L’ex governatrice della Carolina del Sud ha già ricevuto endorsement importanti. E soprattutto quello di Wall Street dove ha raccolto finanziamenti generosi

Quando nel 2004 decise di sfidare il candidato uscente, decano del partito repubblicano, per il seggio alla Camera della Carolina del Sud, tutti la davano per perdente. Vinse al ballottaggio, staccando Larry Koon di 10 punti. Pochi avrebbero scommesso su di lei anche quando nel 2010 si presentò alle primarie Gop per l’elezione del governatore. “La favola continua”, titolarono invece i giornali il giorno dopo la vittoria che permise a Nikki Haley di ipotecare qualche mese più tardi la poltrona. Il suo nome entrò nella storia, diventando infatti la prima donna a ottenere quella carica nello Stato; mentre a livello nazionale fu la seconda di origini indiano-americane. 

 

Con un curriculum del genere, nessuno si stupisce se oggi, nonostante il distacco a doppia cifra da Donald Trump, Haley abbia convinto una parte del partito, i media e i donatori anti-Trump, che la sfida per la nomination repubblicana non sia ancora chiusa a poche settimane dall’inizio delle primarie, anche per i guai giudiziari che The Donald continua ad accumulare. Da settembre i sondaggi la vedono in crescita, tanto che ormai sembra scontato che sarà una battaglia tra lei e l’ex presidente, sotto la cui amministrazione aveva ricoperto il ruolo di ambasciatrice all’Onu.

 

L’agenda di Nimarata “Nikki” Randhawa, questo il nome completo prima di sposarsi con l’imprenditore Mike Haley, cinquantuno anni, è quella del conservatore tradizionale, rispettoso delle istituzioni: lotta all’immigrazione illegale, tagli fiscali, meno regolamentazione, bilancio in pareggio, aumento dell’età pensionabile. In politica estera, non è isolazionista come l’ex presidente e ha più volte affermato sostegno a Israele e all’Ucraina.

 

Più moderata, anche se equivoca, la posizione sull’aborto: pro-life, ritiene che questa sia una questione privata che non vada politicizzata, di competenza comunque degli Stati. Ballerino anche il rapporto con l’ex presidente che ha prima criticato, poi sostenuto, allontanandosene di nuovo, senza però mai chiudere del tutto.

 

«La popolarità dell’ex governatrice sta crescendo grazie all’aggressività con cui ha saputo condurre i dibattiti. Ha dimostrato di essere molto intelligente, forte e veloce nell’attaccare gli avversari e nel difendersi», ci spiega Molly Ball, scrittrice e giornalista del Wall Street Journal. Il 15 gennaio sarà l’Iowa a dare il via al ballo delle primarie, seguono il 23 il New Hampshire e a febbraio la Carolina del Sud. Haley punta a non distaccarsi troppo da Trump nei primi due voti, ma a vincere in casa il terzo Stato, in modo da ribaltare per le tappe successive la narrativa che l’ex presidente sia incontrastato. Qualche successo lo ha già ottenuto. Prima di tutto, l’endorsement del governatore del New Hampshire, Chris Sununu, che le ha fatto acquistare qualche punto nei sondaggi. Tra i più recenti, quello della Cbs, che con il 29% dei favori la vede unica vera alternativa all’ex presidente, saldo al 44%.

 

C’è poi l’infusione di liquidi nella sua campagna da parte dei supporter anti-Trump. Fondamentale l’appoggio di American for Prosperity, organizzazione che fa riferimento al miliardario Charles Koch. Anche la base Gop di Wall Street è dalla sua parte. «Sarà difficile battere Trump, però tutto può accadere in politica – dice Ball – quando un candidato ha un momentum, le cose possono cambiare in fretta». E in effetti, più gli elettori hanno la possibilità di vederla in azione, più pare si innamorino di lei. Al contrario di quanto sta capitando a Ron DeSantis, governatore della Florida, ritenuto solo pochi mesi fa il successore di Trump e oggi caduto nell’ombra. «Haley è una donna, figlia di immigrati – continua Ball – se venisse eletta romperebbe molti soffitti di cristallo. La sua storia dice che è capace di fare cose che nessun altro candidato ha fatto prima».

 

Oggi il picco di popolarità non impensierisce solo il popolo Maga (Make America Great Again), ma anche i democratici. Nell’ultimo sondaggio del Wall Street Journal, a livello nazionale batterebbe il presidente Joe Biden di 17 punti; mentre Trump, se le elezioni fossero oggi, lo supererebbe solo di 4. Il partito del presidente è in subbuglio. Vari analisti hanno persino ipotizzato che se Haley dovesse inaspettatamente vincere, l’inquilino della Casa Bianca potrebbe annunciare la sua rinuncia alla ricandidatura durante la Convention del prossimo agosto.

 

«Possibile, ma molto difficile – spiega David Darmofal, professore di Scienze politiche nell’Università della Carolina del Sud, lo stesso Stato della repubblicana – sicuramente, se fosse lei a correre per la Casa Bianca sarebbe più evidente il contrasto con Biden legato all’età e al genere. Credo che i dem cercherebbero a quel punto di focalizzarsi di più sui risultati ottenuti da governatrice. Su certi aspetti, lei è più conservatrice di Trump, ad esempio sulla previdenza sociale e nell’opposizione ai sindacati».

 

C’è inoltre da dire che se non fosse quello del tycoon il nome nella scheda elettorale,  l’affluenza alle urne potrebbe essere minore, lasciando a casa chi non ama Biden, ma avrebbe votato solo per evitare la “catastrofe” di un Trump bis. Potrebbero esserci anche molti indipendenti ad appoggiarla. A farle gioco, la bassissima popolarità dei due “vecchi” e l’incertezza in cui vive il leader Maga a causa delle sue beghe legali.

 

Haley, che per distanziarsi dal presidente e da Trump ha giocato la carta dell’età, usa meno quella di genere. «Che vinca la miglior donna», ha detto, puntando più sull’elemento della competenza. I tacchi, che porta sempre senza mai manifestare stanchezza, non sono una «dichiarazione di moda, mi servono per dare calci quando vedo qualcosa che non va». I suoi miti sono d’altronde due donne fortissime: Margaret Thatcher, la lady di Ferro, e Hillary Clinton, che ha spesso criticato, ma a cui si è ispirata quando ha deciso di entrare in politica. Moglie e madre, come ama ripetere, quando ha presentato la sua candidatura a febbraio ha detto: «Non credo ci sia bisogno di avere 80 anni per diventare leader a Washington. È arrivato il tempo di una nuova generazione di leadership».