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30 ottobre, 2025In Russia e nei territori occupati in Ucraina, scuole di indottrinamento puntano a creare nuove generazioni “patriotticamente orientate”. Un modello esportato anche in Africa
In alcune scuole della Russia e dei territori occupati in Ucraina, i bambini imparano a smontare un fucile d’assalto prima ancora di aprire un libro. È uno dei volti della guerra cognitiva, un conflitto silenzioso che non distrugge città, ma modella coscienze. «La mente di un bambino è come una spugna, assorbe qualsiasi informazione gli venga data», osserva Yuriy Boyechko, Ceo dell’organizzazione umanitaria Hope for Ukraine.
Tra le strutture più attive di questo sistema educativo parallelo c’è la Yunarmiya (Giovane Armata), fondata nel 2015 dall’allora ministro della Difesa Sergej Šojgu. Oggi conta 1,8 milioni di membri e 89 centri regionali. Lo stesso Šojgu, nel maggio scorso, ha dichiarato che le autorità russe stanno «sviluppando programmi di educazione militare e patriottica per preparare i giovani al futuro servizio in difesa della Russia».
Il leader del movimento è Vladislav Golovin, nome in codice Struna (“corda”), ex marine della Flotta del Mar Nero e oggi capo di stato maggiore della Yunarmiya. Decorato come Eroe della Russia dopo essere rimasto gravemente ferito dall’esplosione di una mina durante la battaglia di Mariupol, Golovin è diventato una figura centrale nella costruzione del mito patriottico russo. In un’intervista all’agenzia Tass, ha affermato che la Yunarmiya collabora con altri programmi patriottici, come Zarnitsa 2.0, Movimento dei Primi e persino con un videogioco, Squad 22: ZOV, ambientato nella città occupata di Mariupol.
«Se guardiamo al bilancio russo, hanno aumentato le spese per la propaganda: è la loro arma più efficace», aggiunge Boyechko. «Corrono contro il tempo per indottrinare anche i bambini deportati e far loro credere di essere russi». Il ministero degli Esteri ucraino sostiene che Mosca abbia destinato 66 miliardi di rubli (circa 733 milioni di dollari) alle politiche giovanili, con l’obiettivo di portare la percentuale di giovani “patriotticamente orientati” dal 40 al 70 per cento entro il 2030. Il colonnello americano Ray Finch, autore dello studio “Young Army Movement: Winning the Hearts and Minds of Russian Youth”, descrive questa strategia come un processo di “memorializzazione militare” per trasformare la guerra in un rito di appartenenza, un simbolo identitario più che un trauma collettivo.
La ricercatrice Jonna Alava, della National Defence University finlandese, evidenzia nel suo rapporto “Russia’s Young Army – Raising New Generations into Militarized Patriots” che la Yunarmiya include anche molte ragazze, ma in ruoli rigidamente tradizionali. Le cerimonie ne esaltano la “purezza e dolcezza”, mentre ai ragazzi è richiesto di incarnare la forza e la virilità. Un dualismo, sostenuto dalla Chiesa ortodossa russa, che lega il patriottismo all’idea di famiglia patriarcale come fondamento della “nazione eterna”. Nei territori occupati, le autorità russe hanno sostituito docenti, rimosso libri in lingua ucraina e introdotto lezioni dedicate alla gloria dell’esercito russo. «Vogliono che quei bambini crescano convinti di essere russi», avverte Boyechko. «Così, anche se un giorno torneranno a casa, penseranno come agenti del Cremlino».
Il controllo cognitivo non si limita all’infanzia. Nel 2024, Reporter senza frontiere (Rsf) ha denunciato l’apertura di scuole di giornalismo finanziate dallo Stato, destinate a formare giovani reporter “allineati” con la narrativa ufficiale. La più nota è la Shkola Voenkora di Tomsk, in Siberia, che offre corsi online gratuiti per futuri “corrispondenti di guerra” da inviare nei territori occupati. Gli insegnanti provengono da Rt (Russia today), Ria Novosti e Izvestia. «È una fabbrica di propagandisti», afferma Jeanne Cavalier, responsabile Rsf per l’Europa orientale. «L’obiettivo è reclutare giovani reporter disposti a diffondere il messaggio del Cremlino senza vincoli etici». Tra i promotori figurano il propagandista Sergej Mardan (Komsomolskaya Pravda) e Alexander Malkovich, deputato e fondatore di media filorussi in Ucraina, legato al defunto Evgenij Prigožin, capo del gruppo paramilitare Wagner.
Il modello si esporta anche all’estero. Nel 2023 nasce a Mosca l’African Initiative, agenzia finanziata da Viktor Lukovenko, anche lui vicino alla macchina propagandistica di Prigožin. L’organizzazione opera in Mali, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana, formando giovani giornalisti e diffondendo la narrativa pro-Cremlino nel continente africano. Secondo Rsf, tra i volti occidentali associati a questa rete figura l’italiano Vittorio Nicola Rangeloni, già reporter nel Donbass e autore del documentario “Africa Che”, che celebra «un’Africa liberata dall’Occidente». Per Cavalier, la presenza di giornalisti occidentali come Rangeloni serve a legittimare la propaganda del Cremlino, utilizzando voci percepite come indipendenti e linguaggi giornalistici apparentemente neutrali, ma ideologicamente orientati e privi di codici deontologici. In Italia, la penetrazione della narrativa filo putiniana si muove attraverso una rete di associazioni culturali e diplomatiche.
Tra le più attive, secondo il Center for Countering Disinformation di Kiev, ci sono Russia Emilia-Romagna e Vento dell’Est, che si presentano come promotori di dialogo e cultura, ma agiscono come piattaforme di propaganda. Eventi, convegni e iniziative di “diplomazia culturale” veicolano una narrazione centrata sull’“amicizia con la Russia” e sulla presunta russofobia occidentale. «Le parole costano poco» – osserva Boyechko – «ma alla lunga possono costare un’intera generazione».
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