L’evacuazione ad Al Shifa, l’enorme pressione sul centro clinico europeo. E le appena undici strutture rimaste funzionanti (ma a regime ridotto) sulle trentasei totali. Il racconto del lato più nero del conflitto da un chirurgo in prima linea

«Questa è una guerra agli ospedali, come può un esercito combattere contro i pazienti e il personale medico?». Il grido che arriva dai sanitari della Striscia di Gaza e della Cisgiordania parte da questa domanda. «Stiamo attendendo le centinaia di persone ferite e sfollate da Al Shifa: pazienti che arrivano nel nostro ospedale mentre mancano letti, cibo, acqua potabile», racconta a L’Espresso via telefono satellitare Yousif El-Akkad, il direttore dell’European Gaza Hospital, raggiunto dopo 24 ore di interruzione delle comunicazioni con la Striscia.

 

«È un momento critico, abbiamo appena concluso una riunione con lo staff per aumentare il numero dei letti nelle stanze da quattro a dieci, aggiungendo materassi e addirittura tende. Anche se siamo in inverno e attendiamo le piogge, i pazienti feriti dovranno stare fuori con il maltempo». El-Akkad lavora a Gaza da 21 anni. «L’evacuazione del personale medico e dei feriti da un ospedale, come accaduto ad Al Shifa, è qualcosa che non si era mai visto».

 

Le voci dei medici che operano nella Striscia arrivano con difficoltà. Ibrahim Ebraheem, dottore all’Ospedale Al-Aqsa Martyrs a Deir al-Balah, contattato da L’Espresso a più riprese, racconta di notte le sue condizioni di lavoro, mentre ha perso i contatti con la famiglia sfollata durante il blackout provocato da Israele il 16 e il 17 novembre. «Stiamo aspettando i pazienti in arrivo da Al Shifa, ma la situazione nel nostro ospedale era già catastrofica».

 

Il personale sanitario sta pagando un prezzo altissimo. A dirlo è il bollettino di Ocha (l’Ufficio Onu per gli affari umanitari), che riporta quanto accade nella Striscia attraverso i dati forniti da enti pubblici e organizzazioni. Sono 198 i medici palestinesi uccisi dal 7 ottobre al 17 novembre secondo il ministero della Salute di Gaza, oltre a 103 dipendenti dell’Unrwa (Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi). Secondo gli amministratori dell’ospedale di Al Shifa, dall’11 al 17 novembre, 40 pazienti, tra cui quattro neonati prematuri, sono morti a causa della mancanza di elettricità.

 

Per l’Organizzazione mondiale della Sanità, il 17 novembre quasi il 75% degli ospedali di Gaza (25 su 36) non funzionavano a causa della mancanza di carburante, dei danni e degli attacchi. Undici strutture sanitarie in tutta la Striscia erano parzialmente operative, ma in grado di fornire ai pazienti «servizi estremamente limitati». L’unico ospedale che cura malati oncologici è invece fuori uso. A questo si sommano le operazioni militari avvenute direttamente negli ospedali. Per giorni, dal 15 novembre, le truppe israeliane hanno condotto incursioni all’interno del complesso ospedaliero di Al Shifa e hanno circondato l’ospedale battista Al Ahli, impedendo alle equipe mediche, come riportato da Ocha, di uscire e raggiungere i feriti in sicurezza. Le operazioni israeliane sono partite dalla convinzione che Hamas stesse utilizzando l’ospedale della città di Gaza per scopi militari, nascondendo armi nei bunker. Il 17 novembre, secondo quanto riportato dalle autorità di Tel Aviv, le forze israeliane hanno trovato vicino alla struttura sanitaria, e riportato in Israele, il corpo di una soldatessa dell’Idf (forze di difesa israeliane), che era stata presa in ostaggio il 7 ottobre.

 

«Nel nostro ospedale – ha commentato Yousif El-Akkad – lavorano equipe mediche internazionali. Abbiamo chiesto ai vari gruppi stranieri di controllare in ogni angolo, in ogni stanza per verificare che la nostra è una fondazione civile, che si occupa solo di fornire assistenza medica e servizi ai pazienti bisognosi». Per il medico, quella di Israele è solo propaganda: «Non è stato trovato nulla all’ospedale di Al Shifa, quello di cui stanno parlando è solo una grande bugia per avere una scusa per bombardare gli ospedali e forzare la gente del Nord a migrare nel Sud di Gaza e realizzare qualcosa che hanno in mente».

 

La preoccupazione per il futuro del conflitto coinvolge anche i medici della Cisgiordania. «Se succedesse qualcosa in Cisgiordania – spiega a L’Espresso Ali (nome di fantasia per proteggere la famiglia), chirurgo di Hebron e parte dell’Associazione dei medici palestinesi – potremmo arrivare ai livelli della Striscia di Gaza in breve. Non avremmo modo di offrire ai pazienti più di una o due settimane di cure. Perché ci manca tutto, il carburante c’è solo perché abbiamo un accordo tra l’Autorità palestinese e Israele. Se l’accordo saltasse, la situazione diventerebbe tremenda in poco tempo».

 

L’Associazione dei medici palestinesi ha diffuso pochi giorni fa una lettera indirizzata «a coloro che possiedono ancora una coscienza». «Tutto il mondo – continua il chirurgo – dovrebbe sapere che gli ospedali sono protetti dalla Convenzione di Ginevra. I civili scappano lì perché si sentono al sicuro. Al termine di questa guerra tutto il mondo vedrà la verità, vedrà le cose orribili che accadono a Gaza». L’appello per «un’azione internazionale urgente per porre fine agli attacchi in corso contro gli ospedali di Gaza» è arrivato da Unfpa, Unicef e Oms e rilanciato da molte associazioni, come l’organizzazione “Medici del Mondo”. Dai medici di Gaza parte invece la richiesta di soccorso alla comunità internazionale. «Chiediamo ai governi europei – conclude El-Akkad – di aiutarci: devono salvare l’umanità, devono salvare i pazienti feriti nella Striscia di Gaza. Dobbiamo fornire il servizio medico prima di trasformare gli ospedali in cimiteri, dove possiamo solo seppellire i pazienti, senza più avere la possibilità di curarli».

 

Una delle iniziative italiane per supportare le persone sfollate di Gaza, e in particolare quelle evacuate dagli ospedali, è “Sos Gaza”, una raccolta fondi (disponibile su gofundme.com) organizzata dal Mutuo soccorso Milano, Gaza Freestyle, Centro Vik-Vittorio Arrigoni, Acs- Associazione di cooperazione e solidarietà, Dis- Donne in Strada e Corte delle Madri. Con le donazioni verranno acquistati materiali di prima necessità fondamentali, come medicinali, articoli igienico-sanitari, materassi, cibo in scatola, alimenti per bambini. La raccolta e le altre operazioni hanno come base e riferimento il Centro di Scambio Culturale Vik-Vittorio Arrigoni a Gaza City.