Nato venti anni fa, è tornato di recente alla ribalta per l'opposizione di molte università italiane alla collaborazione con gli atenei di Tel Aviv. «Sempre più persone in Italia, tra sindacalisti, artisti, studenti e attivisti stanno uscendo allo scoperto contro il genocidio e l’apartheid» spiega Omar Barghouti, uno dei fondatori

«Ci impegniamo a non accettare inviti professionali in Israele né finanziamenti da istituzioni legate al suo governo, finché non rispetterà il diritto internazionale e i princìpi universali dei diritti umani». Con queste parole è stata lanciata online, il 3 aprile scorso, “Artists for Palestine – Italia”, la piattaforma che ha già raccolto quasi 300 adesioni di personalità del mondo della cultura e dello spettacolo italiani. Un’azione concreta di boicottaggio, legata alle azioni del Bds, cioè il movimento a guida palestinese per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro le politiche di Israele nei confronti degli stessi palestinesi. Un movimento fondato, tra gli altri, da Omar Barghouti, difensore dei diritti umani palestinese e vincitore del Premio Gandhi per la Pace nel 2017.

 

«In mezzo alle tenebre del genocidio, i palestinesi vedono la luce della speranza nel massiccio aumento del sostegno al Bds a livello globale, anche in Italia», commenta il cofondatore: «Quella degli artisti è solo l’ultima iniziativa di mobilitazione italiana. Le migliaia di accademici nel vostro Paese che hanno firmato dichiarazioni in cui chiedono di tagliare i legami con le università israeliane complici; gli studenti che si mobilitano negli atenei di tutta la Penisola; i senati accademici dell’Università di Torino e della Scuola Superiore Normale di Pisa che hanno votato contro il recente bando ministeriale per la ricerca scientifica con Israele. Sono tutti chiari esempi di questa tendenza».

 

Da tempo si discute se boicottare o no le collaborazioni culturali, ma Barghouti spiega che «il boicottaggio culturale contro Israele prende di mira le istituzioni, non gli individui, e punta alla complicità, non all’identità. Queste iniziative servono a far sapere ai palestinesi, in generale, e a quelli che vivono l’inferno del genocidio e della fame a Gaza, in particolare, che non siamo soli. Mentre il governo italiano di estrema destra, come molti governi occidentali, è connivente con i crimini di Israele contro di noi, sempre più persone in Italia, tra sindacalisti, artisti, studenti, femministe, attivisti per il clima, attivisti queer e altri stanno uscendo allo scoperto e dicono ad alta voce: “Rifiutiamo la complicità nel genocidio e nell’apartheid! Saremo al fianco degli oppressi contro l’oppressione ovunque, anche in Palestina”».

 

Il movimento Bds rappresenta una forma nonviolenta di solidarietà con la lotta dei palestinesi per il riconoscimento dei loro diritti. Nato nel 2005, è guidato da un’ampia coalizione di voci della società civile palestinese e si ispira alla lotta anti-apartheid sudafricana e alla lotta per i diritti civili negli Stati Uniti. Per Barghouti, c’è stata una progressiva esportazione del modello israeliano di controllo delle masse. «Il regime di oppressione di Tel Aviv, un modello per gran parte dell’estrema destra mondiale, danneggia non solo i palestinesi, ma anche milioni di altre persone in tutto il mondo. Oggi Israele è un partner dei gruppi fascisti in Occidente, la maggior parte dei quali sono antisemiti, oltre che dei regimi autoritari e di estrema destra. Vende le sue tecnologie di sicurezza militare e le sue dottrine coloniali come “testate in battaglia”, principalmente sui corpi di palestinesi e libanesi», commenta il cofondatore del Bds: «Attraverso l’esportazione delle sue strategie militari e dei suoi strumenti di controllo, come Pegasus, lo spyware prodotto da Nso Group, Israele si è reso colpevole per decenni non solo della sorveglianza illegale in Occidente, ma anche dei crimini di guerra perpetrati dalle dittature di tutto il mondo».

