America Latina
Elezioni in Messico: due donne si sfidano per guidare il Paese. Mentre la violenza aumenta
Diverse per origini ma simili per età, formazione e pure per programmi. Claudia Sheinbaum Pardo e Berta Xóchitl Ruiz si preparano per il voto del 2 giugno
Sarà una donna a guidare il Messico nei prossimi sei anni. L’altra metà del cielo conquista la terra impregnata di machismo e si impone con due candidate che si sfideranno nel voto del prossimo 2 giugno. Una rivoluzione, etica e politica. Mai, in oltre mille anni di storia, il grande Paese nordamericano aveva messo in lizza due esponenti femminili per la poltrona più ambita, quella di presidente. Accade adesso, nel secondo decennio del nuovo secolo.
Ai nastri di partenza ci sono loro. Due donne. Simili e insieme opposte. Hanno la stessa età, 61 anni, e sono entrambe ingegnere. La prima con una doppia laurea in Fisica e in Energia e Sviluppo sostenibile; la seconda, in Informatica. Stessa formazione culturale e professionale, ma con origini diverse. Quasi estreme. Una si chiama Claudia Sheinbaum Pardo, benestante, nata da genitori ebrei emigrati all’inizio del secolo scorso in Messico, per sei anni sindaca di Città del Messico, pupilla di Andrés Manuel López Obrador che le ha conferito lo scettro di Morena, il partito attualmente al potere.
L’altra è Berta Xóchitl Ruiz, figlia di un insegnante violento e di una lavoratrice domestica nelle case delle famiglie ricche messicane, meticcia della tribù Otoni, nata e cresciuta poverissima. Ha un merito. Che le viene riconosciuto e che sfrutta per dire che esiste anche qui il sogno americano, quello di emergere e persino guidare una nazione. È riuscita a risalire la scala sociale: da piccola ambulante che vendeva gelatine per strada, come ama spesso ripetere, fino a entrare nell’Olimpo della politica come senatrice del Pan, il tradizionale partito di centrodestra.
Una sfida tutta al femminile. Con un terzo candidato, unico maschio della contesa: Jorge Álvarez Máynez, 38 anni, del Movimento Cittadino. Un concorrente neanche scomodo: viaggia, secondo i sondaggi, con percentuali a una sola cifra. La partita si gioca solo tra le donne.
Per Claudia Sheinbaum, favorita, la strada è tutta in discesa. I sondaggi la confermano in testa, con un distacco di almeno 20 punti dalla sua rivale. Altera, pragmatica come sono gli scienziati, vanta un’ottima gestione del governo di una Capitale difforme e caotica, con quasi 8 milioni di abitanti. Ha affrontato con successo la crisi del Covid. È stata la sua prova del nove. Ha capito subito che si trattava di un virus pandemico. Ha imposto drastiche misure di contenimento, distribuito milioni di mascherine, organizzato tamponi e vaccini di massa. È riuscita a evitare la mattanza che altri Paesi del Sud America hanno invece subìto.
È stata allevata dall’attuale presidente, che la coccola, la protegge, la considera una sua creatura. La figura ideale per affrontare la “Quarta trasformazione”, il progetto base della sua proposta articolata in 100 punti. Intervistata dalla Bbc, ha spiegato bene di cosa si tratta. «Il Messico», ha detto, «ha vissuto tre trasformazioni nella sua storia: l’indipendenza, la riforma che divise la Chiesa dallo Stato e la terza, che fu la prima rivoluzione sociale al mondo del XX secolo, la Rivoluzione messicana. Ed è questa la quarta trasformazione. Con una sua specifica essenza: separare il potere politico da quello economico».
La delfina di Amlo – come viene chiamato con un acronimo il presidente Obrador – non nasce dal nulla. Si è formata politicamente negli anni dell’Università autonoma del Messico, l’Unam, culla delle migliori intelligenze non solo messicane, partecipando attivamente al movimento degli studenti di cui fu una delle leader. Ha alternato il suo impegno politico con il lavoro di ricerca nei laboratori inglesi e americani. È partita dal basso, come sindaca di Tlapan, carica che ha lasciato nel 2015 quando è stata candidata a sindaca di Città del Messico per la coalizione Juntos Haremos Historia (Insieme faremo la storia), composta da Morena, Partito Laburista e Verdi.
Berta Xóchitl paga lo scotto di essere stata scelta all’ultimo momento dal Partido Acción Nacional (Pam), cristiano-conservatore, e dal Partido Revolucionario Institucional (Pri), centrista: due forze tradizionali che da sempre si sono alternate al potere. Sconfitti, ridotti nei consensi, con l’adesione del Partido de la Revolución democratica, socialdemocratico progressista, si sono coalizzati nel “Frente amplio”. Una necessità, nonostante le differenze anche profonde, per tentare di riprendere la guida del Paese. Senza candidati presentabili, con alle spalle decenni di scandali per corruzione e di malgoverno, le tre forze hanno dovuto puntare su un nome nuovo, pulito, radicato tra la popolazione. Una donna, soprattutto, da opporre a un’altra donna.
