Stati Uniti

«Trump sprezzante, giudice paziente, test decisivi»: il processo del secolo spiegato da chi l'ha seguito giorno per giorno

di Lisa Ferri*   11 giugno 2024

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La giornalista di Msnbc è entrata nell'aula del tribunale in cui The Donald è stato giudicato colpevole di tutti i 34 capi di imputazione. Un dibattimento pieno di colpi di scena

Finalmente, dopo sette settimane, non ho dovuto più catapultarmi dal letto alle 4:30 del mattino per correre al Tribunale del Sud di Manhattan nel quale Donald J. Trump era sotto processo. Conquistare un posto a sedere nell’aula, anche per giornalisti accreditati come me, è stata ogni volta un’impresa. Significava stare in fila per ore: al freddo, sotto la pioggia, al caldo. Nelle giornate più importanti - quelle con sessioni di apertura del dibattimento o conclusive, o quando nel banco dei testimoni sedevano personaggi noti quali Stormy Daniels o Michael Cohen - la coda iniziava ancora prima dell’alba. Volendo, ci si poteva rivolgere ai professionisti del tienimi-il-posto-in-coda, gli improvvisati Line Dudes, che montavano le tende la sera prima e per 50 dollari l’ora ti tenevano il posto nella fila. Le settimane del processo sono state il Hunger Games dei giornalisti, ma ne è valsa la pena. In cambio abbiamo avuto un posto in prima fila nel processo del secolo.

 

Sono stata in quel tribunale ogni singolo giorno, a volte nella sovraffollata sala stampa, a volte nell’aula stessa del tribunale, a pochi passi dall’ex presidente. Gli animi sono ancora caldi dopo che una giuria rappresentativa della popolazione ha dichiarato Trump colpevole di tutti i 34 capi di imputazione. E credetemi: qualunque cosa abbiate letto sulla tensione e sui i colpi di scena, dal vivo il processo a Donald Trump è stato ancora più drammatico.

 

Donald Trump non ha tenuta nascosta la sua ammirazione per noti mafiosi, quali Capone o Gotti. Ha parlato invece con ardore di come essi, quando erano sotto processo, non mostrassero mai paura o debolezza - un portamento che Trump ha palesemente tentato di emulare. Ogni mattina, entrava in aula e la scrutava, le labbra strette, stabilendo un contatto visivo con i suoi alleati e guardando accigliato gli altri. Quando i fotografi entravano all’inizio di ogni giornata per scattare la foto “ufficiale”, Trump guardava dritto nell’obiettivo come proiettando forza. Invece, come è stato ampiamente reso noto, durante le testimonianze e le argomentazioni degli avvocati, Trump teneva gli occhi chiusi. Talvolta appariva addirittura addormentato, altre sembrava che utilizzasse gli occhi chiusi strategicamente come a segnalare il suo essere al di sopra di tutto quanto avveniva nell’aula.

 

il giudice della Corte di Manhattan Juan Merchan

 

Onestamente, non gli si può dar torto. Sono stati giornate lunghe ed estenuanti. L’aula stessa era tutt’altro mondo dall’ambiente opulento cui Trump è abituato, con l’aggiunta di muri spogli, sedie in legno scomode, bagni sporchi. Quando il processo è iniziato il 15 aprile, nell’aula si gelava, una cosa della quale lo stesso Trump si è lamentato. Alla fine, con l’aumento delle temperature, il caldo era diventato insopportabile. Può darsi che Trump abbia tenuto spesso gli occhi chiusi semplicemente desiderando che tutto finisse, oppure che egli abbia effettivamente dormito, ma difatti gli eventi in quell’aula sono stati effettivamente scioccanti. Qualcuno dia avvio, per favore, al casting per la relativa produzione hollywoodiana, perché i testimoni principali - Michael Cohen, Stormy Daniels, David Pecker, Hope Hicks - sono stati tutti assolutamente avvincenti.

 

Hope Hicks, tanto per cominciare: quando l’ex modella diventata direttrice delle comunicazioni della Casa Bianca è scoppiata in lacrime sul banco dei testimoni, i sussulti si sono sentiti bene. E non era solo perché lei piangeva, ma anche per ciò che aveva detto. Aveva appena esposto una conversazione privata con Donald Trump in cui lui ammetteva i pagamenti in denaro a Stormy Daniels - un vero e proprio colpo da Ko da parte dell’accusa. David Pecker, l’ex editore del National Enquirer, considera Trump un amico e un mentore, eppure la sua testimonianza è stata schiacciante contro Trump. L’attività di Pecker di raccattare storie «avvincenti e dal successo garantito» per aiutare il suo vecchio amico può considerarsi deprecabile. Al processo però Pecker si è presentato come un nonnino ben intenzionato rendendo ancora più convincenti le parole che hanno collocato Trump sul proverbiale luogo del delitto.

 

Stormy Daniels ha testimoniato con tutta l’energia di una Julia Roberts che interpreta Erin Brokovitch. Quando gli avvocati di Trump hanno cercato di metterla a disaggio facendo leva sulla vergogna, non si è lasciata intimorire. Ha descritto come uscì dal bagno nella camera d’albergo di Trump per trovarlo disteso sul letto con indosso solo la biancheria intima. Ha descritto la sua sensazione della stanza che iniziava a girarle intorno e del sangue che le defluiva dalle mani. Più tardi, i pubblici ministeri hanno definito la Daniels un «promemoria ambulante e parlante» del fatto che quanto Trump disse nel nastro di Access Hollywood sull’afferrare le donne per i genitali «non erano solo battute da spogliatoio». E poi c’è stato Michael Cohen. L’ex faccendiere di Trump diventato la star dei testimoni, nonostante tutto il clamore sul suo essere una testa calda e un bugiardo, una volta salito sul banco dei testimoni è stato assolutamente imperturbabile.

 

Forse la figura più notevole in quell’aula è stato il giudice Juan Merchan, il quale, nonostante tutto ciò che Trump ha continuato a dire su di lui, si è comportato quasi come una figura biblica: giusto, paziente, gentile, equilibrato, determinato a proteggere i giurati e la santità dei procedimenti. Merchan è stato così gentile, infatti, che nelle poche occasioni in cui ha alzato la voce (di solito perché gli avvocati di Trump mettevano a dura prova la sua pazienza) l’intera aula si è subito seduta rivolgendogli tutta l’attenzione.

Non sappiamo che cosa succederà ora. Sarà Trump condannato a scontare tempo in carcere? Avrà il processo un peso nelle prossime elezioni? Non è chiaro. Possiamo però trarre conforto dal fatto che il sistema giudiziario americano ha funzionato e, almeno per ora, lo Stato di diritto in America è ancora vivo e vegeto.

 

 

*Lisa Ferri è giornalista-producer per la catena televisiva Msnbc. In passato ha lavorato anche per la Cbs e la Abc e ha vinto un Grammy Award

 

** Traduzione di Marina Lazzerini