Mondo
7 agosto, 2025Articoli correlati
Dal 7 agosto entrano in vigore le imposte statunitensi su prodotti di 92 Paesi: si va dal 10% del Regno Unito fino al 50 di Brasile e India. Mentre l'Ue sospende le contromisure, Donald è tornato a minacciare imposte al 35% (e fino al 250 per i prodotti farmaceutici). Tim Cook annuncia 100 mld di investimenti negli Usa
È scattata l’ora X. Dalla mezzanotte di oggi —7 agosto — sono entrati in vigore i dazi americani verso mezzo mondo (92 Paesi, per la precisione), tra cui quelli al 15 per cento sui beni europei importati negli Stati Uniti. Per il Vecchio continente, ma anche per gli altri Stati, l’impressione è che la partita sia ancora aperta e che le cose potrebbero cambiare nuovamente. In meglio o in peggio è difficile dirlo, con Trump alla Casa Bianca. Quel che è certo, finora, è che dal 7 agosto il commercio globale si trova a fare i conti con le imposte volute fortemente dal tycoon: si va dal 10 per cento al Regno Unito fino al 50 per cento riservato a India e Brasile. "È mezzanotte - ha scritto qualche ora fa Trump su Truth -. Miliardi di dollari in dazi stanno ora affluendo negli Stati Uniti d'America".
Per l’Europa, in assenza di un testo formale che blindi l’accordo raggiunto in Scozia tra Trump e von der Leyen, le uniche certezze sono dazi al 15 per cento sulla maggior parte dei prodotti e al 50 su acciaio e alluminio, ma resta aperto il rebus delle esenzioni. E, soprattutto, sul tavolo ci sono tutti quei corollari — dall’impegno ad acquistare gas al di là dell’Atlantico fino alle armi — che fanno da sfondo all’intesa. Con il presidente degli Stati Uniti, nel suo tipico stile “attacca e tratta”, che è tornato a minacciare imposte al 35 per cento, ben al di sopra della soglia che scatta oggi e mentre da Bruxelles, in segno distensivo, si è scelto per ora di sospendere le contromisure che erano sul tavolo. Trump, inoltre, ha già ipotizzato che i dazi per i prodotti farmaceutici potrebbero salire fino al 250 per cento, se le case in Europa non si decideranno a delocalizzare la produzione negli Stati Uniti.
Uno dei nodi principali riguarda, appunto, il gas. L’Ue ha promesso investimenti negli Usa per 600 miliardi di dollari (circa 550 miliardi di euro entro il 2029, oltre che un forte incremento delle importazione di Gnl americano per un valore di 250 miliardi l’anno per il prossimo triennio.
La strategia trumpiana colpisce gli Stati (anche) per obbligare le aziende private di tornare a produrre e investire in patria oppure, per quelle estere, di fare affari negli Stati Uniti. L’ultima in ordine di tempo ad aver assecondato i desideri del tycoon è stata Apple che, ieri, ha annunciato un piano da 100 miliardi di nuovi investimenti sul suolo americano, che si sommano ai 500 miliardi già programmati, riuscendo così a non finire nella blacklist e schivare dazi al 25 per cento su suoi dispositivi, con la componentistica che arriva principalmente da Cina, India e Vietnam. All’orizzonte — altro elemento che avrà convinto i manager dell’azienda fondata da Steve Jobs a impegnarsi a investire in patria — è la stangata annunciata (ma solo annunciata) su microchip e semiconduttori, con dazi che potranno arrivare “al 100 per cento”.
L’impegno di Apple è stato sugellato ieri pomeriggio, sera in Italia, direttamente da Trump e dal Ceo di Apple Tim Cook: “L’agenda economica America First sta garantendo migliaia di miliardi di dollari in investimenti che sostengono posti di lavoro americani e rafforzano imprese americano — ha detto il presidente Usa —. Ora riportiamo in patria anche la produzione di componenti tecnologiche critiche: una mossa cruciale per proteggere ulteriormente economia e sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Una vittoria per la nostra industria manifatturiera”.
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