La candidata indigena fatica a recuperare l’immagine compromessa e criticata di chi la sostiene. C’è un chiaro tentativo di dirottare all’ultimo i voti su Maynéz, favorendo il terzo candidato, uomo e quindi più rassicurante per l’elettorato maschile. Il Movimiento Ciudadano sta valutando se unirsi al fronte dell’opposizione. Un colpo di scena che potrebbe anche ribaltare il risultato. Ma Xóchitl è tenace. Non si dà per vinta. Con una personalità estroversa, a volte irriverente, punta sul suo passato, sulla sua storia di giovane studentessa brillante che ha conseguito una laurea di prestigio a pieni voti. Sul fatto che è diventata anche un’imprenditrice di successo fondando la Omei, una società specializzata in gestione e manutenzione delle infrastrutture intelligenti. Pluripremiata a livello internazionale, è stata riconosciuta dal World Economic Forum di Davos come «uno dei 100 leader globali del futuro del mondo».
Sono proprio le tribù, ormai inserite a pieno titolo nella società messicana, la sua base elettorale. Punta a diventare presidente con un motto che racchiude tutto il suo programma: «Il Messico merita di più». Berta Xóchitl è capace di sfoderare una grinta che pochi si aspettavano. Famosa la sua frase: «Mi candido senza paura». Un impegno e insieme un monito nei confronti di quanti, cartelli in testa, hanno trasformato questa campagna tra le più letali nella storia del Paese.
Nel voto di 98 milioni di cittadini si eleggono anche i governatori di nove Stati e i membri del Senato e della Camera. Oltre 30 candidati sono stati uccisi in agguati, spesso in pieno giorno e in mezzo alla folla. La criminalità agisce impunemente. Lo fa in queste occasioni: cerca di imporsi per dettare subito le regole di una convivenza con cui dovrà fare i conti chi prevarrà nelle urne. L’influenza dei cartelli nel tessuto economico è una realtà. Le influenze sulla politica sono un’ovvia conseguenza. Chi decide deve rispondere a chi muove una fetta consistente del Pil. Si tratta di fare una scelta. C’è chi ha puntato sulla guerra, come Felipe Calderón, trascinando il Messico in una scia di sangue e di dolore; chi ha optato per un accordo, come Enrique Peña Nieto, favorendo un solo cartello, quello del Chapo, ma subendo un ricatto che lo ha travolto. Chi infine, come Obrador, coniando la sua scelta sul motto: «Abbracci, non proiettili». Che si è rivelato un’arma spuntata.
Violenza e sviluppo economico sono i temi principali della sfida. Su entrambe le emergenze Scheinbaum e Xóchitl hanno ricette simili, ma con un approccio diverso. Per la criminalità, emergenza prioritaria con i 100 mila tra morti e scomparsi, la delfina di Obrador vuole continuare l’azione del suo mentore individuando le reali cause della violenza, consolidando la Guardia nazionale, rafforzando l’intelligence e la ricerca, riformando la magistratura troppo inerte davanti alla valanga di denunce. Sul piano economico vuole ridurre il debito pubblico per rilanciare l’educazione scientifica e gratuita con borse di studio, tasse agevolate, aumento di stipendi per il corpo docente. Continuerà ad aumentare il salario minimo, che è stato un cavallo di battaglia di Amlo. La candidata di “Fuerza y Corazón por México”, la coalizione d’opposizione, abbraccia invece una linea intransigente sulla violenza. Soprattutto su quella subìta dalle donne che in Messico continua a registrare numeri crescenti. Dati ufficiali sostengono che ogni giorno ci sono 10 femminicidi.
Il voto alla Casa Bianca, cinque mesi dopo, segnerà i nuovi rapporti tra Messico e Usa, che hanno legami commerciali ed economici rilevanti. Ci sono il tema dei migranti, quello ambientale, dello sviluppo energetico e tecnologico, quello dell’acqua e degli scambi. Per la prima volta il Paese nordamericano ha superato la Cina nelle esportazioni verso gli Stati Uniti. La delocalizzazione delle aziende americane ha nel mirino il Messico e questo apre alle speranze di nuovi posti di lavoro. Se Donald Trump vincerà a novembre sarà interessante vedere l’approccio del magnate con un suo omologo al femminile. A Città del Messico già ci si prepara all’impatto. Si studiano le mosse dell’avversario nella sua precedente amministrazione e le reazioni di Obrador. Ma senza eccessive preoccupazioni. «Con lui ci vuole tempo, pazienza, sangue freddo», suggerisce l’ex ministro degli Esteri, Marcelo Ebrard. «Puoi vincere, se lo capisci. Non è facile». Claudia Sheinbaum non si sbilancia: «Con chiunque arriverà avremo buoni rapporti. Difenderemo il Messico, vogliamo rapporti paritari». Più diretta Xóchitl: «Nella mia vita ho avuto a che fare con tutti i tipi di mascolinità. Non avrei problemi a confrontarmi con un personaggio complicato come Trump. Sono certa che si adeguerà alla novità».