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4 dicembre, 2025A novembre c’è stata la più grande avanzata russa dell’ultimo anno. Guadagni modesti rispetto alle perdite e ai mezzi impiegati. Ma aumenta anche il risentimento dei militari ucraini
Sono giorni di nebbia nell’Est dell’Ucraina, «buoni per spostarsi» dicono in molti, dato che i droni fanno fatica a identificare obiettivi al suolo quando è tutto coperto. «Ma ne approfittano anche i russi» spiega Kostia, soldato di una brigata di complemento arrivata da poco a Kramatorsk, «dentro Pokrovsk sono penetrati dovunque». Le ore senza la paranoia di venire colpiti da un drone sono rare ormai, e qualche soldato nelle seconde linee ne approfitta sapendo che non appena la nebbia si diraderà la battaglia si farà ancora più cruenta.
La morsa russa intorno a Kramatorsk, il capoluogo del Donetsk ucraino e la roccaforte designata per ciò che resta del Donbass, si stringe sempre di più e «da 8 direttrici diverse» dice il Comando orientale di Kiev. Osservando una cartina dell’area si vede che gli avanzamenti dei soldati del Cremlino non sono lineari ma si disegnano come linee spezzate, sporgenze e rientranze di un fronte lungo più di mille chilometri. Mentre gli occhi del mondo erano puntati su Pokrovsk, gli ufficiali russi provavano a sfondare a Sud e a Sud-Ovest, verso il Dnipropetrovsk e Zaporizhzhia e a nord, a metà con la regione di Kharkiv. Ci sono diverse cittadine che al momento sono minacciate da tre lati e rischiano di finire accerchiate. Delle strade che portavano a Kramatorsk non ne resta che una davvero praticabile (che non vuol dire sicura), il resto è costantemente sotto l’occhio dei droni. L’impressione sul campo è confermata da alcune analisi pubblicate negli ultimi giorni dall’Istituto per lo studio della guerra (Isw, un centro studi Usa) in collaborazione con il Critical Threats Project (Ctp, sempre Usa) per i quali «nel mese di novembre l'esercito russo ha compiuto la più grande avanzata sul fronte ucraino da un anno a questa parte», occupando 701 kmq. Si tratta di porzioni di territorio comunque minuscole rispetto ai mezzi impiegati, agli uomini morti e allo sforzo economico sostenuto dalla Federazione russa. Circa il 7 per cento del territorio ucraino era già controllato dai cosiddetti “filo-russi” prima del febbraio 2022, dopo il primo inverno di guerra (e la controffensiva ucraina) ci si è attestati intorno al 17 per cento, da allora (2023, 2024 e ormai 2025, tre anni di spargimenti di sangue) siamo di poco sopra il 19. Il che non vuol dire che se la guerra continuasse ancora quest’andamento sarebbe proporzionale, ben inteso, ma ci vuole miopia o molta malafede per chiamarla vittoria sul campo. Tuttavia, come ha scritto l’ex Comandante in capo delle forze armate ucraine, Valerii Zaluzhni, in un lungo articolo di fine novembre: «Bisogna considerare gli obiettivi di lungo termine e stabilire cosa vuol dire “vittoria”». Se, come sostengono in molti, per Mosca sarebbe una vittoria annichilire l’Ucraina al punto da impedirgli di riprendersi anche in futuro, il ragionamento cambia.
