Medio Oriente in fiamme

«Noi, sotto i missili di Israele. Non siamo di Hezbollah, ma è rimasta l'unica difesa del Libano»

di Marina Pupella, dal confine tra Libano e Israele   16 febbraio 2024

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Tra la popolazione meridionale sotto le bombe anche chi non ha simpatie per le milizie filoiraniane ne riconosce l’utilità nella totale assenza dello Stato

«Non fate foto e video, almeno in auto, potrebbe insospettire i miliziani di Hezbollah», avverte la nostra guida Hassan, mentre percorriamo la strada che costeggia il porto di Beirut. Seguiamo il consiglio e riponiamo le fotocamere negli zaini. La tensione in Libano oggi è più evidente rispetto a ottobre, quando nel Sud del Paese sono iniziati gli scambi di razzi e artiglieria da una parte e dall’altra della Linea blu, fra le Forze di Difesa israeliane (Idf) e Hezbollah. Alla preoccupazione che la guerra di Israele contro Hamas possa deflagrare in un conflitto sull’intero territorio, coinvolgendo la resistenza sciita appoggiata dall’Iran in Libano, Yemen, Iraq e Siria, si aggiunge una forte diffidenza nei confronti di chiunque, soprattutto se stranieri. Gli attacchi chirurgici di Israele contro uno dei leader di Hamas Saleh al Arouri proprio a Dahyeh, feudo di Hezbollah nella periferia meridionale della capitale, così come l’attentato a Wissam Al Tawil, uno dei comandanti delle forze Radwan, milizia d’élite del movimento, hanno fatto crescere tra i suoi membri l’allarme spie.

 

«Nel Paese si nascondono ancora uomini di Hamas – riferisce una fonte che chiede l’anonimato – d’altro canto dove potrebbero andare? Nessun luogo è sicuro per loro, con il Mossad che gli dà la caccia». Quasi tutti, in quella che fino agli anni ’70 era considerata la Svizzera del Medio Oriente, si sarebbero aspettati una reazione importante da parte di Hezbollah che, «solo in caso di morte di qualche personaggio importante», ripetevano in molti, avrebbe spinto i suoi super missili Kornet ben al di là dei 3-4 chilometri oltre il confine. «Una risposta del Partito di Dio a quell’attacco, rafforzerebbe Netanyahu», spiega Ghassan Jawad, uno dei più noti analisti geopolitici libanesi vicino a Hezbollah, accogliendoci nella sua casa di Alay, a 20 chilometri da Beirut. «Ha colpito, però, la base dell’aviazione militare sul monte Meron, senza prestarsi al gioco del premier israeliano. Ci sono dei negoziati indiretti fra Teheran e Washington, di cui tutto l’asse della Resistenza è al corrente, per fare pressione e fermare le ostilità a Gaza. Hezbollah non ha interesse a una guerra, intende distogliere l’attenzione di Tel Aviv, cercando di mitigare gli attacchi sulla Striscia. Sta agendo razionalmente, perché è consapevole, come Israele, del fatto che un conflitto allargato avrebbe conseguenze altamente devastanti in tutta la regione». «Vorrei chiarire – aggiunge Ghassan – che il 7 ottobre è arrivato in un momento cruciale per la Repubblica islamica, che stava ricucendo i rapporti con Riad. La guerra ha rimescolato le carte a suo sfavore e, come hanno dimostrato i palestinesi, non ha fondamento la tesi che Teheran sia il burattinaio delle forze di liberazione come sostengono alcuni Paesi arabi, Israele e Occidente. Supportando l’asse, sta solo riempiendo il vuoto lasciato dagli altri Stati arabi, che hanno abbandonato i palestinesi al loro destino. E contrariamente all’opinione diffusa che si tratti di una guerra per proxy Hezbollah non sta difendendo l’Iran (riceve tuttavia le sue armi attraverso la Siria, ndr), ma i villaggi libanesi del Sud. Gli Houthi yemeniti stanno bloccando le navi dirette verso Israele in risposta all’assedio di Gaza».

