Dopo 14 anni di potere indiscusso c'è un oppositore in grado di sfidare il dominio di Fidezs, il partito del primo ministro. Si chiama Peter Magyar e conosce la macchina della propaganda dall'interno

Erano in migliaia a riempire Piazza degli Eroi, lo scorso 8 giugno a Budapest, la capitale dell’Ungheria. Stretti uno accanto all’altro, con le braccia alzate e le bandiere di Tisza al vento: i sostenitori di Péter Magyar lo acclamavano senza remore. È il primo leader dell’opposizione, da quando Viktor Orbán è al potere, capace di far tremare Fidesz, anche se il partito che governa il Paese dal 2010 non lo ammette. «Abbiamo sconfitto l’apatia», «ci diamo speranza a vicenda», «stiamo costruendo un Paese dove non esiste né destra né sinistra, ma solo gli ungheresi», ha detto il neoleader del Partito del Rispetto e della Libertà (Tisza) alla folla che applaudiva.

 

Non è la prima volta che succede. Da quando l’avvocato 43enne Magyar ha lasciato Fidesz, lo scorso febbraio – dopo lo scandalo che aveva coinvolto l’allora ministra della Giustizia Judit Varga, sua ex moglie, e l’ex presidente dell’Ungheria Katalin Novàk, per avere concesso la grazia a un uomo che era stato condannato come complice in un caso di abusi sessuali sui minori – raduna nelle piazze decine di migliaia di oppositori di Orbán, stanchi della corruzione, delle politiche di governo e di non avere voce. Tanto che, secondo i sondaggi ancora prima che gli elettori conoscessero il nome del partito di cui avrebbe fatto parte, Magyar avrebbe ottenuto almeno il 10 per cento dei consensi alle elezioni europee.

 

Neanche quattro mesi dopo l’annuncio della candidatura, domenica 9 giugno 2024, quando gli ungheresi si sono recati alle urne per votare sia alle Amministrative sia alle Europee, più motivati a esercitare il proprio diritto/dovere rispetto al resto dell’Unione, dove l’affluenza si è fermata al 50 per cento (in Ungheria ha raggiunto il 60), a Tisza è andata molto meglio del previsto: 29,6 per cento dei consensi e 7 seggi al Parlamento europeo, solo quattro in meno rispetto a quelli ottenuti da Fidesz che resta il primo partito del Paese ma perde 8 punti rispetto al 2019 e per la prima volta si trova ad avere a che fare con un’opposizione tutt’altro che silente, in uno Stato in cui lo stato di diritto c’è ma traballa sotto i colpi della propaganda del partito al potere. Che dal 2020, dalla pandemia di Covid, quando ha dichiarato lo stato di emergenza, non ha più smesso di governare per decreti, emanando leggi decise senza contraddittorio con effetto immediato.

 

«Il voto del 9 giugno è stato fondamentale. Non solo perché ora Tisza manderà sette rappresentanti al Parlamento dell’Unione che entreranno a far parte del Ppe e dialogheranno con gli altri deputati del maggior partito europeo, al contrario di quelli Fidesz che sono stati espulsi, ma anche per il futuro dell’Ungheria, che si chiarirà nei prossimi due anni», spiega a L’Espresso Ivan L. Nagy, giornalista del settimanale di politica ed economia, Hvg (uno dei magazine più letti del Paese fin dalla sua fondazione nel 1979), riferendosi al fatto che nel 2026 gli ungheresi torneranno alle urne per scegliere il nuovo governo: «La decisione di far coincidere nello stesso giorno le elezioni europee e amministrative è stato un tentativo di Fidesz di indebolire l’opposizione, perché i partiti più piccoli formano alleanze diverse a seconda delle città, mentre per l’Europarlamento corrono divisi, creando confusione negli elettori. Ma l’operazione non è riuscita: il risultato di Magyar è stato straordinario, da zero a quasi il 30 per cento. Non basta, però, per sfidare sul serio Orbán. Ora il leader di Tisza ha due anni di tempo per costruire una struttura solida alle sue spalle, alla base del partito, che per adesso manca».

 

Secondo il giornalista politico di Hvg, infatti, Magyar è riuscito a conquistare gli elettori perché si è presentato come colui che ha svelato la corruzione e la macchina propagandistica del governo dall’interno, attirando grande attenzione: «È un volto nuovo ma con esperienza, competente e di destra, non estrema; è conservatore, come la maggior parte degli ungheresi. Mentre fino a oggi i leader dell’opposizione sono arrivati sempre dalla sinistra o dal versante socialdemocratico del Parlamento. Magyar ha anche beneficiato della situazione sfavorevole che l’Ungheria sta attraversando, in crisi economica, con un’inflazione molto alta: mentre Orbán racconta agli elettori che il Paese va avanti, nella vita reale la condizione di molte persone sta peggiorando. Tanti stanno iniziando a rendersene conto e anche a capire come funziona la macchina propagandistica del primo ministro». Soprattutto molti giovani che, infatti, lasciano l’Ungheria per cercare di costruirsi un futuro altrove, «il domani che Fidesz non è in grado di garantire loro qui. Sicuramente i giovani hanno un ruolo nel processo di trasformazione del Paese ma non sono loro i primi sostenitori di Magyar. È un politico di mezza età come altri, non il punto di riferimento delle nuove generazioni».

 

Così il leader del Partito del Rispetto e della Libertà, sebbene abbia dimostrato di avere strumenti convincenti per raggiungere gli elettori – il suo tour in 199 Comuni dell’Ungheria ha avuto grande successo, è riuscito a mobilitare una larga parte della popolazione, anche alcuni ex affiliati a Fidesz – e sebbene si presenti al Paese come il corrispettivo del presidente francese Emmanuel Macron, un leader capace di dialogare con gli altri Stati membri dell’Unione, per rompere l’isolamento a cui Orbán ha portato l’Ungheria, «ha una missione molto difficile da portare avanti nei prossimi anni, non dico impossibile ma complessa», ribadisce ancora Nagy, anche perché Orbán è consapevole di avere un nemico che gli sta con il fiato sul collo: «Insomma quello che succederà alle prossime elezioni è ancora tutto da vedere», conclude. Ma a chi guarda l’Ungheria da fuori sembra che ormai una falla nel pensiero dominante di Fidesz si sia aperta: la società civile chiede di essere ascoltata. E se non ci riuscirà Magyar arriverà qualcun altro a mettere in discussione la visione del primo ministro, al potere ininterrottamente da 14 anni.