Dmitri, Ivàn e Yurii, sono tre artiglieri entrati nell’esercito a metà 2022. Negli anni hanno acquisito molta esperienza e ora fanno parte di una squadra che opera nei pressi di Pokrovsk, in uno dei luoghi più pericolosi di tutto il fronte. Erano in seconda linea a Bakhmut, hanno coperto la ritirata ad Andriivka e sono stati diverse settimane a Chasiv Yar. «Un bel tour dell’inferno» dice Dmitri ridendo. Raccontano che quando hanno chiamato la loro unità per Pokrovsk non pensavano che la situazione fosse già così compromessa. «Troppi errori prima» dice Ivàn, il più critico del gruppo. Rappresenta un ideal-tipo molto diffuso in Ucraina oggi: il militare risentito. I suoi post su Facebook, come quelli di altre centinaia di soldati trasudano rabbia contro gli imboscati, i renitenti, i fuggiaschi o i civili che chiedono la fine della guerra. «Come cavolo fanno a non capire che possono scrivere tutte quelle stronzate solo perché noi siamo qui a rischiare la pelle per loro?» Alla domanda su come vede l’Ucraina post-bellica si rabbuia. «Non lo so», dice, «io non sono uno che ha studiato, so solo che non potremo lasciare il Paese a quelli che non hanno fatto niente per difenderlo». E che ne pensa di Zaluzhni, sarebbe un buon presidente? «Di sicuro è uno che la guerra l’ha fatta e ai soldati ci teneva, non come…» si interrompe con un gesto della mano eloquente e parla d’altro. Al di là della rabbia di Ivàn il tema è centrale: in questo momento tra moltissimi militari ucraini cova un astio crescente verso coloro che non hanno combattuto, il governo di «corrotti» e i vertici militari. «Traditori» si legge spesso nei loro messaggi sui social network. E il rischio, per chiunque voglia vederlo, è che questo risentimento sia esasperato dalle condizioni che saranno imposte a Kiev per la fine della guerra.
Lo scandalo dell’indagine anti-corruzione «Mida» che ha travolto l’esecutivo di Zelensky fino a costringerlo a cacciare il suo braccio destro, Andriy Yermak, non ha ancora esaurito la sua carica esplosiva e promette nuove vittime illustri. Lo stesso Rustem Umerov, ex ministro della Difesa e attuale segretario del Consiglio di sicurezza nazionale nominato capo-delegazione per le trattative con Usa e Russia, è stato ascoltato dagli inquirenti, ma al momento non risulta indagato. Zelensky non poteva privarsi di tutti i suoi fedelissimi in una volta sola e, in una fase così delicata in cui si decide il futuro del Paese a Umerov è stato affidato l’incarico di insistere su due punti fondamentali: territori e garanzie di sicurezza. Proprio gli stessi sui quali Mosca non intende fare concessioni e che Steve Witkoff, l’inviato speciale della Casa Bianca, sta cercando di smussare anche se i recenti scandali che lo hanno coinvolto hanno palesato la sua propensione verso la parte russa. D’altronde su un punto fondamentale lui e l’omologo moscovita Kirill Dmitriev si capiscono: «La guerra è una perdita di soldi, bisogna accordarsi il prima possibile per ricominciare a fare affari».
In un tale contesto difficile non comprendere la rabbia dei soldati. Nessuno lo dice apertamente: ma a che pro morire per la difesa di Pokrovsk se tra un mese potrebbe essere tutto finito? Il silenzio, in questo caso, è davvero d’oro perché permette ai generali ucraini di tenere le posizioni sul campo. Non ci risultano casi di diserzione di massa o abbandono di posizioni. Al contrario, in ogni nuovo “tritacarne” i soldati ucraini accettano storicamente di essere sacrificati. Il che alla lunga non può che creare una rottura insanabile. Zaluzhni l’ha evidenziata nel suo lungo saggio, che assomiglia più a una candidatura che a un’analisi tattico-politica. Da Londra, dove l’ex generalissimo si trova in esilio dorato per ordine di Zelensky, ha continuato a distribuire giudizi negativi e reprimende sull’operato dell’attuale leadership ucraina, facendo attenzione a non accusare mai nessuno direttamente. I giornali di mezzo mondo lo danno come successore di Zelensky, anzi, come colui che surclasserà l’attuale presidente alle prossime elezioni. Verso la fine, il suo testo conteneva un cenno al peggiore scenario possibile: la guerra civile (possibile persino nel caso di una «pace giusta», scrive l’ex militare). Zaluzhni vede nelle spaccature che germogliano dovunque nella società ucraina i problemi di domani e li identifica come possibile strategia collaterale di Mosca. Spaccare l’Ucraina per annientarla definitivamente. Solo che la scelta retorica di Zaluzhni è molto pericolosa: evocare il caos mentre ci si propone indirettamente per evitarlo (o magari governarlo) rischia di esasperare gli animi in un Paese che è già sull’orlo del precipizio.
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