 

Se a Beirut il clima è caldo, al Sud diventa infuocato. Già all’ingresso di Sidone, a 60 chilometri dal confine con Israele, le bandiere gialle con la Sura V del Corano sventolano per centinaia di metri e ricordano che da lì inizia il regno del «figlio prediletto di Teheran». Nell’impasse governativa che dura da più di un anno, con un esecutivo stabilmente ad interim, il Partito di Dio ha assunto il controllo del territorio centro-meridionale, coadiuvato dalle esigue milizie del partito sciita Amal, al cui vertice è il presidente del Parlamento Nabih Berry, del Partito Nazionalista e da poche frange sunnite. È il “fronte della Resistenza”, nelle cui file militano giovani e anche professionisti originari dei villaggi come Kfar Kila, Mays al-Jabal, Blida, Aita al Shaab, Naqoura, solo per citarne alcuni, colpiti dal fuoco israeliano.

 

Dimostranti pro Hezbollah durante i funerali del comandante Wissam Al Tawil, nel villaggio di Khirbit Selem

 

Si avverte una sorta di quiete prima della tempesta a 700 metri di altezza dal fiume Litani, nel castello di Beaufort, antica fortezza crociata nell’estremo Sud-Est, poco distante dal centro sciita di Arnoun e a 6 chilometri dalla frontiera israeliana. Si scrutano gran parte del Libano meridionale, del Nord di Israele, comprese le alture siriane del Golan, innevate in questo periodo dell’anno. La sua posizione strategica è servita all’Olp dal 1976 al 1982 per bombardare il Nord di Israele e fino al 2000 all’Idf come base di osservazione. Qui è possibile vedere Kyriat Shmona e le fattorie di Sheeba, queste ultime in territorio libanese, passate sotto il controllo di Gerusalemme dopo la Guerra dei Sei Giorni. Il rumore assordante di droni israeliani irrompe nel silenzio che circonda il castello. «Da quando sono iniziati gli scontri tra Hezbollah e le forze israeliane, missili giungono sempre vicino alla fortezza – racconta il custode Ahmad Ghazal – prima del 7 ottobre i turisti erano tanti, oggi siamo chiusi. Ecco, ora ci sarà l’esplosione, succede sempre dopo il passaggio dei droni». Un forte boato e un’intensa nuvola di fumo nero si alza a meno di 2 chilometri, per fortuna il missile ha colpito un’area disabitata. Diversi villaggi sono stati evacuati, tra cui Kfar Kila, Mays al-Jabal, Blida. «La mia casa è stata bombardata e anche se non ha subito gravi danni, la zona resta off limits almeno fino alla fine della guerra – si sfoga Zaina Mrad, sfollata di Kfar Kila e ospite assieme ad altre 17 famiglie del resort di lusso a 50 metri da Beaufort – non c’è rabbia o rancore verso Hezbollah, perché quello a cui stiamo assistendo a Gaza è orribile. Quando vedo le immagini di donne e bambini uccisi, crede che non debba amare la Resistenza? Noi non siamo di Hezbollah, siamo gente comune che apprezza quanto sta facendo per noi e per il Libano».

 

Dall’inizio dell’offensiva nel Paese dei Cedri sono morte 151 persone e 132 sono rimaste ferite e il numero è destinato ad aumentare. Forze politiche e popolazione si dividono tra i sostenitori del partito di Nasrallah e chi si oppone alla presenza di un esercito non regolare. Ma quasi tutti concordano sul fatto che esso costituisca la «difesa del Libano», con uno Stato ridotto in miseria e non in grado di aiutare persino chi è rimasto senza un tetto. Passano pochi minuti dal nostro incontro con le famiglie sfollate e un vicecapo area del movimento filoiraniano irrompe nel resort, chiedendoci passaporti, autorizzazioni del ministero dell’Informazione e fotocamere. Sequestra tutto fino all’arrivo del suo superiore che, dopo essersi scusato più volte per il modus operandi del collega, controlla i nostri taccuini e cancella tutte le foto. «Tu non sai quel che sappiamo noi», dice alla nostra guida, il miliziano. Qualcuno li aveva avvisati dell’incomoda presenza di «talieni», che scattavano foto e facevano domande.