 

Il Bds fa riferimento anche alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1982 che invitava tutti gli Stati membri ad applicare le seguenti misure contro Israele: embargo militare bidirezionale; sospensione dell’assistenza e della cooperazione economica, finanziaria e tecnologica con il Paese; interruzione delle relazioni diplomatiche, commerciali e culturali con lo stesso. Il Bds ha sempre chiesto sanzioni legittime, etiche, mirate e proporzionate.

 

«Dalla fondazione del nostro movimento, ormai quasi vent’anni fa, il regime israeliano di colonialismo e apartheid, vecchio invece di quasi 76 anni, si è spostato radicalmente all’estrema destra. Parallelamente, anche il movimento Bds è cresciuto in maniera notevole ed è riuscito sempre più a isolare il regime oppressivo di Israele a livello di base e di società civile. In un momento di genocidio, il nostro obiettivo di porre fine all’occupazione e all’apartheid e di sostenere il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi può sembrare idealistico o addirittura un sogno. Ma non è così», continua Barghouti. «L’attività principale del Bds consiste nel condurre campagne e nell’organizzare iniziative di advocacy per porre fine alla complicità di Stati, aziende e istituzioni nel regime di colonialismo e apartheid di Israele, che dura troppo tempo. Negli ultimi sei mesi, abbiamo iniziato a vedere i risultati dei molti semi che abbiamo piantato e coltivato in questi anni di esistenza del movimento. L’impatto del Bds sta iniziando a raggiungere gli Stati e a diffondere la necessità di imporre sanzioni legittime e mirate contro Israele, come adempimento degli obblighi legali di questi stessi Stati ai sensi del diritto internazionale per contrastare i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e ora il genocidio di Israele. La nostra teoria del cambiamento è “dal basso verso l’alto”, il che significa costruire il potere della base e della società civile in modo graduale, sostenibile e sensibile rispetto al contesto per influenzare il cambiamento delle politiche. Negli ultimi 19 anni, e ben prima dell’attuale genocidio, il movimento Bds ha costruito in tutto il mondo una rete enorme, sostenuta da sindacati, coalizioni di agricoltori e movimenti per la giustizia razziale, sociale, di genere e climatica che rappresentano decine di milioni di persone. Ha fatto sì che grandi multinazionali come G4S, Veolia, Orange, Hp, Puma e altre mettessero fine, del tutto o in parte, alla loro complicità nei crimini di Israele e che i fondi sovrani, tra cui Norvegia, Paesi Bassi, Lussemburgo, Nuova Zelanda, nonché la Fondazione Bill e Melinda Gates, disinvestissero da aziende e banche israeliane o internazionali implicate nell’occupazione di Israele. Di fronte al genocidio di Israele, il primo genocidio televisivo della storia, i palestinesi non chiedono al mondo la carità, ma una solidarietà significativa. Ma, prima di entrambe, chiediamo la fine della complicità».

 

Con ancora fiducia, oppure no, nel diritto internazionale? «Sebbene dominato dalle potenze occidentali egemoni, il sistema giuridico internazionale è stato costretto di tanto in tanto a condannare e a denunciare i crimini israeliani, come stiamo vedendo con la Corte internazionale di Giustizia, nonostante le sue carenze – conclude il cofondatore del Bds – Israele, con il sostegno degli Stati Uniti e di altre potenze occidentali, sta sfidando apertamente e vanificando sia una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sia le misure provvisorie della Corte internazionale di Giustizia. E lo fa intensificando il suo genocidio in diretta streaming, persino usando l’arma della morte per fame di 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza. La via legale, circoscritta dall’influenza implicita ed esplicita di Stati Uniti ed Europa, non può da sola portare giustizia agli oppressi, come abbiamo sempre saputo e come la maggior parte del Sud globale riconosce oggi. Questo percorso è ancora uno strumento necessario, ma insufficiente che gli oppressi possono utilizzare per ottenere giustizia. Il fattore principale, però, è sempre stato e sarà sempre la costruzione di una massa critica di potere popolare dal basso per sfidare, disturbare e infine minare i poteri egemonici al di sopra. Ora che abbiamo il massimo che possiamo aspettarci, ossia una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e il lavoro dei magistrati della Corte internazionale di Giustizia, il movimento Bds sta spingendo più che mai per ottenere sanzioni opportune e misure di responsabilità da parte delle istituzioni. Non c’è altro modo».