per battere Donald Trump».